Lo aggredì con una mazza, «volevo solo difendermi»

«Ho solo cercato di difendermi durante la colluttazione. È accaduto tutto molto velocemente. Di fronte a me avevo un uomo più grosso, arrabbiato, che mi insultava, mi minacciava e mi ha messo le mani addosso. Ho avuto un momento di vuoto, non ci ho più visto. Da lì è tutto un miscuglio di frammenti di ricordi». Questa la ricostruzione resa in aula dal 52.enne cittadino svizzero di origini polacche di quei concitati momenti dove aggredì un suo conoscente, un 59.enne italiano, il 4 febbraio 2022 a Bellinzona. L’uomo - patrocinato dall’avvocatessa Maria Galliani - è comparso questo pomeriggio di fronte alla Corte delle Assise criminali, presieduta dal giudice Amos Pagnamenta (a latere Renata Loss Campana e Fabrizio Filippo Monaci). A suo carico, secondo l’atto d’accusa stilato dalla procuratrice pubblica Pamela Pedretti, pendono i reati di tentato assassinio, ripetuta appropriazione indebita e falsità in documenti. Il dibattimento proseguirà domani: parola alle parti e forse, nel tardo pomeriggio, la sentenza.
Affari e bugie
«Gli dovevo 25.000 franchi, ma non li avevo. Così inventavo scuse, prendevo tempo e intanto le bugie non facevano altro che aumentare». Come una valanga. Alla base del litigio, sfociato poi nell’aggressione, c’è il debito che l’imputato aveva nei confronti della vittima. I due si conoscevano da tempo, come ricostruito dal giudice. Il 59.enne era cliente della stazione di servizio lungo via Emilio Motta, dove lavorava il 52.enne. Ed ecco che prende forma un accordo tra i due: la compravendita di un furgone di proprietà della vittima per la somma pattuita di 25.000 franchi. Ma qui sono iniziati i problemi. L’imputato infatti, non solo non ha pagato il debito nei confronti della vittima, ma ha rivenduto il furgone appena acquistato a una terza persona, per annullare un ulteriore debito. La vittima, dopo qualche tempo, ha iniziato a chiedere che fine avesse fatto il veicolo e dove fossero i suoi soldi. «Ho iniziato allora con le bugie per prendere tempo e da lì è cominciata tutta una valanga di menzogne», ha spiegato l’accusato, tra false promesse di saldare il debito, rimandi e continue scuse. Intanto il 59.enne si alterava sempre di più, ha spiegato l’imputato, «tanto che ho iniziato a sentirmi in pericolo». Tuttavia, ha rilevato Pagnamenta, «non ha saldato il debito anche se con la sua attività di trading online poteva farlo, così il suo creditore avrebbe smesso con le richieste».
Attimi ricostruiti
In aula il presidente della Corte ha più volte richiamato alla memoria dell’uomo i fatti di quel giorno, elencati nell’atto d’accusa. «Dalle perizie fatte risulta che la vittima venne colpita alla testa con una mazza almeno sette volte, forse anche quando si trovava a terra». Circostanza, quest’ultima, che l’imputato ha negato. Dicendo di ricordare solo un primo colpo alla testa, sferrato nel tentativo di difendersi nello scontro. Pagnamenta ha anche sottolineato durante il dibattimento che il 52.enne aveva già parlato in passato (ma riferito a un’altra persona) di «aprire il cranio con la mazza a qualcuno», circostanza per la quale l’uomo si è detto dispiaciuto, ammettendo di essere stato in preda ai fumi dell’alcol in quel momento: «Ho detto cose molto sopra le righe».
Un passato complicato
Completo blu scuro, scarpe da ginnastica bianche e andatura composta. Così si è presentato l’imputato. Nelle prime fasi il processo è stato flemmatico, similmente all’atteggiamento dell’uomo e alle prime risposte fornite al giudice. Dallo sguardo abbassato del 52.enne era possibile evincere un misto di rassegnazione, rammarico e ritegno. Si è sforzato di essere preciso nel replicare. Quando si sono discussi i fatti antecedenti all’accaduto, il quadro che gradualmente è emerso è apparso socialmente complicato: problemi di alcolismo, debiti, investimenti falliti e persistenti rogne con la futura vittima. Una situazione a dir poco ingarbugliata, insomma. Il presidente della Corte di fronte a questo scenario si è mostrato autorevole, esigente e capace di estrapolare informazioni anche quando l’uomo esitava. Man mano però che il processo si avvicinava agli eventi, i toni in aula sono cambiati. Le risposte dell’imputato sono risultate sempre più confuse e meno congrue ai fatti accaduti e spesso, incalzato dal giudice, non ricordava. Ecco quindi i «non ricordo» o «ancora oggi non me lo so spiegare». Di fronte ai più ricorrenti oblii dell’uomo, messosi nel frattempo sulla difensiva, Pagnamenta si è posto con maggior durezza e ha cercato fino alla chiusura della prima giornata dibattimentale di mettere il 52.enne alle strette, con l’obiettivo di ottenere risposte maggiormente sincere.