Russia

1999: entra in scena Vladimir Putin

L’inizio del quinto mandato presidenziale di Vladimir Putin ispira a parlare di un soggetto non aggirabile, negli ultimi duecento anni di storia russa: i servizi segreti
©Sputnik
Luca Lovisolo
14.03.2024 15:30

L’inizio del quinto mandato presidenziale di Vladimir Putin ispira a parlare di un soggetto non aggirabile, negli ultimi duecento anni di storia russa: i servizi segreti. Nella prima metà dell’Ottocento si diffondono in Europa le rivendicazioni di diritti costituzionali, contro l’assolutismo delle monarchie e l’incertezza dei diritti civili. In Italia, nel 1848 i Savoia promulgano lo Statuto albertino, prima carta costituzionale del Regno; la Svizzera, dopo la Guerra del Sonderbund, approva la prima Costituzione federale (1848) che resterà legge fondamentale della Confederazione fino al 1999. Il risveglio nazionalista fa scricchiolare l’Impero austroungarico e quello ottomano. Crolleranno entrambi nel 1918, sotto i colpi della Prima guerra mondiale.

Nella Russia degli zar, l’afflato rivoluzionario arriva dalla Francia. Lingua e cultura francese godono in Russia di larga diffusione, fra Settecento e Ottocento. Nobiltà e circoli intellettuali vivono in simbiosi con il francese, lingua presente anche tra classi meno elevate. Ideali costituzionali covano nelle associazioni clandestine. Alla rivolta contro la monarchia si salda quella delle popolazioni non russe dell’Impero, soggiogate dall’egemonia di Mosca. Un protagonista di quel momento è il poeta e pittore ucraino Taras Ševčenko. Nel dicembre del 1825, a San Pietroburgo, gruppi ribelli dell’esercito russo rifiutano di giurare fedeltà al nuovo zar Nicola I. Sono i Decabristi (dal russo Decabr’, dicembre).

Così nasce la polizia segreta

Qualunque forma prenda nella sua storia, lo Stato russo, a differenza di altri, dalle rivoluzioni esce sempre incattivito. Lo zar reprime la rivolta di dicembre. Incarica la Terza sezione della sua cancelleria di sorvegliare e schiacciare ogni protesta: è nata la polizia segreta russa. Nel 1881 Nicola III muta la Terza sezione in un nuovo organismo, l’Ochrana, in russo protezione. Nel 1917, con la Rivoluzione d’ottobre, all’Ochrana subentra una sigla famigerata: VČK, abbreviazione di Commissione straordinaria di tutte le Russie per il contrasto alla controrivoluzione e al sabotaggio. Comunemente citata senza la prima lettera, si pronuncia cekà e i suoi componenti si chiamano cekisti. La cekà non protegge più il sistema zarista ma quello comunista. I servizi segreti russi cambiano ancora sigla più volte: da cekà a GPU, poi NKVD, un ministero degli interni con poteri inquisitori e repressivi; poi KGB, i celeberrimi servizi segreti sovietici; infine, nella Russia postsovietica sorge il Servizio federale di sicurezza, FSB. Eppure, nel linguaggio comune, gli agenti dei servizi segreti russi si chiamano sempre cekisti, appellativo oggi indicante chiunque svolga attività oscure, all’ombra dello Stato, con metodi nebulosi.

I servizi segreti coordinano il colpo di Stato dell’agosto 1991, che segna la fine morale dell’Unione sovietica. Falliscono, grazie alla caparbietà di Michail Gorbačëv e Boris Eltsin. Proprio alle spalle di Eltsin, divenuto primo presidente della Russia postsovietica, pochi anni dopo i servizi assestano un colpo da maestri: mettono un loro uomo tra i dirigenti dell’amministrazione presidenziale e fanno credere a Eltsin che quell’uomo, tale Putin da San Pietroburgo, sia il suo naturale successore.

Putin, ma da dove arriva?

Vladimir Vladimirovič Putin nasce nel 1952 a Leningrado (oggi San Pietroburgo), nel quartiere Dzeržinskij. Vive in una kommunalka, gli appartamenti dalle stanze condivise tra più famiglie, con i servizi – se c’erano – e la cucina in uso comune. Il piccolo Vladimir cresce azzuffandosi con i compagni, per farsi valere nei cortili del quartiere; a scuola si distingue come attaccabrighe. Cambia istituto e un’insegnante si accorge che il giovanetto Putin ha delle possibilità. Gli smussa gli spigoli e lo invoglia a studiare. Si può criticare il modo in cui Putin utilizza il suo talento, ma non si può negare che ne abbia: si appassiona alle arti marziali, studia, utilizza tutti gli ascensori sociali che l’Unione sovietica mette a disposizione di chi è disposto a servirla senza condizioni. Si laurea in legge e, a soli 23 anni, realizza il suo intento di entrare nei servizi segreti. Alla scuola dei servizi studia ancora tra il 1984 e il 1985. Lavora cinque anni come funzionario del KGB in Germania est, a questa permanenza deve la sua eccellente conoscenza del tedesco. La convivenza tra la ponderazione dell’uomo istruito e la diffidenza istintiva, il guizzo del ragazzo cresciuto coi modi spicci dei cortili urbani resta fino a oggi, sottotraccia, un tratto del suo carattere.

Putin rientra dalla Germania nel 1990. Lascia i servizi segreti, a San Pietroburgo diventa funzionario del popolare sindaco Anatolij Sobčak. Ha mansioni delicate ma di retroscena. Conosce i gangli dell’amministrazione. Esposto a critiche e sospetti, impara a contrastare senza complimenti chi gli si oppone. Comincia così, quarantenne, a costruire la rete di contatti su cui farà leva per guidare la Russia da presidente. Arriva a Mosca nel 1996 e si addentra nel Cremlino come dirigente dell’amministrazione di Boris Eltsin, declinante nel fisico, prigioniero dei suoi errori e schiacciato dallo strapotere degli oligarchi. Nel 1998 Putin torna ai servizi segreti, dove aveva mosso i primi passi da neolaureato: ora ne è direttore.

La mano discreta dei servizi segreti

Sul ruolo dei servizi segreti nell’ascesa di Putin gli storici si dividono. Vi sono fatti significativi. La carriera di Putin è un percorso non casuale che gli permette di costruire relazioni indispensabili e lo introduce nella macchina statale. Putin resta fuori dai servizi tra il 1991 e il 1998, ma forse mentalmente non li abbandona mai. Nel 2020, parlando in TV del tentato avvelenamento di Aleksej Naval’nyj, Putin si riferisce ai servizi segreti usando il «noi», un lapsus rivelatore. Nel decennio tra l’uscita di scena di Gorbačëv e la fine della parabola di Eltsin, Putin svolge ruoli di responsabilità ma protetti da una certa discrezione, nei quali affina le sue attitudini. Si può discutere sui dettagli, ma nella vicenda di Putin è difficile non sentire l’alito dei servizi segreti, come emerge anche dalle 700 pagine dell’inchiesta di Catherine Belton Putin’s People (HarperCollins, 2020).

Nell’agosto 1999 Boris Eltsin capisce che la sua stagione è finita. Non mancano personalità adeguate a succedergli. Tra queste c’è Evgenij Primakov, uomo colto e fuori dalla mischia; ha dato buona prova di sé come capo del governo e gode di crescente popolarità, osserva Michail Gorbačëv nel suo libro tradotto in italiano come Il nuovo muro. C’è Boris Nemcov, dinamico vicecapo del governo. Eltsin, invece, indica come successore un gelido e sconosciuto Vladimir Putin. Proprio Nemcov, in un’intervista con il giornalista ucraino Dmitrij Gordon, spiega perché: «Eltsin era malato, non sapeva quanto ancora avrebbe vissuto. Putin era vicino a Berezovskij e ad altri oligarchi. Per Eltsin, Putin era uno di famiglia, che avrebbe garantito la continuità rispetto a Eltsin stesso e a chi lo circondava.»

Finale di partita per la Russia di Eltsin

Con le elezioni del 26 marzo 2000 Putin si insedia alla presidenza. La familiarità, la continuità in cui Eltsin sperava volendolo come suo successore era un’illusione ben costruita. Come nel crescendo finale di un’opera, in quei giorni in cui si chiude l’era Eltsin tornano in scena tutti i protagonisti, le loro contraddizioni e le loro speranze tradite. Georgij Šachnazarov, politico vicino a Gorbačëv negli anni della Perestrojka, profetizza con sbalorditiva esattezza: «In un futuro molto vicino, in Russia forse arriverà un regime moderatamente autoritario e la società lo accoglierà con favore. La classe politica punta sulla rinascita della Russia come grande potenza. La società russa, almeno la sua maggioranza, spera di recuperare il benessere, se la Russia tornerà una superpotenza». Gorbačëv ricorda: «L’analisi era fondata, ma io non potevo – per meglio dire, non volevo accettare l’idea che la Russia diventasse autoritaria».

La notte elettorale in cui Putin trionfa, Eltsin – racconta la figlia Tat’jana – rimane alzato fino a tarda ora. È stanco e ammalato. Si sente padrino della vittoria di Putin, aspetta una telefonata di ringraziamento. Putin non lo chiama. Il vecchio Eltsin capisce da quel telefono muto che non è lui il creatore del nuovo presidente. Dietro Putin c’è la rete costruita negli anni tra servizi segreti, politici e affaristi che hanno la loro idea di Russia. Oligarchi e funzionari dell’era Eltsin cadono come birilli. Berezovskij, sopra citato, ripara all’estero e muore in circostanze mai chiarite, non sarà il solo. Nemcov prosegue la sua carriera politica opponendosi a Putin: nel 2015 viene ucciso a due passi dal Cremlino. La battuta finale la scrive Leonid Kravčuk, primo presidente dell’Ucraina indipendente, in una delle tante interviste rilasciate su quegli anni: «Gorbačëv, Eltsin e Putin sono tutti e tre imperialisti, con una differenza. Gorbačëv e Eltsin riconoscevano che ci sono dei limiti che non si devono superare. Putin, no».

Questo approfondimento fa parte di una seria curata dal ricercatore indipendente Luca Lovisolo in esclusiva per CdT.ch. Per leggere la prima puntata clicca qui. Per leggere la seconda puntata clicca qui.

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