Il caso

Ecco come sanzioni e droni stanno mettendo in ginocchio una raffineria russa

Un'esclusiva di Reuters mostra come la raffineria NORSI (la quarta più grande in Russia) abbia ridotto la propria produzione del 40% a seguito di un guasto divenuto «irreparabile» – L'esperto: «Kiev può tagliare le linee di raffinazione più velocemente di quanto le aziende russe saranno in grado di ripararle»
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Red. Online
04.04.2024 15:15

È vero, a due anni dall'invasione dell'Ucraina, la Russia non è crollata sotto il peso delle sanzioni. Dopo i primi promettenti risultati – come il crollo del rublo – l'economia di Mosca si è ripresa, risultando più coriacea di quanto previsto da molti analisti. Colpa, in parte, di alcune falle insite nelle misure internazionali prese contro il Cremlino. Eppure, ne avevamo parlato qui, recentemente la Russia sta faticando maggiormente a esportare il suo petrolio: merito delle sanzioni secondarie (rivolte a chi fa affari con la Russia) introdotte in particolare dall'Unione Europea. Un esempio? Quello di Industrial and Commercial Bank of China, China Construction Bank e Bank of China, tre grosse banche cinesi che lo scorso mese si sono rifiutate di fare affari con Mosca. Ma le sanzioni dirette, rivela un'esclusiva di Reuters, non hanno completamente fallito nell'obiettivo di fermare l'industria petrolifera russa.

Il caso NORSI

Tutto, si legge nell'articolo dell'agenzia di stampa britannica, è cominciato il 4 gennaio 2024, quando alla raffineria NORSI (di proprietà della compagnia Lukoil), situata vicino a Nizhny Novgorod, a circa 430 chilometri a est di Mosca, è avvenuto un guasto importante. «Gli ingegneri – secondo fonti vicine a Lukoil – si sono affrettati a cercare i pezzi di ricambio, ma non sono riusciti a trovare nulla». Nessuno, in Russia, aveva le competenze per riparare il danno. L'unica azienda che poteva venire in soccorso dell'impianto NORSI era la multinazionale di ingegneria petrolifera UOP. Una società statunitense che si era ritirata dalla Russia dopo l'invasione dell'Ucraina nel febbraio 2022. Chiusa questa via, «l'intera unità (una delle due sole presenti nell'impianto, vitale per convertire gli idrocarburi più pesanti in benzina) si è fermata».

Logica conseguenza che la raffineria NORSI si sia trovata a subire grosse perdite di produzione (-40%), secondo le fonti citate dall'agenzia britannica. Con le sue 405.000 tonnellate di benzina al mese, pari all'11% del totale russo, l'impianto sul Volga è il quarto più grande in Russia. L'attuale interruzione, spiega Reuters, verrebbe a costare a Lukoil quasi 100 milioni di dollari di mancati introiti al mese. Non bruscolini.

L'impatto dei droni

Negli scorsi mesi, i droni ucraini hanno colpito più volte le raffinerie russe. Tra queste, anche l'impianto NORSI. Che a causare questo blocco della macchina petrolifera russa sia stato proprio un piccolo UAV ucraino? Non è quanto suggerito dalle fonti interpellate da Reuters, che tuttavia ammettono: «I problemi dell'impianto sono peggiorati solo dopo che la NORSI è stata colpita dai droni ucraini a febbraio. Quando altre apparecchiature sono state danneggiate, l'intera raffineria è stata messa a dura prova». 

Sin qui, Kiev è stata chiara: la campagna contro l'industria petrolifera russa – vista come grande finanziatore della guerra voluta dal Cremlino – punta a ridurre le entrate statali tagliando, contemporaneamente il carburante disponibile per l'esercito. La strategia, lo dimostra il caso NORSI, potrebbe funzionare. Tante, tantissime aziende russe, colpite o meno dai droni, stanno incontrando qualche difficoltà a mantenere in funzione le raffinerie. Costruiti con l'aiuto di società di ingegneria statunitensi ed europee, ora gli impianti sono a corto di pezzi per le riparazioni. E sempre più aziende del settore (Reuters cita anche l'elvetica ABB) stanno rifiutando ulteriori collaborazioni con la Russia, un po' come fatto da UOP. La quale sta facendo tutto il possibile per evitare che la sua strumentazione arrivi in Russia passando da Paesi terzi, non sanzionati.

La scorsa settimana, il vice primo ministro russo Alexander Novak ha dichiarato che gli impianti danneggiati della NORSI dovrebbero riprendere le operazioni entro uno o due mesi: le aziende russe sarebbero al lavoro per produrre i pezzi di ricambio necessari. Ma tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare. «I droni sono decine, se non centinaia di volte più economici del costo delle riparazioni, il che è importante in una guerra di logoramento», ha spiegato all'agenzia britannica Sergey Vakulenko, esperto dell'industria energetica russa e membro del Carnegie Endowment for International Peace, un think tank di affari internazionali. «Se il flusso di droni continuerà a questo ritmo e le difese aeree russe non miglioreranno, l'Ucraina sarà in grado di tagliare le linee di raffinazione russe più velocemente di quanto le aziende russe saranno in grado di ripararle».

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