Chi è Pegah Moshir Pour, l’attivista iraniana a Sanremo

Ieri sera il Festiva di Sanremo ha messo per un attimo da parte lustrini, canzoni, fischi e polemiche varie per lasciar spazio a un’ospite speciale: l’attivista italo-iraniana Pegah Moshir Pour che è salita sul palco dell’Ariston per portare un forte messaggio a sostegno delle proteste in Iran e della libertà. Un monologo il suo che ha lasciato il segno negli spettatori per le sue parole semplici e dirette. Senza fronzoli. Che ha commosso per quella dura realtà spiegata con delicatezza e pacatezza. Come raccontare dei proiettili usando i fiori.
«La paura non ci fa più paura»
«C'è un posto nel mondo dove non si può amare liberamente, né vivere liberamente, dove i ragazzi muoiono in nome di un ideale chiamato "Donna, vita, libertà", quel Paese è l'Iran» ha esordito Amadeus poco prima di presentare la giovane attivista sul palco. E Pegah Moshir Pour gli ha fatto eco, spiegando: «In Iran non avrei potuto presentarmi così vestita e truccata, né parlare di diritti umani sul palco, sarei stata arrestata o forse addirittura uccisa. È per questo che, come molti altri ragazze e ragazzi, ho deciso che la paura non ci fa più paura e di dare voce a una generazione crescita sotto un regime di terrore e repressione, in un Paese bellissimo, uno scrigno di patrimoni dell'umanità».
Accanto a lei è poi entrata Drusilla Foer, con la quale ha duettato leggendo le parole di un inno della rivoluzione iraniana. Un inno che ripercorre tutta la serie di diritti, per noi ritenuti normali ed essenziali, che nel Paese vengono sistematicamente negati e repressi. Un inno che, però, si è concluso su una nota di speranza: ripetendo più volte «Per la libertà». E, a sottolineare questo messaggio, Pegah Moshir Pour si è sciolta i capelli che teneva raccolti.
In prima fila per i diritti in Iran
Ma chi è questa ragazza che, con le sue parole e i suoi occhi neri, ha incantato e commosso il pubblico di Sanremo? Pegah Moshir Pour ha 31 anni ed è italo-iraniana, lucana per la precisione. È arrivata in Italia da Teheran nel 1998, insieme ai suoi genitori. Come spiegano i media italiani, ha conseguito una laurea in ingegneria ed è una social media marketing manager che partecipa attivamente a diversi progetti culturali e politici della sua regione. Ma Pegah Moshir Pour è anche, naturalmente, un’attivista dei diritti umani e content creator schierata in prima fila dalla parte delle proteste contro il regime dell’ayatollah.
La repressione che colpisce agli occhi
Sono ormai passati diversi mesi da quel 16 settembre che ha segnato l’inizio dele proteste in Iran. Quel giorno la polizia religiosa aveva arrestato e ammazzato di botte la giovane Mahsa Amini «per un capello fuori posto», ovvero, per il velo non indossato «secondo le regole». Ben presto le strade si sono accese del fuoco delle proteste di migliaia di persone: giovani, ragazzini, donne e uomini. Tutti uniti per rivoltarsi contro un regime. Ancora adesso, a distanza di quasi cinque mesi, le proteste non si placano. E con loro avanza anche la durissima repressione delle forze di polizia del regime. Le testimonianze che arrivano dai racconti dei manifestanti sono agghiaccianti. Arresti, percosse, torture, violenze sessuali, spari che mirano agli occhi e alle parti intime. Poco importa se ci si trova davanti a giovanissimi. I medici iraniani sono traumatizzati dai corpi delle donne – sono soprattutto loro ad essere prese di mira e volontariamente sfigurate – che vedono arrivare negli ospedali. «È un atto disumano e illegale, fatto sistematicamente per reprimere le proteste» ha denunciato Iran Human Rights. Una brutalità che non riesce a fermare la forza delle proteste in nome della libertà. Perché ai giovani iraniani, come ha detto Pegah Moshir Pour, «la paura non fa più paura».
