«Io, viandante e artista, a caccia di utopie per il mondo»
Uno zaino di diciotto chili con lo stretto necessario: bussola, gps, filtri per acqua potabile, tendina, saccoletto... «Senti, è leggerissimo, lo stesso usato dal quel ciclista che sta facendo il giro del mondo», dice mentre appoggia i bastoni che usa per camminare. Nell'attrezzatura, non può mancare il telefonino e—per caricare le batterie—una serie di pannelli solari sempre esposti sulle sue spalle. Lei è Ciriaca Erre, 49 anni e artista. Ha appena raggiunto Ascona, il Monte Verità per la precisione, partendo da Matera, sua città d'origine. Ci ha impiegato oltre tre mesi, facendo tappa nei luoghi più impensabili. Dormendo nei boschi, nutrendosi di bacche, radici e frutta che si trova in natura. Facendosi ospitare da varie comunità.
Sì, perché lei si muove a piedi. È partita nel Giorno della Terra, il 22 aprile 2022, senza soldi e senza certezze. Ha ancora un po' di fiatone. La giornata è caldissima, forse una delle più calde dell'anno. Ma lei non demorde. La sua missione? Compiere il giro del mondo così, senza nulla. Fino in India e in Cina, forse, con l'obiettivo di raggiungere l'Africa. In due anni, due settimane e due giorni (scarica il documento in pdf del suo progetto «Senza casa, senza paura, senza confini»).
Un progetto (una «performance» artistica) che la esporrà a rischi e situazioni difficili, soprattutto per una donna. Perché alcune parti del mondo non sono proprio tranquille come come qui, nel borgo sul Lago di Locarno. «Armata io? Assolutamente no! Ognuno va per il suo destino», esclama sorridente, al riparo sotto i giganteschi alberi nelle vicinanze di una piccola casetta, che un tempo era abitata dal quella è stata la prima comunità utopica della storia.
L'idea dell'artista italosvizzera Ciriaca Erre è quella di toccare quattro punti fondamentali, che rappresentano la sua idea di utopia. Da Matera, nelle grotte naturali occupate già dal Paleolitico, fino a Montagnola, richiamando Hermann Hesse, trasferitosi in Ticino per «vivere come un eremita». Poi la tappa al Monte Verità, che insieme alla sua città di origine sostiene il progetto artistico, a Londra, luogo dove in passato ha vissuto, alla Pagoda della Pace, custodita da un monaco buddista attivista giapponese di 70 anni. Nelle intenzioni di Ciriaca, poi, c'è pure l'unione alle marce della pace degli stessi monaci che girano il mondo a piedi.
La vita e l'arte
«Cerco l'umanità allo scopo di unire la vita all'arte, che non deve ispirare solo chi la produce, ma anche gli altri. Il messaggio è quello di vivere la nostra vita come la più grande opera d'arte. Noi artisti scegliamo di compiere delle cose a volte estreme. In questo caso, non si vuole continuare a ‘fare’, a produrre. Ma è importante essere», dice la donna, mentre controlla gli ultimi aggiornamenti sul suo profilo Instagram, @ciriacaerre, che aggiorna assiduamente durante il suo viaggio. In uno dei suoi primi messaggi lasciati sul media sociale, sostiene come abbia voluto ingrassare di proposito di almeno dieci chili, alfine di poter affrontare questa sfida.
«Mi sono preparata per oltre un anno, sia fisicamente sia psicologicamente. Ho scelto di affrontare le mie paure. E tra queste, anche quella di abbandonare i miei figli (uno di sedici e l'altro di vent'anni—non diciotto come dice nell'intervista, ndr). Quello grande mi ha detto ‘Mamma, sai che ti vedo felice adesso’. Nonostante abbia intrapreso un'avventura così dura e provante». Ciriaca elenca le domande fondamentali che affronta in questo progetto artistico: «È possibile vivere in un altro modo? È possibile tornare in contatto con la natura? Ecco perché sono qui al Monte Verità. Questa comunità era all'avanguardia per l'epoca, i primi del Novecento: riflettevano sull'ambiente, erano vegetariani, si preoccupavano per la parità di genere, erano dei pacifisti...». Ciriaca illustra il concetto di «identità sospese». Persone che possono sentirsi isolate dal mondo. «Questo tipo di profili aumenta del 13 per cento all'anno e portano dei cambiamenti importanti nel mondo».
I pericoli
Il viaggio alla ricerca di questo tipo di comunità può essere ricco di insidie. Che possono anche compromettere la sua vita: «È un viaggio difficile, di cose ne succedono tante! Per esempio, proprio il primo giorno sono sprofondata in una specie di ‘burrone’ invisibile, coperto da un'erba altissima in un campo. Avevo tastato con i bastoni e mi sembrava ci fosse un fondo per sostenere il peso, ma invece...».
Ora Ciriaca ricorda l'evento con un sorriso. «E pensare che era soltanto una scorciatoia! Ho imparato a essere molto più prudente. Mi sono salvata per miracolo e quella sera, quando sono poi arrivata, ero stravolta!».
Nel suo cammino ha incontrato parecchi animali selvatici. Cinghiali, scorpioni,... un serpente l'ha colpita al piede «pensavo che mi fosse caduto qualcosa, e invece... per fortuna non è successo nulla». Uno dei problemi ricorrenti della viandante sono i cani randagi. «Una volta un branco stava per attaccarmi. Erano sette-otto cani piuttosto inferociti. Per fortuna una ragazza mi ha vista e mi ha dato un passaggio in macchina. Mi è andata bene che loro erano sull'altro lato di una strada trafficata e quindi non erano riusciti a raggiungermi».
La fiducia nella vita
Le armi sono escluse dall'attrezzatura di Ciriaca: «Ho fiducia nella vita, ognuno ha poi il proprio destino, sì», afferma. L'impresa è molto faticosa, anche perché la donna, quando è ospite nelle comunità che raggiunge, partecipa alla vita quotidiana e alle attività di raccolta e cura delle coltivazioni.
«Ma ora devo rivedere alcuni aspetti del mio programma, perché l'ho fatto senza pensare troppo al riposo necessario per praticare questa lunga escursione». Certo, qualche volta può capitare di accettare dei passaggi in auto.
È consapevole del fatto che, pochi minuti sulle quattro ruote, possono diventare ore e ore di cammino. «Le comunita cerco di contattarle prima. Cosa comunque molto difficile. Ricordo, per esempio, la ‘Comunità degli Elfi’, sparpagliata su un'intera valle... ho rischiato davvero di perdermi nella foresta. Vivono in contatto con la natura: c'è chi lava i piatti con la cenere, chi usa il caffè a mo' di sapone... e durante tutto questo tragitto, continuo a sperimentare il cosiddetto ‘foraging’, vale a dire il fatto di nutristi esclusivamente di erbe e piante selvatiche».