In Russia instabilità e testate nucleari

Non è ancora chiaro cosa stia accadendo al Cremlino dopo la ribellione di sabato da parte della milizia mercenaria guidata da Yevgeny Prigozhin nei confronti dei vertici militari e politici russi. La mediazione del dittatore di Minsk, Alexander Lukashenko, ha permesso di fermare l’avanzata verso Mosca dei paramilitari del cosiddetto gruppo Wagner, bloccando un potenziale scontro armato con l’esercito russo, ma sul tappeto restano molte incognite. Non solo su che fine farà Prigozhin, ma anche quali effetti avrà tale grave episodio di insubordinazione militare sulla stabilità e sulla credibilità del Cremlino.
È da quando, nel febbraio del 2022, ha lanciato la sua «operazione militare speciale» in Ucraina, che il presidente russo Vladimir Putin va ripetendo che «tutti gli obiettivi saranno raggiunti». Obiettivi mai specificati nei dettagli, ma che, qualunque essi siano, hanno trovato una strenua resistenza da parte ucraina, grazie in particolare alle massicce forniture militari assicurate a Kiev da numerosi Paesi.
La guerra al massacro lanciata dalla Russia contro l’ex Repubblica sovietica ha martoriato intere regioni dell’Ucraina e ha costretto milioni di persone a lasciare le proprie città devastate dai bombardamenti, ma anche per Mosca il costo di questa sciagurata avventura militare si sta facendo sempre più pesante. Non solo in termini di perdite umane e materiali, ma ora anche di stabilità politica. Difficile credere che Yevgeny Prigozhin, affiancato solo da 25 mila mercenari, avrebbe potuto raggiungere Mosca per dettare le sue condizioni a Putin. Colpisce però il fatto che l’ex galeotto dell’era sovietica (finito in carcere all’inizio degli anni Ottanta per furto e altri crimini) a Rostov sul Don, città presa sotto controllo dai miliziani della Wagner nella giornata di sabato, abbia trovato l’approvazione di una parte della popolazione e non abbia praticamente incontrato nessuna resistenza militare nella sua avanzata verso Mosca.
Le reazioni di Vladimir Putin al tradimento del suo ex pupillo hanno confermato i timori del Cremlino. Lo «zar» ha infatti esortato i militari a non commettere l'errore di unirsi alla ribellione e ha fatto un parallelo con la rivoluzione bolscevica del 1917, che ha rovesciato il regime zarista. Un’esortazione, quella del presidente, che lascia trasparire i suoi dubbi sulla lealtà delle forze armate. Cosa accadrà nelle prossime ore e nei prossimi giorni è tutto da scoprire. Prigozhin ha potuto contare sulla complicità dell'entourage di Vladimir Putin? Perché il presidente russo non l'ha fatto arrestare quando ha iniziato a criticare la gestione della guerra da parte del Cremlino? L’unica cosa certa è che il dittatore di Mosca si è trovato ad essere minacciato da una creatura dello stesso potere centrale. È infatti bene ricordare che i mercenari della compagnia Wagner sono una creazione del GRU, il controspionaggio militare russo.
Ciononostante, il Cremlino per anni ha cercato di dissociarsi dalle azioni compiute all’estero dai miliziani di Yevgeny Prigozhin, sostenendo che operavano in completa autonomia. Con tale stratagemma Mosca ha inviato lo spietato gruppo armato a sostenere il regime di Assad in Siria, e a favorire la penetrazione russa in Africa. L’appoggio militare dei mercenari russi a vari regimi africani, da quello della Repubblica Centrafricana a quello del Mali, ha permesso «al cuoco del Cremlino» (nomignolo appioppato al fondatore della Wagner per le sue passate attività nella ristorazione) di ottenere una serie di accordi molto redditizi nel settore minerario e in quello degli idrocarburi.
L’Idilio tra Putin e Prigozhin è andato in crisi quando i mercenari della Wagner sono entrati in azione nella guerra in Ucraina. Le critiche per gli insuccessi militari sul campo ai vertici dell’esercito russo da parte dell’influente uomo d’affari si sono fatte col tempo sempre più dure, soprattutto quando il Cremlino ha deciso di porre sotto il suo diretto comando tutti gli uomini delle milizie private. Sabato la mediazione di Minsk ha spinto Prigozhin a ritirarsi in Bielorussia, anche se vi è chi giura che Putin cercherà di fargli pagare a caro prezzo il suo tradimento. Ma la ribellione del cuoco del Cremlino potrebbe essere solo la punta dell’iceberg di un crescente malcontento nei confronti di un regime logorato da un prolungato e micidiale conflitto armato. Ora un'instabilità politica in un Paese con seimila testate nucleari non può che intimorire il mondo intero.