Anche la Svizzera suda freddo, dopo la «letterina» di Trump

Alla fine la stangata è arrivata, o almeno così sembrerebbe. L'impressione è di un dejà vu. E l'impressione è che questa volta non basterà una chiamata della presidente della Confederazione Karin Keller Sutter a far rientrare la crisi, come all'indomani del "Liberation Day".
I dazi nei confronti dell'economia Ue sono stati annunciati oggi dal presidente Usa Donald Trump tramite il suo social personale Truth, come da prassi, e sono peggio di quanto ci si aspettasse: 30 per cento, il triplo di quel 10 per cento "d'ufficio" che Bruxelles sembrava disposta ad accettare.
Manca un mese all'ora X, il primo di agosto che rischia di trasformarsi nella Festa Nazionale più triste di sempre (o da molto tempo) per l'Europa e anche per la Svizzera. La lettera per Keller Sutter non è ancora arrivata, ma sembra sia oramai questione di giorni, forse ore. E i margini di trattativa si restringono più il tempo passa, mentre i toni inizialmente concilianti di Trump ("l'Europa ci ha trattato bene") non fanno ben sperare neanche Berna.
Botta e risposta
Per ora i dazi - da cui sono esclusi i settori in cui si applicano già dazi specifici, come quello dell'acciaio e dell'alluminio, al 50 per cento - colpirebbero duramente anzitutto la Germania, principale potenza economica d'Europa, e questa non è una buona notizia per la Svizzera: la Bundesrepublik è il secondo mercato di esportazione delle merci elvetiche - spesso componentistica che viene poi ri-esportata dalla Germania - mentre il primo sono proprio gli Stati Uniti.
Il conto "indiretto" potrebbe essere ancora più salato, perché la presidente Ue Ursula Von der Leyen ha già annunciato "contromisure" e Trump ha risposto che, in questo caso, i dazi americani potrebbero salire ancora. La prima mossa di Bruxelles, che ha convocato domani una riunione d'urgenza degli ambasciatori, potrebbe già scattare a mezzanotte di lunedì: si tratta dei dazi doganali "congelati" dall'Ue in risposta a quelli americani su acciaio e alluminio, e che erano stati sospesi proprio in attesa della conclusione della trattativa principale: sarebbe interessato, come già annunciato in passato, un paniere di beni del valore di 21,5 miliardi di euro.
Al momento all'interno dell'Unione corrono in realtà delle divisioni sull'approccio con cui rispondere a Trump. La Germania, ad esempio, finora ha spinto per un accordo rapido. La Francia invece si è espressa contro un accordo a qualsiasi costo, e ha chiesto a Bruxelles una "linea dura".
E la Svizzera?
Venendo a noi. La decisione di Trump di punire il partner commerciale transatlantico, nonostante i negoziati siano ancora in corso, preoccupa il governo federale. Anche i colloqui tra Berna e Washington sembravano prossimi alla conclusione negli ultimi giorni, secondo fonti ben informate in Svizzera citate dall'Aargauer Zeitung.
Ma manca ancora la firma: e la lettera a Bruxelles ha chiarito che nell'apporla, Trump è capace di scavalcare il suo team negoziale capitanato dal Segretario al Tesoro Scott Bessent e dal Segretario al Commercio Howard Lutnick. Forse si tratta di una tattica negoziale: il presidente Usa potrebbe usare deliberatamente la sua imprevedibilità per mettere in ginocchio gli altri paesi.
Dal punto di vista di Berna, comunque, le speranze di una salvezza in corner alimentate dal sentimento positivo delle Borse si riducono progressivamente. Più il tempo passa e si accumulano le missive via Truth di Trump (ora siamo arrivati a 24) più le possibilità della Svizzera di fare eccezione si assottigliano. Senza contare, di nuovo, gli effetti indiretti: l'Unione Europea è il principale partner commerciale della Confederazione (acquista poco meno del 40 per cento delle esportazioni rossocrociate, contro il 16 per cento degli Usa) e un rallentamento dei mercati europei, dal primo di agosto in avanti, genererebbe inevitabilmente un contraccolpo in Svizzera.
Non è tutto. Oltre ai dazi "generali" ci sono anche quelli su settori specifici, e la farmaceutica è da tempo nel mirino di Trump: l'ultima bordata (200 per cento di dazi sui prodotti farmaceutici) ha fatto tremare non poco i polsi all'industria svizzera. Da solo, questo dazio specifico colpirebbe oltre la metà dell'export svizzero verso gli Usa (rappresentato appunto da prodotti farmaceutici) in misura ben maggiore di quanto inflitto oggi a Bruxelles. Forse è questa la lettera più attesa, a Berna e soprattutto a Basilea.