Svizzera

«L’antisemitismo si combatte ripartendo dalle scuole»

L’accoltellamento di un ebreo ortodosso a Zurigo ha nuovamente sollevato il problema – Nel 2023 registrato un aumento massiccio e senza precedenti degli incidenti antisemiti – Il professore Giacomo Jori (USI): «Forse non si è insistito abbastanza con la memoria»
©KEYSTONE/WALTER BIERI

L’accoltellamento, sabato a Zurigo, di un ebreo ortodosso ha fatto riaffiorare un interrogativo: la Svizzera sta vivendo una recrudescenza di antisemitismo? «In realtà, credo che l’antisemitismo non sia mai venuto meno», risponde Giacomo Jori, professore straordinario di Letteratura italiana all’Università della Svizzera italiana e coordinatore delle attività scientifiche del centro di “Judaica” della Fondazione Goren Monti Ferrari. Del resto, «la cronaca riprende quasi a cadenza giornaliera nuovi fatti più o meno violenti e tragici che hanno per protagoniste persone ebree», osserva Jori. Una percezione che trova conferma nell’analisi della Fondazione contro il razzismo e l’antisemitismo, secondo la quale nel nostro Paese, «lo scorso anno si è registrato un aumento massiccio e senza precedenti degli incidenti antisemiti rispetto all’anno precedente, soprattutto a causa del periodo successivo all’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso».

«Piani da non confondere»

Violenze senza dubbio diverse rispetto alla persecuzione sistematica operata dal regime nazista ottant’anni fa, ma che rappresentano un segnale preoccupante. «Per fortuna - dice Jori - i decenni non sono passati inutilmente, e oggi lo scenario storico e il contesto sono completamente cambiati». La variabile nuova - fondamentale - rispetto all’antisemitismo della Seconda guerra mondiale è la nascita dello Stato di Israele. «Un evento che ha cambiato completamente il quadro di riferimento e che non deve farci cadere nell’errore di confondere i due piani». Sì, perché secondo il professore dell’USI, «occorre distinguere tra le rappresaglie che prendono di mira l’ebreo in quanto tale, ossia chi è ebreo per religione, e l’ebreo in quanto appartenente allo Stato di Israele». Israele, ricorda Jori, «è nato anche e soprattutto nel tentativo di risarcire un popolo vittima di genocidio, e ogni tipo di violenza rivolta contro questo Stato inevitabilmente ci riporta a pensare al tentativo di cancellarlo dalla faccia della terra». Attenzione, però, dice Jori, perché i due aspetti non devono essere confusi: «Un piano è Israele come Stato, con un suo operato che deve essere giudicato politicamente e storicamente. Un altro, invece, sono gli ebrei intesi come entità culturale e religiosa».

«Lavorare sulla memoria»

Per anni, si è lavorato sulla necessità di ricordare la Shoah, affinché quella pagina tragica della storia potesse non ripetersi. Oggi, però, la memoria sembra vacillare. «Da un lato - dice Jori -, è qualcosa di fisiologico: con il passare degli anni la memoria si stempera e si offusca». I testimoni diretti dell’Olocausto, infatti, stanno scomparendo e i fatti tragici degli anni Quaranta del secolo scorso si allontano. Ma, secondo Jori, è stato commesso anche un errore di narrazione. «Raccontare gli orrori vissuti dagli ebrei come una favola, a mio avviso, è stato sbagliato. Ecco perché sono del tutto contrario a film come La vita è bella di Roberto Benigni o Schindler’s List di Steven Spielberg. Non si poteva fare di quella memoria - che è sacra - una materia di narrazione cinematografica, che fatalmente porta un racconto, anche il più tragico, a diventare una sorta di passatempo, di evasione narrativa». Non solo. «Forse non si è insistito abbastanza», dice Jori. «Occorre organizzare viaggi delle scolaresche nei campi di concentramento di Auschwitz o Mauthausen, continuare a far leggere ai giovani Se questo è un uomo di Primo Levi. Eppure, io non vedo libri simili nel programma didattico delle scuole medie o superiori, nonostante siano pietre miliari. Come tali, dovrebbero invece assolutamente figurare nei programmi scolastici dei ragazzi di lingua italiana. Far parte, insomma, della loro formazione civile». Ed è proprio sulle nuove generazioni, che bisognerebbe puntare. «Per vaccinarsi contro l’antisemitismo e ogni forma di intolleranza, bisogna partire dalle scuole». E poi ancora: «Contano le testimonianze di chi c’era, di chi ha visto e vissuto l’Olocausto. I testi ci sono e contano molto più dei film e delle fiction sul tema». Per contrastare l’antisemitismo, «serve tenere gli occhi aperti, vigilare, porsi domande. Perché - come cita una frase attribuita a Freud - se sono in pericolo gli ebrei, siamo in pericolo tutti. In gioco, non c’è solo il destino di una minoranza o di un Paese».

«È stata l’aggressione più brutale da decenni a questa parte»

Un rapporto per esaminare e presentare misure per contrastare le ripercussioni sulla politica estera del crescente antisemitismo in Svizzera. Lo ha stabilito il Consiglio nazionale ieri mattina, accogliendo all’unanimità (187 i voti favorevoli) un postulato presentato dalla Commissione della politica estera del Nazionale. Questo fenomeno, secondo il gremio, «negli ultimi tempi ha assunto proporzioni più che preoccupanti». In particolare dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso.

Nel nostro Paese si è quindi assistito a un’estensione dell’antisemitismo, una recrudescenza «che preoccupa tutti», ci spiega a questo proposito Piero Marchesi (UDC), membro della Commissione. Una preoccupazione che ha raggiunto soglie allarmanti dopo il fatto di sangue di sabato scorso a Zurigo, quando un 15.enne di origini tunisine con legami con lo Stato islamico (ISIS) ha accoltellato e ferito gravemente un ebreo ortodosso. Più in generale, rileva ancora il consigliere nazionale, è anche il contesto a essere instabile. «Il diritto a manifestare è sacrosanto e iscritto nella Costituzione, tuttavia ultimamente i toni tra chi sostiene una o l’altra parte si sono accesi. E questo porta a esacerbare gli animi». Non va poi dimenticato – come evidenzia ancora il deputato democentrista prendendo spunto da quanto accaduto nel fine settimana a Zurigo – il problema della radicalizzazione dei giovani. «Ciò che accade in Francia o in Belgio deve farci riflettere», rileva. Su questa scia, il consigliere nazionale Lorenzo Quadri (Lega) ha inoltre interrogato il Consiglio federale chiedendo, fra le altre cose, quante persone residenti in Svizzera risultano a rischio terrorismo e se esiste un monitoraggio sulla radicalizzazione dei giovani musulmani residenti.

La condanna di Cassis

Insomma, gli estremismi sono un problema reale anche in Svizzera e fanno discutere non solo la politica. Ed ecco perché, come ha ricordato alle Camere Jacqueline Badran (PS/ZH) a nome della Commissione, sebbene la lotta all’antisemitismo sia un compito politico interno, assume anche notevole importanza nel contesto della politica estera. «La Svizzera ha il dovere nei confronti degli ebrei di tutti i Paesi e della comunità internazionale di fare tutto il possibile per assicurare che l’antisemitismo non abbia spazio».

Il Consiglio federale, per bocca del ministro degli esteri Ignazio Cassis, era ad ogni modo contrario al postulato. Invitava infatti a respingerlo e raccomandava nel contempo di sostenere una mozione che sarà trattata domani in Parlamento, e che chiede una strategia e un piano d’azione contro ogni forma di antisemitismo e di razzismo. Ma – come detto – il plenum non lo ha seguito e ha approvato all’unanimità il postulato. Cassis ha comunque colto l’occasione del dibattito in Parlamento per condannare pubblicamente - a nome del Governo - l’atto antisemita commesso a Zurigo.

Numeri in forte crescita

L’aggressione avvenuta nel Kreis 2 è solo l’ultimo di una serie di episodi antisemiti. A questo proposito, Jonathan Kreutner, segretario generale della Federazione svizzera delle comunità israelite (FSCI), spiega al CdT che «dal 7 ottobre scorso abbiamo assistito a un forte aumento di questi episodi, in particolare nel mondo reale», quindi non più solo sui social o nella Rete. In particolare, rileva Kreutner, «anche l’intensità è aumentata. L’attacco di sabato ha confermato i nostri timori, anche perché è stato l’incidente più brutale degli ultimi decenni». Secondo la FSCI, «ora è importante che lo Stato prenda una posizione chiara. La città e il Cantone di Zurigo hanno dato segnali chiari e hanno intensificato le misure di sicurezza. Ma anche la società nel suo complesso ha una responsabilità. Bisogna unire le forze».

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