Macron, Merz e Starmer: la diplomazia del treno si è fermata, ancora, a Kiev

Tre anni fa, nel giugno del 2022, dalle carrozze di un convoglio diretto a Kiev scesero tre uomini-simbolo dell’Europa e, allargando il campo, dell’Occidente. Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Mario Draghi. Francia, Germania e Italia. Era, quello, il tempo delle sirene e del fumo, denso, della guerra. E l’Europa, rispetto all’Ucraina e all’invasione russa, con quel viaggio volle lanciare un segnale. Tra ambiguità e timori, quel treno, lento e silenzioso, tagliò la notte portando con sé non solo leader politici, ma anche un atto di speranza e, soprattutto, unità.
Un altro treno, ora, ha aggredito i binari verso Kiev. A bordo, altri volti: Emmanuel Macron è rimasto, stavolta affiancato dal premier britannico Keir Starmer e dal cancelliere tedesco Friedrich Merz. L’Italia, oggi rappresentata in videocollegamento da Giorgia Meloni nell’incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, stavolta non è fisicamente presente. Ma l’intenzione è chiara, anzi chiarissima: l’Europa c’è. Vuole esserci. Una volta di più. Nonostante le storture e le divergenze interne, a immagine della presenza del primo ministro slovacco Robert Fico a Mosca, ieri, per il Giorno della Vittoria. Di qui le foto, dal valore simbolico altissimo e paragonabili a quelle di tre anni fa, scattate in treno, con Macron, Merz e Starmer seduti attorno al tavolo, i volti distesi ancorché concentrati. Uno spaccato di unione, non solo Unione pensando al Regno Unito, e unità. Di intenti, innanzitutto, ma anche di visione.
Poco o nulla, si dirà, è cambiato fra un viaggio e l’altro. La Russia, al di là di tregue temporanee, sta ancora martoriando l’Ucraina. E, sul piano diplomatico, insiste: se mai ci sarà pace, bisognerà ascoltare Mosca. Il treno, per contro, rimane una metafora potente. Un simbolo, appunto, della volontà dell’Europa di andare verso, come sottolineano gli esperti. Non solo in termini fisici e, se vogliamo, geografici, ma anche politici e morali. Tre anni fa, nel 2022, Macron, Scholz e Draghi vollero «vedere» la guerra. Toccarla con mano, anche. Oggi, Macron e gli altri leader intendono altresì inserirsi nella partita per chiudere il conflitto. In questo senso, ieri tramite un comunicato congiunto è stato chiesto con forza all’amministrazione Trump di sostenere un piano per un cessate il fuoco di 30 giorni. Tre anni fa l’Europa portava promesse di aiuti, oggi invece cerca una tregua e, allargando il campo, una via d’uscita da un conflitto che rischia di diventare eterno.
Nel 2022, ancora, il treno rappresentava un’Europa che si svegliava. Nel 2025, un’Europa che prova a decidere. È un passaggio sottile, ma fondamentale raccontano gli analisti: dalla reazione alla proposta. Dalla solidarietà all’iniziativa. Ma il treno, con il suo incedere lento, quasi anacronistico in tempi così iperconnessi, ci ha ricordato altresì che la diplomazia – come la pace – non si costruisce in velocità, ma per gradi e tappe. Con fatica. Con buona pace di chi, come Donald Trump, aveva promesso di arrivare a una soluzione in poche ore.
C’è però un’ombra che lega questi due viaggi: la Russia, dicevamo, non ha ancora fermato la sua macchinabellica. Di riflesso, finché su altri binari, paralleli, continuerà a viaggiare unalogica opposta – da una parte quella dell’assedio, dall’altra quella della ricostruzione – l’arrivo sarà sempre provvisorio. Quantomeno, l’Europa nel vagone della storia ha scelto di restare in viaggio. Oggi, come tre anni fa, Kiev rimane la sua fermata più difficile. Ma è anche la più necessaria.