«Il monopolio della forza russa non è più nelle mani di Putin»

Sulla stampa russa, ieri mattina, il blitz di Evgenij Prigozhin non ha trovato spazio. «I giornali domenicali russi sono poveri di notizie e, di fronte a una situazione così incerta, la censura e il controllo delle autorità si sono fatti ancora più rigorosi. Le informazioni, però, sono filtrate comunque, soprattutto attraverso i social, anche se sabato il Governo di Mosca ha tentato di bloccare la Rete». Andrea Romano, professore associato di Storia contemporanea e di Storia russa all’Università di Roma Tor Vergata, è da molti anni uno dei più attenti osservatori delle dinamiche socio-politiche di quello che, una volta, era il mondo d’oltrecortina.
«È difficile, oggi, immaginare quali potranno essere le ripercussioni, sull’opinione pubblica russa, di quanto accaduto sabato – dice Romano al Corriere del Ticino – anche perché, purtroppo, come ha spiegato l’altro giorno Dmitrij Muratov, il direttore di Novaja Gazeta e Premio Nobel per la pace, i russi tacciono. Vladimir Putin ha cancellato i luoghi in cui poter parlare e ha distrutto un’intera generazione, la più giovane e dinamica, obbligandola a emigrare. La società russa è impaurita e assuefatta alla violenza di massa, ma la storia insegna che una guerra persa provoca sempre la caduta del tiranno».
Le vere ragioni della rivolta
La «sconfitta militare» in Ucraina, «perché di questo stiamo parlando – prosegue Andrea Romano – è probabilmente la vera ragione di tutta questa vicenda. Se dovessi fare una scommessa, direi che la marcia su Mosca di Prigozhin è stata l’avvio di un superamento della presidenza di Vladimir Putin, senza però un cambio di potere vero. Anche gli effetti sul fronte non li vedremo subito, ma credo che nel medio-lungo periodo l’indebolimento di Mosca in Ucraina sarà palese. Paradossalmente, questa crisi potrebbe avvicinare la fine della guerra».
Tra le immagini che più hanno colpito, sabato, ci sono quelle dei cittadini di Rostov sul Don che esultavano al passaggio dei carri armati della brigata Wagner. «Prigozhin non è soltanto un ex bandito di strada e un oligarca – spiega Andrea Romano – In questi anni è stato, di fatto, un politico con posizioni molto populiste; lo definirei il profeta del putinismo all’ennesima potenza. A lungo ha polemizzato contro i vertici militari, politici e burocratici, accusandoli di “tradire” Putin, e ha contrastato pure le élite intellettuali e urbane, contrarie alla guerra e in buona parte fuggite dal Paese. Insomma, si è costruito un’immagine di paladino del popolo al servizio dello zar. Evgenij Prigozhin incarna un topos della storia russa – aggiunge Romano – l’uomo che difende il sovrano e il popolo dagli inganni della corte. Questo, almeno, è il suo racconto. La realtà, ovviamente, è un’altra. È quella di un criminale comune che, dopo aver scontato 10 anni di galera per rapina, si è arricchito mettendosi a disposizione dell’espansione criminale dello Stato russo».
Da galeotto a galeotto
Forse, il vero colpo di genio dell’ex cuoco di Putin è stata la scelta di reclutare i galeotti e di farne la propria milizia privata. Mettendola, almeno inizialmente, al servizio del Cremlino. Molti ricordano gli «omini verdi» che invasero, nel 2014, la Crimea e il Donbass: i soldati senza mostrine che permisero a Putin di dire che la Russia nulla aveva a che fare con quelle manovre militari. Senza peraltro che qualcuno credesse alle sue parole.
«In alcuni frangenti – dice ancora Andrea Romano – Prigozhin è stato bravo a “socializzare” queste scelte. In un video, che girò nel cortile di un carcere, si rivolgeva ai detenuti e li incitava ad arruolarsi nella Wagner, dicendo loro: “Guardatemi, ero come voi, dietro le sbarre. Se venite con me, quasi sicuramente morirete, tornerete a casa in una bara di zinco. Ma chi sopravviverà, tra sei mesi sarà libero”». Quegli uomini gli sono fedeli, e anche se il Cremlino proverà a inglobare la Wagner nell’esercito regolare, i fatti di sabato dimostrano che nulla sarà come prima. «In Russia non c’è ormai alcun barlume di Stato di diritto – sottolinea Romano – D’altronde, come giudicare un sistema in cui un signore al mattino viene accusato di alto tradimento e alla sera è perdonato? Uno Stato in cui tutto è arbitrario, in cui da un lato si arrestano e si condannano a 7 anni di carcere i poveracci che manifestano contro la guerra e dall’altro si offre un salvacondotto a un golpista?».
Una cosa è chiara, conclude lo storico di Tor Vergata: «Putin non ha più il monopolio della forza, e in una dittatura questo è un gigantesco problema. Il presidente russo ha sempre garantito il controllo della forza, adesso altri hanno dimostrato di poterla usare senza essere ostacolati». Anche per questo, «il sostegno dell’Occidente all’Ucraina non può venire meno. Per garantire il rispetto del diritto internazionale, ma soprattutto perché soltanto così proteggiamo noi stessi. Se non avessimo appoggiato Kiev, Putin si sarebbe sentito in diritto di fare ciò che vuole. Certo, è duro dirlo, ma è la deterrenza a mantenere la pace».