Sotto la lente

Lo sport, occasione di dialogo oltre ogni barriera culturale

Atlete e atleti di origini balcaniche accolti nel nostro cantone hanno raccontato le loro esperienze in una tavola rotonda organizzata in città dalla Fondazione Spitzer – Mijat Marić: «Nello spogliatoio si è una cosa sola»
© Fondazione Federica Spitzer
Irene Solari
19.09.2023 18:45

Una tavola rotonda in città e una grande festa al mercato coperto di Giubiasco. Dopo una prima tappa a Locarno, la Fondazione Federica Spitzer, che si occupa di favorire l’integrazione, ha scelto di organizzare ben due eventi nel Bellinzonese. Fulcro di questi momenti di incontro è stato il ponte tra Balcani e Ticino, costruito sulle storie di integrazione di sportivi ticinesi di origine balcanica. La tavola rotonda, organizzata nella sala del Consiglio comunale di Bellinzona, ha visto dapprima i saluti e il benvenuto di Fulvio Pezzati, membro del consiglio della Fondazione e della consigliera di Stato Marina Carobbio Guscetti, direttrice del DECS, per poi essere moderata da Giacomo Moccetti.

Un momento di incontro, quello di Bellinzona, con gli ospiti provenienti da comunità balcaniche diverse e con al centro lo sport, visto come mezzo di dialogo e scambio al di là della lingua parlata. E terreno di gioco principale su cui si incrociano moltissime storie di immigrazione e integrazione. A raccontarle c’erano diversi nomi del panorama sportivo. Come l’ex calciatore, ora dirigente sportivo, Mijat Marić, il cestista già nazionale svizzero Dušan Mladjan, la nuotatrice Emma Mecić, medaglia d’argento ai mondiali paraolimpici. Ma anche il calciatore professionista David Stojanov, il pugile Ardian Suli, campione svizzero di pesi supermassimi, e Omar Puzić, giocatore di hockey della nazionale bosniaca Under 18.

Una lingua universale

Un panorama molto variegato, legato da uno speciale trait-d’union: lo sport. Importantissimo per l’integrazione, come ha raccontato Mijat Marić, arrivato in Ticino dalla Croazia a soli cinque anni e senza sapere una parola di italiano. Con il calcio che è stato un vero e proprio mezzo per diventare svizzero. «I primi giorni a scuola - ha raccontato l’ex calciatore - erano veramente difficili, non riuscivo a comunicare. Sui banchi stavo zitto e aspettavo di poter andare a casa». Poi lo sport. Un’illuminazione. «Il modo per comunicare con gli altri bambini - ha proseguito Marić - era il pallone. Giocare per me è stato un sollievo, una liberazione. Potevo condividere qualcosa con gli altri. L’esprimersi con corpo, emozioni e gesti dello sport ha aiutato tantissimo».

Non dimenticare le radici

Un punto sul quale tutti gli sportivi balcanici hanno concordato è quello di non dimenticare mai da dove si viene. E questo proprio nell’ottica di apprezzare dove si riesce ad arrivare, ha spiegato di nuovo Marić: «È sempre stato importante ricordare da dove vengo, le difficoltà che ho passato. Il Ticino e la Svizzera mi hanno dato l’opportunità di ricominciare, di avere di nuovo speranza e obiettivi. Una cosa che non potrò mai dimenticare». Un altro esempio è quello del serbo Dušan Mladjan: grazie al suo canestro, la nazionale svizzera di basket ha battuto la Serbia in finale, in quella che viene definita la più grande impresa della pallacanestro rossocrociata in epoca recente. «Quel canestro - ha ricordato il cestista - è stato un mix di emozioni: ho segnato alla Serbia, mio Paese di origine. Ma al contempo ero felice per la Svizzera, è stata una vittoria storica. Naturalmente non possiamo dimenticare da dove siamo arrivati, non si può cancellarlo dalle nostre emozioni. Però una parte del nostro cuore è anche per questa nazione che ci ha accolti e ci ha dato tutto, e verso la quale siamo molto riconoscenti».

Unione al di là di tutto

Una domanda emersa nel corso della discussione con gli sportivi è stata se non ci sia il rischio di avere delle tensioni in squadra quando ci si ritrova a dover giocare fianco a fianco con persone che vengono da altre nazioni balcaniche, storicamente non così amiche. Non secondo Marić, che ha spiegato: «Le squadre oggi sono tutte multietniche e lo sport è bello proprio perché siamo esseri umani e basta. Non ci sono nazioni, nello spogliatoio si è una cosa sola. Questa è la ricchezza dello sport: fare unità». Anche Mladjan è d’accordo: «In Svizzera l’integrazione è funzionata, ci sono tante nazionalità diverse che convivono molto bene. E poi c’è lo sport che è un grandissimo veicolo per riappacificare tutti i popoli e tenerli uniti. In spogliatoio siamo tutti uguali, tutti i muri crollano e non ci sono pregiudizi, anche tra ragazzi di Paesi che erano in guerra».

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