Proteste

L'Iran mette in prigione anche l'attrice Taraneh Alidoosti

Il Locarno Film Festival e Cannes scendono in campo con un appello per la sua liberazione – Manifestazioni sui social e anche fuori dal carcere di Evin
© Instagram (@taraneh_alidoosti)
Jenny Covelli
19.12.2022 19:13

La protesta in Iran non si placa, anzi prosegue senza sosta dal 16 settembre, quando Mahsa Amini, 22 anni, originaria del Kurdistan iraniano, è morta a Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non avere indossato correttamente il velo islamico come prescritto dalle leggi iraniane. Morta per un capello fuori posto. Da allora manifestazioni per le strade, scioperi e studenti in rivolta, con slogan che vanno da «Donne, vita, libertà» a «morte all'ayatollah». Come ha risposto il governo? Con la repressione. In un primo documento, emesso il 21 settembre, il Quartier generale delle forze armate parlava di «affrontare severamente gli antirivoluzionari e coloro che creano disordini». Con un secondo documento, due giorni dopo, il comandante delle forze armate della provincia di Mazandaran ordinava di «affrontare senza pietà, anche arrivando alla morte, qualsiasi disordine provocato da rivoltosi e antirivoluzionari». E si è arrivati anche alle condanne a morte. Sono attualmente almeno 39 i manifestanti a rischio di esecuzione o di esecuzione in Iran. La denuncia, di ieri, è del gruppo Iran Human Rights (IHR) con sede in Norvegia. Almeno 469 persone, tra cui 63 bambini e 32 donne, sono state uccise dalle forze di sicurezza durante le attuali proteste a livello nazionale. I manifestanti sono stati uccisi in 25 province. La maggior parte delle segnalazioni arrivano da Sistan-Baluchistan, Azerbaigian occidentale, Kordestan, Teheran e Mazandaran, ha osservato l'organizzazione.

Tra le fila dei «rivoltosi» che il regime ha deciso di punire ci sono anche nomi noti. Tra cui, addirittura, Farideh Moradkhani, nipote del leader supremo Ayatollah Ali Khamenei, arrestata per avere criticato le autorità guidate dallo zio definendole come un «regime assassino e che uccide i bambini». E negli scorsi giorni Taraneh Alidoosti, una delle più note attrici iraniane, è stata arrestata dalle forze di sicurezza dopo avere criticato sui social media l’esecuzione del primo condannato a morte per le proteste in corso nel Paese. L'attrice, stando all'agenzia di stampa Tasnim, è accusata di «diffondere informazioni false e di sostenere circoli contro-rivoluzionari», come pure di avere «pubblicato contenuti falsi e distorti e incitato al caos», oltre che di avere (anche lei) infranto il rigido codice di abbigliamento femminile della Repubblica islamica.

Senza velo e «combatterò per la mia casa»

Alidoosti si era schierata con i manifestanti e con le donne iraniane sin dai primi giorni delle proteste. Ha pubblicato diversi post a favore delle manifestazioni e di denuncia contro la Repubblica islamica. E il mese scorso ha pure postato su Instagram una sua foto in cui non indossava il velo e reggeva un cartello con la scritta in curdo «Donna, vita, libertà». Profilo che conta 8 milioni di follower e che, ora, risulta inaccessibile. Il 5 novembre, l'attrice aveva lanciato una coraggiosa sfida al regime: «Rimango e non ho intenzione di andarmene come si vocifera in giro. Non ho passaporto o residenza in nessun altro Paese se non l'Iran. Resterò, smetterò di lavorare, e sarò al fianco delle famiglie dei prigionieri e delle persone uccise ed esigerò il rispetto dei loro diritti. Combatterò per la mia casa. Pagherò qualsiasi prezzo per difendere i miei diritti e, soprattutto, credo in ciò che stiamo costruendo insieme oggi». Detto, fatto: è finita in manette. Sempre sui social, per raggiungere più persone possibile, aveva commentato l’esecuzione del manifestante Mohsen Shekari, scrivendo: «Ogni organizzazione internazionale che assiste a questo spargimento di sangue senza agire è una vergogna per l’umanità».

Il precedente

Taraneh Alidoosti è la co-protagonista di The Client del regista iraniano Asghar Farhadi. Il film, del 2006, racconta la vicenda di una coppia di Teheran, «facendo nascere (citiamo da un articolo del nostro Antonio Mariotti, ndr.) una trama appassionante e ricca di significati sociali da un incidente apparentemente banale e sovrapponendo la realtà al teatro». Il film ha vinto il Prix du scénario e il Prix d'interprétation masculine al Festival di Cannes 2016, nonché il premio Oscar 2017 come migliore film straniero.

L'attrice iraniana ha boicottato la cerimonia degli Academy Awards per protestare contro la stretta del presidente statunitense Donald Trump sui visti dai paesi islamici. In un tweet aveva scritto: «Il divieto di visto per gli iraniani di Trump è razzista. Sia che riguardi che non riguardi gli eventi culturali io non parteciperò agli #AcademyAwards 2017 per protesta». L'Iran era infatti nella lista dei Paesi che comprendono Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen indicati da Trump come quelli da bandire per il rischio terrorismo. 

Gli appelli

Il cinema è nel frattempo sceso in campo a difesa dei diritti del popolo iraniano. L'attrice sarebbe stata rinchiusa nel carcere di Evin, nel braccio riservato ai casi di sicurezza nazionale. Lo ha comunicato al padre in una breve telefonata, secondo quanto riferisce la BBC. Davanti alla prigione, decine di personaggi famosi del cinema hanno organizzato un raduno chiedendo la sua liberazione. Tra i partecipanti la regista Rahshan Banietemad, l'attore Peiman Moadi e le attrici Hengameh Ghaziani e Mitra Hajjar. «Questa coraggiosa attrice iraniana è stata arrestata», ha scritto su Instagram la collega Golshifteh Farahani, attrice e attivista da anni all'estero per problemi con le autorità.

«Taraneh Alidoosti è una delle attrici più talentuose e acclamate dell'Iran... Spero che sia libera di continuare a rappresentare presto la forza del cinema iraniano», ha twittato Cameron Bailey, a capo del Toronto International Film Festival. La celebre attrice britannica di origine iraniana, Nazanin Boniadi, ha denunciato che la collega è stata arrestata per «avere pubblicato una sua foto senza l'hijab obbligatorio in solidarietà con i manifestanti». Agli appelli si è unita l'attrice e regista iraniana, Niki Karimi che, con un lungo post su Instagram, ha invitato la sua generazione post Rivoluzione islamica a superare «le paure istituzionalizzate»: «Basta, siamo stanchi e ora torniamo alla vita».

Il festival di Cannes chiede l'immediato rilascio dell'attrice. «È stata arrestata per il suo sostegno al movimento per la libertà nel suo Paese. Condanniamo fermamente questo arresto e chiediamo il suo immediato rilascio - si legge in un tweet, in cui viene citato il suo ruolo nel recente Leila's Brothers di Saeed Roustayi -. In segno di solidarietà con la lotta pacifica che sta portando avanti per la libertà e i diritti delle donne, il Festival di Cannes le estende il suo pieno sostegno».

Il Locarno Film Festival si è spinto anche oltre, esprimendosi sulla situazione generale nel Paese: «Ciò che accade in Iran è sotto gli occhi di tutti. Eppure, il silenzio occidentale è sconfortante, nonostante encomiabili eccezioni. La rivoluzione iraniana, pacifica e gioiosa, è aggredita con violenza estrema, odiosa, da un potere che non intende ragioni». Poi, il mea culpa: «Per anni nel cinema abbiamo frainteso i silenzi e le rarefazioni del cinema iraniano come sola espressione di una poetica della sottrazione, senza riuscire a cogliere pienamente e sino in fondo il motivo di tanti non detti. Solo quando la mannaia della repressione si abbatteva su Jafar Panahi, Mohammad Rasoulof, Keywan Karimi e tantissimi altri ci si svegliava improvvisamente dal torpore e si vedeva la violenza in essere. La morte di Mahsa Amini è stato uno spartiacque». Quindi, lo «sdegno» e la presa di posizione: «La repressione si abbatte: bambini, donne, artisti, anziani. Adesso alla lista delle vittime si aggiunge anche il nome di Taraneh Alidoosti, magnifica attrice premiata a Locarno per la sua performance nel 2002 (I Am Taraneh, I Am Fifteen Years Old, di Rasoul Sadrameli, ndr.). Come luogo deputato alla libertà d'espressione e di parola, come festival cinematografico che ha sempre ascoltato le voci provenienti dal cinema iraniano, esprimiamo con fermezza il nostro sdegno contro questa violenza inaccettabile. Tacere significa essere complici. Il Locarno Film Festival, nel rispetto della sua tradizione contro ogni censura e violenza, si schiera con il desiderio di libertà e autodeterminazione delle comunità iraniane».

© Locarno Film Festival
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