Il commento

Festival di Sanremo, sì sono anni di appiattimento

Diamo una nuova lettura al cast disegnato da Carlo Conti per l'edizione 2026 – Le aspettative sono basse, anche perché non si intravedono possibili sorprese
Paolo Galli
01.12.2025 12:04

Dopo aver passato la lista dei nomi di Sanremo 2026, ho pensato istintivamente al film Major League. Nella commedia «cult» dedicata al baseball la nuova proprietaria della franchigia degli Indians faceva tutto il possibile per perdere partite e spettatori, in modo da poter poi trasferire senza penali la squadra da Cleveland alla più assolata e ridente Florida. Ecco, allo stesso modo il progetto di Carlo Conti e della Rai sembra quasi disegnato nella consapevolezza di poter perdere la propria sfida. Non ci spieghiamo altrimenti, al netto dei discussi rifiuti incassati, una simile formazione.

Intendiamoci, parte del fascino del Festival è legato per tradizione al concetto di «accozzaglia». Perlomeno sin dagli anni Ottanta – con avvisaglie già nei Settanta –, quando al fianco delle più classiche voci della canzone italiana hanno iniziato a vedersi anche i volti preferiti dai giovani telespettatori. Da Ramazzotti (di fatto un prodotto del Festival) a Vasco, fino a Jovanotti. Ma c'è accozzaglia e accozzaglia. 

Questo è un insieme che di fascino non ne ha e, in questo senso, appare piuttosto uniforme a livello qualitativo (un paradosso, per una accozzaglia), che soprattutto non crea la minima aspettativa (il famoso «hype»). Lo stesso Tommaso Paradiso sembra aver perso la spinta dei primi anni di carriera, dei The Giornalisti e della prima fuga solista. E il solo Fulminacci proverà a tenere alta la bandiera dell'indie moderno – che indie non è più –, quella portata negli ultimi anni dai vari Gazzelle, Ariete o Lucio Corsi. Ma è un po' poco. E comunque, a questo punto, sa di già visto. Come già visti sono i giovani rapper e trapper sconosciuti ai più, quanto di più lontano possiamo immaginare rispetto alla modernità, persino più di Patty Pravo, che moderna al contrario lo sarà per sempre. Poi, certo, Luchè ha un milione e mezzo di follower su Instagram, e allora che cosa gli vuoi dire?

Una cosa, però, la dobbiamo concedere, preventivamente, al Festival 2026. Il cast sembra rispecchiare pienamente il proprio contesto, televisivo e storico. È la dote principale di Sanremo, che mai (in questo senso) si smentisce. L'appiattimento disegnato da Conti – e da lui spesso indossato, per scelta, in conduzione – calza perfettamente alla Rai attuale, andata definendosi dopo alcune scelte chiarissime di palinsesto e conduzione. Ieri sera, giusto per fare un esempio, ci siamo accorti che è stato affidato un programma (dedicato al rapporto tra genitori e figli!) persino a Gianni Ippoliti, di anni 75. E allo Zecchino d'oro, sempre ieri, al fianco dello stesso Conti si sono visti i soliti Insinna e Cirilli interpretare il Mago Zurlì e (sguaiatamente) Richetto. Questo è il contesto, senza neppur voler scomodare Luca Barbareschi.

Nel film Major League, alla fine, la squadra si dimostrava a sorpresa vincente. Probabilmente, negli ascolti, il Festival di Sanremo potrà vincere una volta di più anche con questa formazione e con Carlo Conti in «regia». Ma il rischio è che, alla lunga, queste scelte possano stancare e rivelarsi perdenti. In fondo, il Festival l'anno scorso aveva goduto ancora dell'effetto Amadeus, un mix tra il successo della sua conduzione (con Fiorello spesso al fianco), delle sue scelte e, appunto, del contesto.

Un contesto, quello dei festival di Amadeus, fatto anche di pandemia e guerre, di bisogno, quindi, di leggerezza. Un contesto che ha reso immortali, proprio perché legati ai propri anni, brani che altrimenti (forse) non lo sarebbero stati. Il 2020 fu l'anno di Fai rumore e dell'arrivo del Covid e dello stop ai concerti. Il 2021 – reduci dall'annata forse più pesante degli ultimi cinquant'anni della storia del mondo – di Musica leggerissima (più ancora che dei Maneskin). E il 2022 di Dargen, della sua Dove si balla e dello scoppio della guerra in Ucraina.

In questi ultimi anni di smarrimento, post-pandemia, con due guerre sul groppone, con preoccupazioni economiche crescenti, l'impressione è che la società si stia in qualche modo, e preoccupantemente, appiattendo. O almeno, questo è ciò che ci suggerisce il Festival. 

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