Basta guerre, basta sofferenze: Leone XIV prova a ricomporre la pace

Lo sguardo rivolto al cielo dopo aver ricevuto l’anello del pescatore, simbolo del ministero petrino. La commozione, il bagno di folla sulla papamobile, le parole chiare e forti in San Pietro. Oggi, in una cerimonia di intronizzazione a cui hanno partecipato 200 mila persone e più di 150 delegazioni internazionali (fra cui quella svizzera, rappresentata dalla presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter), è cominciato il pontificato di Leone XIV. Un evento carico di emozione, di fede e di simbologia, ma anche – e forse soprattutto – di diplomazia. Perché papa Prevost ha mandato messaggi chiari al mondo intero: basta guerre, basta sofferenze. Arrivando fino a offrire il Vaticano come sede neutrale per la risoluzione dei conflitti e per tessere la pace.
L’omelia
Leone, nell’omelia tenuta durante la messa di inizio pontificato, di fatto il suo primo discorso programmatico, ha mostrato subito un volto umano, umile: «Sono stato scelto senza alcun merito e, con timore e tremore, vengo a voi come un fratello che vuole farsi servo della vostra fede e della vostra gioia, camminando con voi sulla via dell’amore di Dio, che ci vuole tutti uniti in un’unica famiglia». Per poi assicurare: «Pietro deve pascere il gregge senza cedere mai alla tentazione di essere un condottiero solitario o un capo posto al di sopra degli altri, facendosi padrone delle persone a lui affidate». Un impegno dunque a mantenere quel cammino sinodale che è stato un perno del pontificato di Bergoglio. E Leone XIV, non a caso, lo ha ricordato con affetto: «Ho sentito forte la presenza spirituale di papa Francesco che dal Cielo ci accompagna», ha detto alla fine della messa. «Siamo chiamati a offrire a tutti l’amore di Dio» ha aggiunto, per essere nella pasta del mondo, «un piccolo lievito di unità, di comunione, di fraternità» e così gettare lo sguardo lontano, per andare incontro alle domande, alle inquietudini e alle sfide di oggi. Sfide che Leone ha saputo raccogliere fin dalle prime ore del suo pontificato, con continui appelli alla pace.
Tessere la tela
Dopo la cerimonia e i riti sulla tomba di Pietro accompagnato dai patriarchi orientali, papa Prevost si è quindi subito messo al servizio della pace, a tessere quella tela nella quale il Vaticano potrebbe avere un ruolo di primissimo piano. Il primo incontro è stato con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Un incontro positivo tanto che il presidente ha ringraziato il Vaticano «per la sua disponibilità a fungere da piattaforma per i negoziati diretti tra Ucraina e Russia». Domani, invece dovrebbe essere il giorno dell’incontro con il vicepresidente USA JD Vance per mettere un’altra tessera in quel difficile mosaico della pace al quale papa Leone ha deciso di spendere fin dall’inizio tutte le energie possibili. E, come visto, ci sono già i primi risultati. Il segretario di stato americano Marco Rubio, JD Vance e Zelensky hanno di fatto aderito alla proposta che il Vaticano sia la sede per ricomporre il conflitto scoppiato dall’invasione dell’Ucraina. C’è il sì esplicitato da Rubio, «il Vaticano è certamente un luogo dove entrambe le parti sarebbero a loro agio», ma manca ancora un segnale da parte di Mosca anche perché all’insediamento di Prevost mancava la delegata del Cremlino, Olga Liubimova, tenuta lontana da Roma per «motivi tecnici legati all’incongruenza della rotta aerea». Nel pomeriggio, poi, Zelensky e Vance hanno avuto un faccia a faccia di 30 minuti in cui è stata evocata l’attesissima telefonata fra Donald Trump e Vladimir Putin, in agenda sempre domani. Il presidente ucraino ha infine rinnovato l’invito al papa a visitare il suo Paese. Ma le attese per il viaggio di Prevost, magari con delle soste sui luoghi dei crimini russi, potrebbero essere gelate. Andare in Ucraina potrebbe pregiudicare proprio quel filo che il Vaticano sta tentando (da tempo) di imbastire parallelamente con Mosca grazie all’attività di mediazione umanitaria.
Non c’è solo Kiev
Ma non c’è solo l’Ucraina nell’agenda diplomatica dettata da Leone. In occasione dell’insediamento, infatti, ci sono stati scambi con il cancelliere tedesco, Friederich Merz, la presidente dell’UE, Ursula Von der Leyen, e il presidente di Israele, Isaac Herzog. Anche il mondo ebraico si attende una discontinuità rispetto a Francesco: Herzog ha subito rivolto un invito a Leone a recarsi in Israele che potrebbe in effetti concretizzarsi nel medio periodo, avendo oltretutto Prevost sul terreno un confratello come il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme. La pace a Gaza è quindi l’altra priorità della Santa Sede: papa Leone ha pronunciato parole nette ricordando i palestinesi «ridotti alla fame». Degli ostaggi non ne ha parlato, ma li ha ricordati Herzog, non solo ringraziando il Santo Padre per avere sollecitato il loro ritorno a casa domenica scorsa, ma portando sulla giacca una targhetta con impresso il numero di giorni in cui i rapiti sono nelle mani di Hamas, 590.