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L'allarme del premier kosovaro: «Rischiamo un'altra guerra nei Balcani»

Albin Kurti torna sulle proteste di una settimana fa, che hanno portato al rinvio delle misure su targhe e documenti nei confronti dei serbi del Nord: «Dietro Belgrado c'è la Russia»
Jenny Covelli
08.08.2022 14:23

«Il rischio che scoppi un nuovo conflitto tra Kosovo e Serbia è alto. Sarei un irresponsabile se dicessi il contrario, soprattutto dopo che il mondo ha visto cosa ha fatto la Russia con l’Ucraina». È il premier kosovaro Albin Kurti, 47 anni, leader dei socialdemocratici, ad affermarlo in un lunga intervista rilasciata a Repubblica. A cui affida un'accusa per nulla velata: su Belgrado e, dunque, sui serbi del nord del Kosovo c'è la mano di Putin.

Cosa sta succedendo

La polizia kosovara ha chiuso al traffico la scorsa domenica due importanti valichi di frontiera tra Serbia e Kosovo, quelli di Jarinje e Brnjak, dopo che nel pomeriggio alcuni serbi delle regioni del nord avevano iniziato a protestare contro la decisione di Pristina di richiedere la sostituzione delle targhe serbe con quelle kosovare, oltre alla necessità di possedere documenti temporanei kosovari. Le reazioni sono sin da subito risultate violente e il governo del Kosovo ha quindi deciso di bloccare tutto e ha rinviato di un mese la misura.

Quel 1. agosto ha riacceso pericolosamente le tensioni tra Pristina e Belgrado. Repubblica riferisce di sirene che suonano per tre ore nei comuni settentrionali a maggioranza serba, i cittadini che fuggono nelle loro case, bus e ruspe di traverso nelle strade per i valichi di Jarinje e Brnjak, spari, ambulanze, poliziotti in tenuta antisommossa e soldati NATO. Una situazione che in realtà si trascina da anni. Perché la Serbia rifiuta di riconoscere il governo del Kosovo, nonostante l'indipendenza proclamata nel 2008. La considera una provincia usurpata, tanto da chiamare «linea amministrativa» la frontiera. Una fascia di terra complicata.

«Gente a libro paga di Belgrado»

Lo scorso lunedì, a margine di quanto accaduto, il ministro dell'Interno kosovaro, Xhelal Svecla, non si è tirato indietro dal puntare il dito: «Gruppi mascherati armati di fucili, arrivati dalla Serbia e guidati da Belgrado, hanno attaccato i nostri cittadini - ha detto -, li hanno pestati, e sia domenica sia lunedì hanno sparato ai poliziotti con l'obiettivo di ucciderli». Una dichiarazione che risulta importante, perché nell'intervista rilasciata al quotidiano italiano il premier kosovaro torna proprio su questo punto: «Era gente a libro paga di Belgrado, che lavora nelle strutture illegali nel Nord del Kosovo. Alcuni erano proprio criminali. È stato un deja vu: quel metodo era usato dai serbi già nei primi anni Novanta durante la disgregazione della Jugoslavia».

E Kurti non ha dubbi: Mosca comanda Belgrado nel rapporto con il Kosovo. Una terra che genera instabilità alle porte dell'Unione Europea e in cui basta una scintilla per scatenare il putiferio. «Il 25 novembre scorso il premier serbo Vucic era a Sochi: era il diciannovesimo incontro con Putin in dieci anni, in media si vedono due volte all'anno - ha spiegato al giornalista il premier kosovaro -. Non è normale per dei leader di governo». L'Ucraina rischia di fare spaventosamente scuola. «Prima dell’invasione dell’Ucraina le possibilità erano poche, ora la situazione è cambiata. Il primo episodio, conseguenza dell’idea fascista di panslavismo che il Cremlino ha, è stato l’Ucraina. Se avremo un secondo episodio, ad esempio in Transnistria, allora le probabilità che una terza guerra si sviluppi nei Balcani occidentali, e in Kosovo in particolare, saranno altissime».

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