Ticino

Il preventivo all'Alta Corte

Raoul Ghisletta e Manuele Bertoli chiedono al Tribunale federale l'annullamento di due misure contenute nel documento da poco approvato dal Gran Consiglio – Viene contestato il fatto che non siano referendabili
© CdT/Gabriele Putzu
Paolo Gianinazzi
17.02.2024 06:00

È stato il «tormentone» politico degli ultimi mesi. Ma, dopo l’approvazione dal parte del Gran Consiglio, avvenuto lo scorso 7 febbraio, sembrava ormai alle nostre spalle. E, invece, il Preventivo 2024 (con il primo pacchetto di misure di risparmio) è tornato a far parlare di sé.

Il motivo? Semplice: il sindacalista della VPOD Raoul Ghisletta e l’ex consigliere di Stato Manuele Bertoli, ieri, hanno inoltrato ricorso al Tribunale federale ( TF) contestando la mancata referendabilità di due misure contenute nel documento: gli auspicati risparmi nel settore dell’asilo e la mancata sostituzione del personale partente nella misura del 20%.

In soldoni, secondo i due ricorrenti, approvando queste due misure in forma non referendabile, « il Parlamento cantonale ha negato un diritto costituzionale fondamentale ai cittadini ticinesi», ossia quello di potersi esprimere tramite referedum. Ecco perché, oltre a chiedere l’effetto sospensivo, il ricorso di Ghisletta e Bertoli «chiede di annullare le due disposizioni impugnate».

La genesi in aula

Per comprendere la genesi di questo ricorso, però, occorre fare prima di tutto un passo indietro. Al 7 febbraio, appunto, giorno dell’approvazione del preventivo da parte del Legislativo cantonale.

Come noto, la sinistra e il PS hanno contestato più volte queste misure (e tante altre) durante il dibattito in aula, in particolare quella relativa alla parziale non sostituzione del personale partente. Per questo motivo erano stati presentati alcuni emendamenti volti a cancellare queste misure. Ma non solo: già durante la discussione il PS ha chiesto più volte chiarimenti in merito alla referendabilità dell’articolo che prevede la non sostituzione del personale.

«C’è una domanda che voglio porre ai relatori di maggioranza: se i cittadini dovessero non essere d’accordo con questa misura hanno la possibilità di fare un referendum su questo articolo o no?», aveva ad esempio chiesto il capogruppo del partito socialista Ivo Durisch. «Vorrei sapere se hanno la possibilità, come in qualsiasi democrazia, di referendare questa proposta », aveva aggiunto.

Non avendo ricevuto risposta, dai banchi del PS sono quindi giunte richieste in questo senso da più deputati. E, a rincarare la dose (in maniera un po’ profetica ed ironica), ci aveva poi pensato pure il deputato dell’MPS Matteo Pronzini: « Ringrazio la Commissione della gestione perché con questo pasticcio sulla referendabilità farà in modo che qualcuno andrà ancora al TF, e rafforzerà il nostro ricorso contro il referendum obbligatorio per l’IPCT (ndr. sulle misure di compensazione per gli affiliati). Perché i giudici federali diranno: “Questa è la terza volta che il Gran Consiglio fa pasticci” (...) Spero che qualcuno vada al TF, e magari come nel 1890 fra un po’ porteranno qui le truppe federali per mettere ordine». Circa un’ora più tardi, poi, quel chiarimento chiesto dal PS è giunto dalla presidente del Gran Consiglio Nadia Ghisolfi. «Vi informo che l’Ufficio presidenziale ha discusso sul quesito posto dal deputato Durisch in merito alla refeferendabilità dell’articolo di cui abbiamo parlato in precedenza – ha spiegato la prima cittadina del Cantone –. Il decreto legislativo sul preventivo non è referendabile. Esso non ha una portata finanziaria diretta. In parole povere, esso rappresenta l’immagine della situazione finanziaria del Cantone e non è un atto finanziario che comporta una spesa nuova. Non costituisce un atto normativo generale e di portata astratta. E di conseguenza non può essere referendabile. Esso non crea diritti e obblighi nei confronti dei cittadini. È un atto di natura amministrativa». Quanto agli articoli 2 e 3 (ossia quelli poi contestati nel ricorso), ha poi precisato Ghisolfi a nome dell’Ufficio presidenziale, «essi costituiscono una sorta di auspicio e fissano obiettivi all’attenzione del Governo ».

Le motivazioni

Spiegazioni che, quasi inutile dirlo ora, non hanno convinto Ghisletta e Bertoli che, come detto, si sono rivolti all’Alta Corte di Losanna.

Nel merito, nel ricorso in materia di diritto pubblico, i due ricorrenti spiegano innazitutto che, approvando le due misure in «forma di articoli di legge, il Gran Consiglio ha trasformato due auspici in altrettanti obblighi legali». E per questo motivo «la valida adozione di simili norme non può essere sottratta al legittimo diritto di referendum riconosciuto al corpo elettorale cantonale semplicemente perché tali norme sono state inserite in un atto, il decreto legislativo sul Preventivo dello Stato, che per sua natura non prevede la clausola referendaria ». Insomma, per Ghisletta e Bertoli «con questa scelta deliberativa errata il Parlamento ticinese ha impedito scientemente ai cittadini di decidere se esercitare o meno un loro diritto costituzionale estremamente importante, riconosciuto come elemento imprescindibile della democrazia elvetica». Ad essere contestata, dunque, è anche la procedura, considerata non democratica. «Una simile modalità di agire – viene scritto nel ricorso –, ambigua, ondivaga, con manifeste diversità tra i testi approvati e le intenzioni poi espresse a posteriori e tardivamente, non può essere riconosciuta da questa Alta Corte. I ricorrenti rimarrebbero molto stupiti qualora essa acconsentisse a che tale ambiguità possa avere la meglio sui diritti democratici ».

E poi i ricorrenti rincarano la dose: « Ammettere che il Parlamento ticinese, dopo aver adottato una norma legale, possa decidere se, in base alla sua presunta portata, essa meriti o meno di sottostare ad un sacrosanto diritto costituzionale e democratico è solo un’aberrazione, la messa in scena di una parodia della democrazia semidiretta che tutti bene conosciamo e che il Parlamento per primo dovrebbe concorrere a fare rispettare e non a ridicolizzare ».

Ecco perché, a questo punto, secondo Ghisletta e Bertoli « l’unica soluzione ammissibile » risulta essere l’annullamento delle due misure.

Concretamente, ora occorrerà attendere il parere dei giudici federali, che in prima battuta si esprimeranno sulla richiesta di concedere l’effetto sospensivo alle misure. Dopodiché, in un secondo momento, l’Alta Corte entrerà nel merito dell’annullamento (o meno) delle due misure avallate dal Gran Consiglio.

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