Accordo sui dazi: «Risultati positivi, ma è solo l'inizio di un processo»

«Successo dei negoziati, trovata soluzione tra Svizzera e USA. Grazie al presidente Trump per l’impegno costruttivo. Buon incontro con il rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti d'America, con l’ambasciatore Jamieson Greer». Ieri, il Consiglio federale – con un messaggio pubblicato su X – ha confermato di avere raggiunto con gli Stati Uniti un accordo sui dazi. Le tariffe americane sulle merci elvetiche passeranno dal 39% a un tetto massimo del 15%. Un successo, dunque, per il consigliere federale Guy Parmelin, a capo del Dipartimento federale dell'economia, della formazione e della ricerca (DEFR) e per la segretaria di Stato Helene Budliger Artieda, direttrice della SECO, entrambi andati a Washington per le negoziazioni.
«Risultati positivi, ma è un processo»
Intervistata dalla SRF, oggi anche la "ministra" della sanità e socialità, Elisabeth Baume-Schneider ha definito "positiva" l'intesa raggiunta con gli Stati Uniti. Tuttavia, ha messo in guardia, si tratta solo dell'inizio di un processo. «Si tratta al momento di una dichiarazione d'intenti», ha tenuto a precisare la consigliera federale giurassiana. Bisognerà adesso definire quali merci sono interessate ha spiegato, aggiungendo che molto dipenderà anche dalle decisioni dei tribunali statunitensi al riguardo. «Quando si negozia qualcosa con gli Stati Uniti, non si sa mai per quanto tempo sarà valido».
Baume-Schneider ha detto di comprendere il passo fatto da alcune aziende svizzere che hanno deciso di incontrare di persona il presidente degli Stati Uniti per rappresentare i loro interessi, «ma in nessun caso deve crearsi una diplomazia parallela». Nel corso dell'intervista, Baume-Schneider ha affermato che gli svizzeri non dovrebbero pagare premi maggiorati a causa di una riduzione dei prezzi dei farmaci negli Stati Uniti. Ciò non toglie che si potrebbe anche discutere di un nuovo modello di prezzi. «Un nuovo modello di prezzi non significa tuttavia che tutti i prezzi aumenteranno». L'industria farmaceutica sa che la Svizzera è un mercato sicuro e importante, ha poi aggiunto. Il fatto che il settore possa lanciare i nuovi farmaci prima negli USA per evitare un confronto dei prezzi è anche una questione etica, ha sottolineato. «Gli Stati Uniti non possono e non devono dettare la politica svizzera in materia», ha affermato Baume-Schneider.
Le critiche
Ma fuori dalla Svizzera non tutti brindano a questa intesa. Le reazioni internazionali mescolano preoccupazione politica a critiche legate al ruolo giocato dagli imprenditori svizzeri nelle settimane precedenti la firma. Come riportato dal Blick, nelle scorse ore la stampa internazionale si è scatenata. Il quotidiano francese Libération ha scelto un titolo che non lascia spazio a interpretazioni: «Corruption». La BBC parla apertamente di una golden charme offensive, lusinghe dorate per conquistare la benevolenza del presidente americano. Più tagliente la tedesca Zeit, che ha definito l'operazione una plateale e dispendiosa genuflessione, coronata da «200 miliardi di franchi e una Rolex per Donald Trump», riferimento al piano di investimenti che le aziende svizzere hanno promesso negli Stati Uniti entro il 2028.
Il Financial Times, invece, adotta una prospettiva più politica. Secondo il quotidiano britannico, l’accordo va letto anche alla luce della debolezza interna di Trump, reduce da sconfitte elettorali locali che hanno evidenziato il malcontento dell’elettorato repubblicano davanti all’incapacità del governo di frenare l’inflazione. In questa chiave, la concessione fatta alla Svizzera sarebbe un tentativo di mostrare risultati immediati in politica commerciale.
Il malumore, intanto, è esploso anche tra i progressisti statunitensi. Sul Guardian, la senatrice Elizabeth Warren ha denunciato l’accordo svizzero-statunitense come l’ennesimo episodio in cui «miliardari e grandi corporation si ingrassano mentre le famiglie americane pagano prezzi sempre più alti, vittime delle tariffe caotiche di Trump».
