Processo

«Ha lasciato fallire le società perdendo i soldi dei creditori»

L’accusa ha chiesto 4 anni e mezzo di carcere per il «re dei ponteggi» che deve rispondere di vari reati, in primis quelli di bancarotta fraudolenta e frode nel pignoramento — L’imputato ha respinto, punto per punto, gli addebiti
© CdT/Gabriele Putzu
Irene Solari
18.11.2025 20:22

«Sapeva esattamente cosa stava facendo: ha lasciato tracollare la sua società, già sull’orlo del fallimento, danneggiando gravemente i creditori. Il suo era un vero e proprio modus operandi». La procuratrice pubblica Petra Canonica Alexakis non ha avuto dubbi nel chiedere la conferma di tutti i punti contenuti nel corposo atto d’accusa e la condanna a 4 anni e mezzo di carcere, oltre all’espulsione per 8 dalla Svizzera per il «re dei ponteggi». Alla sbarra il 50.enne kosovaro domiciliato nel Bellinzonese e balzato agli onori della cronaca alcuni anni fa nell’ambito dell’inchiesta dei permessi di soggiorno falsi che aveva coinvolto alcune imprese edili tra gli anni 2014 e 2016. L’uomo è anche accusato di malversazioni ai danni di alcune ditte attive in Ticino e nella Svizzera interna delle quali era titolare o co-proprietario. Il processo si è aperto oggi davanti alla Corte delle Assise criminali presieduta dal giudice Amos Pagnamenta (a latere i colleghi Emilie Mordasini e Luca Zorzi) e proseguirà durante la giornata di domani con le arringhe della difesa rappresentata dagli avvocati Edy Meli e Marilisa Scilanga e, con ogni probabilità, la sentenza.

Una lunga lista

A carico del «re dei ponteggi» pende una lunga lista di reati ipotizzati nell’atto d’accusa stilato dalla pp, di cui il principale è bancarotta fraudolenta e frode nel pignoramento. Ma non mancano cattiva gestione, falsità in documenti, riciclaggio di denaro, frode fiscale e incitazione all’entrata, alla partenza o al soggiorno illegale e impiego di stranieri sprovvisti di permesso. Oltre usura e minacce. Insieme all’atto d’accusa principale ne è stato presentato un secondo relativo a una truffa sui alcuni crediti Covid richiesti dal 50.enne per una sua società con sede in Svizzera interna che sarebbero poi stati utilizzati per tutt’altro scopo, e ad una serie di reati simili a quelli già elencati nell’atto d’accusa principale. Anche in questo caso l’accusa ha chiesto la condanna dell’imputato per ogni punto.

Da 15 milioni a uno

Imputato che, come detto, all’epoca dei fatti era finito al centro di un’inchiesta per malversazioni da diversi milioni, inizialmente oltre 15. Cifra che poi è stata ridotta - dopo un lungo iter che ha visto l’annullamento di due atti d’accusa e valutazioni peritali - nel terzo e ultimo atto d’accusa a 1,16 milioni. Un importo che secondo la procuratrice sarebbe stato sottratto a discapito dei creditori della sua società edile attiva nel Bellinzonese. Nella lista dei reati anche una frode fiscale ai danni del Cantone per 1,3 milioni e un episodio in cui l’imputato avrebbe minacciato puntando una pistola alla tempia di un’altra persona. Tutti i fatti sarebbero avvenuti durante un lungo lasso di tempo, iniziato nei primi mesi del 2011 e durato fino al novembre 2023. Il 50.enne, presente in aula e assistito da un’interprete, ha respinto tutte le accuse punto per punto.

Un modus operandi

Di diverso parere, naturalmente, l’accusa secondo cui l’imputato metteva sempre in campo lo stesso schema «che nel tempo si è consolidato fino a diventare modus operandi». E questo «sottraendo o occultando somme di denaro per diminuire fittiziamente l’attivo delle società e riversare quelle cifre sui propri conti». Da lì poi - ha dettagliato la pp - i soldi venivano usati per alimentare nuove società «che l’uomo costituiva con una certa regolarità, e dove l’amministratore era sempre lui, che poi portava al fallimento». Questi prelievi di denaro hanno irrimediabilmente danneggiato la ditta del Bellinzonese, «già in una situazione finanziaria molto critica, creando un sovraindebitamento e poi il fallimento», con il conseguente danno per i creditori. «Ha agito ripetutamente su lungo periodo di tempo perseguendo fini egoistici, non curante delle norme legali. Avrebbe potuto gestire il tutto in modo lecito, ne aveva i mezzi: esperienza nel settore e contatti, ma ha deciso liberamente di infrangere la legge per procurarsi un facile guadagno».

Lavoro in nero

L’inchiesta, come anticipato, si intreccia con quella dei permessi di soggiorno falsi. L’imputato, secondo l’accusa, avrebbe infatti anche facilitato l’entrata e il soggiorno in Svizzera di alcuni connazionali per poi impiegarli nella propria impresa di ponteggi. Un’attività in parte avvenuta grazie al titolare di un’altra società edile attiva nel Bellinzonese, che otteneva e vendeva permessi di soggiorno falsi tramite la corruzione di un funzionario cantonale. In questo modo la manodopera straniera veniva mandata a lavorare in nero nelle varie ditte in Ticino e Oltralpe dell’imputato.

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