Clima

Che cos’è il trattato di non proliferazione dei combustibili fossili?

Vanuatu e Tuvalu ne hanno parlato durante la COP27: è un modo più concreto per fermare, finalmente, l’espansione di carbone, petrolio e gas nel mondo
Marcello Pelizzari
12.11.2022 17:15

Un trattato di non proliferazione dei combustibili fossili. Che cos’è? È un’iniziativa che, esplicitamente, vuole fermare l’espansione di carbone, petrolio e gas nel mondo e, di riflesso, organizzare una corretta transizione energetica. Salutando, una volta per tutte, carbone, petrolio e gas per abbracciare fonti rinnovabili. La proposta è sul tavolo da tempo, dal 2020 almeno, quando l’iniziativa fu lanciata ufficialmente durante la Settimana del clima a New York. La spinta, anni prima, l’avevano data diversi Stati insulari del Pacifico. A capo dell’iniziativa c’è l’attivista climatica canadese Tzeporah Berman.

Ma non c’è già l’Accordo di Parigi?

La necessità di un trattato che, nel concreto, affronti la questione delle energie fossili è dettata dal fatto che l’Accordo di Parigi non protegga abbastanza i singoli Paesi dalla proliferazione di energie fossili. Di più, nonostante l’Accordo molti governi, in questi anni, hanno continuato ad approvare piani di espansione legati a carbone, petrolio e gas. «Per trent’anni almeno abbiamo cercato di raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni mentre l’industria fossile ha continuato a proliferare» ha detto Berman durante la COP27 in Egitto. E ancora: «Il mondo sta cercando di ridurre la domanda per energie fossili senza però ridurre l’offerta. Non esiste, ad oggi, alcun trattato che dica ai governi quanto possano produrre. E senza un trattato simile non potremo mai piegare la curva delle emissioni».

Com’è la situazione?

Il Guardian ha spiegato bene il concetto: nel mondo, oggi, esiste una quantità di carbone, petrolio e gas nelle riserve di aziende e governi e in produzione nettamente superiore rispetto alla quantità che possiamo ancora permetterci se vogliamo mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi Celsius al di sopra dei livelli preindustriali. Detto altrimenti, se consumassimo tutte quelle energie fossili andremmo incontro a un vero e proprio suicidio climatico. A ribadirlo sono pure diversi studi.

Avremo mai un trattato?

È difficile che le nazioni si impegnino a firmare un trattato di non proliferazione dei combustibili fossili, a maggior ragione se molti Paesi continuano a guadagnare tanto, tantissimo proprio grazie alla triade citata: carbone, petrolio e gas. Basti pensare a come la Russia di Vladimir Putin sta finanziando la guerra in Ucraina. Eppure, presto o tardi bisognerà arrivarne a una. Un trattato internazionale, di suo, permette a chi lo firma di arrivare a una soluzione condivisa in maniera equa e, diciamo, solidale. In passato, simili pratiche hanno permesso alle superpotenze di ridurre i rispettivi arsenali nucleari.

Che cosa sappiamo sulle riserve?

Primo passo: esiste un registro globale delle energie fossili, in continuo sviluppo, che offre dati standardizzati, trasparenti e corretti circa le riserve di energie fossili dei singoli Paesi. Ogni nazione, insomma, un domani potrà sbirciare le altre e conoscere esattamente il livello delle riserve altrui. Una base importante per cominciare le negoziazioni e accordarsi sui tagli. Il problema, attualmente, è che sembrerebbe complicato raccogliere tutti i dati necessari riguardanti le riserve. L’accesso infatti è limitato.

«La scarsità di dati accessibili al pubblico – si legge sul sito del Global Registry of Fossil Fuels – ha reso difficile valutare quanto carbone, petrolio e gas vengono prodotti, dove avviene questa produzione o come influisce sul bilancio del carbonio rimanente». Non solo, «la stessa lacuna nei dati esiste per le riserve di combustibili fossili. Le informazioni sulle riserve sono in genere detenute da aziende private e le emissioni di gas serra associate alle riserve globali variano notevolmente in base a una serie di metodologie diverse».

Chi c’è dietro al trattato?

Vanuatu e Tuvalu sono state le prime due nazioni ad abbracciare il trattato in occasione della COP27. Il cambiamento climatico, negli Stati insulari del Pacifico, d’altronde è particolarmente problematico e, di riflesso, sentito. Hanno appoggiato il trattato anche l’Organizzazione mondiale della sanità, sensibilissima al discorso climatico e alle morti che potrebbe causare un aumento della temperatura globale, e il Vaticano. Fra i tifosi illustri, se così vogliamo chiamarli, citiamo pure il Parlamento europeo e una settantina di città fra chi Londra, Parigi e Los Angeles, oltre a 1.700 organizzazioni non governative.