Fatture gonfiate, favori e regali: «Hanno ceduto alle loro vanità»

Un agire «spregiudicato, illecito e sottotraccia», per intessere una rete di truffe sottile e quasi invisibile. Lavori «inutili», con personale impiegato in modo «fittizio». Ore di lavoro e operai inesistenti. Fatture gonfiate. Guadagni illeciti che si traducevano in un giro mazzette e regali di ogni tipo a assicuratori e periti compiacenti. Con il denaro che entrava anche nelle tasche di chi orchestrava il tutto. «Insomma, una lunga serie di brutture finanziarie». Sono questi i contorni del caso Belfor, la maxi-truffa assicurativa milionaria, tratteggiati oggi in aula dalla procuratrice pubblica Chiara Borelli nella sua requisitoria. Una truffa realizzata a danno di cinque grandi compagnie assicurative e della stessa filiale ticinese di Belfor (ditta specializzata in interventi edilizi post sinistri) con sede a Lumino. Il totale delle fatture presentate alle compagnie - come si evince dal corposo atto d’accusa di 116 pagine - è di oltre 16 milioni. Di questa cifra almeno 5 milioni sarebbero frutto di fatture gonfiate.
Diversi reati
Alla sbarra, davanti alla Corte delle Assise criminali presieduta dal giudice Amos Pagnamenta (affiancato da Luca Zorzi e Fabrizio Filippo Monaci) nove imputati (tre dei quali sono stati dispensati dal comparire) difesi dagli avvocati Nicola Orelli, Maria Galliani, Niccolò Giovanettina, Marco Masoni, Francesca Piffaretti-Lanz, Anna Grümann, Luigi Mattei, Mauro Ermani (alla sua prima apparizione pubblica dopo le dimissioni rassegnate in gennaio dalla carica di giudice) e Luisa Polli. Gli accusati devono rispondere a diverso titolo dei reati di truffa per mestiere, amministrazione infedele, corruzione fra privati, corruzione di pubblici funzionari, corruzione passiva, appropriazione indebita e falsità in documenti.
Dentro a un meccanismo
Ancora prima di entrare nel vivo del dibattimento, stamattina, il processo si è aperto con un colpo di scena: sette dei nove imputati hanno infatti raggiunto un accordo con la procuratrice pubblica Chiara Borelli. Sostanzialmente riconoscendo le azioni elencate nell’atto d’accusa e accettando la pena proposta. Sei e 5 anni di carcere per i due fratelli ex dirigenti della succursale ticinese di Belfor (i principali accusati); 5 anni per la direttrice di un’azienda interinale che collaborava con Belfor; 3 anni di cui 12 mesi da scontare, 24 mesi sospesi, 20 mesi sospesi e 14 mesi sospesi per gli altri imputati. Su queste proposte di pena sarà, in ogni caso, la Corte a pronunciarsi. Gli imputati hanno ammesso le loro responsabilità davanti al giudice senza però riuscire a spiegare da dove fosse partita l’idea di questo agire truffaldino. «Ci sono stati degli sviluppi nati senza un vero fine. Ci siamo trovati dentro a un meccanismo e abbiamo continuato a mandarlo avanti», hanno spiegato i due ex dirigenti di Belfor.
Botta e risposta
Due invece, come detto, gli accusati per i quali il processo va avanti regolarmente, non avendo accettato l’accordo. Si tratta degli ispettori di due note compagnie assicurative: un 61.enne (difeso da Mauro Ermani) e un 59.enne (patrocinato da Anna Grümann). Ermani, dal canto suo, ha sollevato diverse questioni pregiudiziali a favore del suo assistito, chiedendo anche di disgiungere il procedimento da quello degli altri imputati, sostanzialmente rei confessi. Questioni a cui ha prontamente replicato la procuratrice Borelli in un botta e risposta giocato su diversi punti dell’atto d’accusa, tra cui anche la perizia contabile. Alla fine, però, il presidente della Corte ha respinto tutti i dubbi sollevati dalla difesa, ribadendo la validità del lavoro della pp.
«La poltiglia della corruzione»
Ci si è quindi concentrati sui due imputati che non hanno accettato l’accordo. Il primo ha contestato tutte le accuse a suo carico, il secondo parzialmente, ammettendo di aver speso alcuni dei soldi per i propri figli e per «i bisogni della vita quotidiana». Durante la sua requisitoria la procuratrice ha evidenziato come i due imputati abbiano ricoperto ruoli di rilievo e responsabilità all’interno delle compagnie assicurative, riuscendo così a giocare delle parti importanti nella complicità con gli ex dirigenti di Belfor per realizzare indebiti guadagni. «Dicono dei due», ha esordito Borelli elencando con dovizia di dettagli le testimonianze di chi lavorava con loro, «che sono persone responsabili, affidabili, disponibili, veri e propri punti di riferimento, e degni di fiducia». Eppure qualcosa è cambiato, ha rilevato la pp. «Cosa ha portato due uomini maturi e padri di famiglia a macchiarsi della poltiglia immorale della corruzione? Hanno bruciato rispetto, correttezza, lealtà e fiducia sull’altare delle vanità per boria, fame di eccellenza. Per arrivare alle più alte cariche traendone profitto». Borelli è partita dalla posizione del 61.enne difeso da Mauro Ermani. L’imputato, a mente dell’accusa, si sarebbe adoperato in diverse occasioni per assegnare a Belfor l’esclusività e la priorità di intervento sul campo. Oltre a cantieri e operai inesistenti, fatture gonfiate, controlli fittizi dei lavori in corso d’opera. In cambio favori e regali. Ma anche opere edilizie realizzate nella proprietà dell’uomo. «Lavori di rifacimento costosi che venivano fatti proprio in concomitanza con le fatture che si gonfiavano», questa la linea di corrispondenza tracciata dalla pp.
Il dibattimento proseguirà domani con la seconda parte della requisitoria. In seguito la parola verrà data alle difese.


