La trattativa impossibile nel Ticino da bagarre

Un malessere profondo serpeggia tra gli agenti della Polizia cantonale, è quanto emerge da un sondaggio promosso dai principali sindacati di categoria che mette nero su bianco una sintesi che non lascia indifferenti: sette agenti su dieci hanno già pensato di dimettersi. Il documento, anticipato dal Corriere del Ticino, ha dato il via a un nuovo fronte della polemica politica: da una parte il sondaggio, dall’altra l’affondo documentato dell’inedita coppia formata da Fiorenzo Dadò (presidente del Centro) e Natalia Ferrara (vicepresidente del PLR), mentre dalle colonne de La Domenica è arrivata la replica di Claudio Zali che, per effetto dell’arrocchino si trova «provvisoriamente» (con quale data di scadenza non è dato sapere) a capo della Polizia ticinese.
Sullo sfondo, immancabile, l’altro leghista in Governo, Norman Gobbi, il politico che dal 2011 la Cantonale l’ha forgiata e gonfiata. Sarà un caso ma questa polemica si è accesa nell’imminenza (dopodomani) del processo ai due agenti della Cantonale intervenuti dopo l’incidente che ha visto coinvolto Gobbi la sera del 14 novembre 2023 in Leventina. I due devono rispondere dell’accusa di favoreggiamento. Alla sbarra ci saranno gli agenti e il consigliere di Stato e loro responsabile supremo, non è soggetto coinvolto nel procedimento penale, ma rimane elemento politicamente interessato all’esito, specie se dovesse essere pronunciata una sentenza di condanna. Una vicenda delicata, anche a causa di almeno due dichiarazioni rilasciate dallo stesso Gobbi a La domenica del Corriere. Alla domanda «Non ha nulla da rimproverarsi?» aveva risposto: «Mi rimprovero di aver bevuto magari un bicchiere in più, che ha portato a tutta questa storia».
Successivamente si era lasciato scappare un apprezzamento soggettivo sul procedimento: «L’auspicio è che possano essere sollevati da qualsiasi dubbio». Ergo: assolti loro dal profilo penale, libero e sollevato Gobbi dall’imbarazzo politico. Una scivolata, anche in virtù dell’equidistanza e del senso di giustizia (non di comodo) che tutti dobbiamo all’indipendente potere giudiziario, in primis colui che, quando ha pronunciato quella frase, era in toto direttore del Dipartimento delle istituzioni. La separazione dei poteri che fine ha fatto? E, ciliegina sulla torta, non si può dimenticare che restano inevasi diversi atti parlamentari su quella serata e su come vengono calibrati gli apparecchi per i test per il controllo dell’alcol al volante. Tutto congelato, anche in maniera pretestuosa, alla luce delle numerose dichiarazioni pubbliche e fughe di notizie sul «caso». Aggiungiamo che da parte dei due partiti di centro, più che l’unione delle forze per darle di santa ragione ai leghisti, ci attenderemmo azioni di altro spessore politico, diciamo propositivo. Ma è sintomatico del periodo complesso il fatto che la polemica contro crei l’unione, mentre la lungimiranza politica risulti letteralmente sconosciuta in tutto l’arco istituzionale. In sostanza, se non c’è un avversario da combattere non si riesce a fare squadra.
Insomma, si può sperare e sognare, ma anche chi non ama le scommesse pare avere gioco facile: puntare tutto sul fallimento della trattativa appena avviata per raggiungere un’intesa sul finanziamento delle iniziative di PS e Lega sulle casse malati, avallate dal popolo solo due settimane fa. Pronti, via e stop. Siamo ormai arenati nel più classico e storico dei malanni politici ticinesi, le frecciatine, i colpi bassi e l’elezione che verrà, alla quale si inizia a pensare all’indomani di quella appena consumata. Al di là delle belle parole per dare l’impressione che è un’abitudine degli altri, va ricordato che il primo a sciogliere le riserve sulla sua intenzione di ripresentarsi, nonostante il fatto che sia il ministro veterano, è stato Gobbi. Tutto il mondo è paese, anche se Zali nicchia, ma non perché in cuor suo non abbia le idee in chiaro, ma perché vuole tenere il più possibile sulla graticola i cugini di una parte della Lega (ma non suoi) dell’UDC.
In questo contesto di «tutti contro tutti», non vediamo partiti o persone animati da sufficiente determinazione e con la statura politica sufficiente per assumere un ruolo da leader per trascinarci fuori dalle sabbie mobili che finiranno per inghiottirci fino a raggiungere un deficit di 700 milioni di franchi. Da sinistra si finge di essere d’accordo di discutere della riduzione della spesa (si badi bene, discutere non è affrontare e men che meno approvare). A destra si dice no in maniera integrale a nuove entrate, peccando di ultrarealismo e assumendo una posizione intransigente. E il centro è sfilacciato e impegnato a rincorrere i leghisti e le loro magagne. No, così non schiveremo il precipizio.