Il punto

La Russia, ora, fa più fatica a esportare il suo petrolio

E il merito è delle sanzioni secondarie introdotte in particolare dall'Unione Europea – Tre grosse banche cinesi, ad esempio, si sono rifiutate di fare affari con Mosca
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Marcello Pelizzari
25.03.2024 16:30

A due anni dall'invasione dell'Ucraina da parte dell'esercito di Mosca e, di riflesso, dall'introduzione delle prime, pesanti sanzioni nei confronti della Federazione Russa, l'Occidente sembrerebbe aver indebolito (anche) l'industria petrolifera. E questo grazie all'intensificarsi delle stesse sanzioni, in particolare quelle (cosiddette) secondarie. La conferma, seppur indiretta, è arrivata venerdì scorso: Elvira Nabiullina, la governatrice della Banca centrale russa, ha dichiarato in una nota stampa che l'inasprimento delle misure intraprese dall'Occidente contro il Paese sta colpendo proprio le entrate legate alle esportazioni di petrolio. «Dopo il calo di inizio anno, le esportazioni hanno registrato una ripresa, grazie all'aumento del prezzo del petrolio» ha spiegato Nabiullina secondo una trascrizione ufficiale. I prezzi internazionali del greggio, leggiamo, sono aumentati di oltre il 10% quest'anno. «Tuttavia, le sanzioni secondarie ostacolano questo processo» ha aggiunto la governatrice, riferendosi alle restrizioni commerciali volte a impedire a terzi al di fuori degli Stati Uniti o dell'Unione Europea di fare affari con la Russia.

Che l'economia russa fosse in difficoltà, da due anni a questa parte, si sapevaBasti pensare al lungo tira e molla con le uova, per dirne una. Eppure, Mosca ha mostrato una certa resilienza. Stupendo, per certi versi, gli stessi analisti. Di fatto, le sanzioni hanno colpito in questi due anni di guerra ma non abbastanza o, meglio, non dappertutto. A cominciare, appunto, dalle esportazioni energetiche e in primis da quelle petrolifere. Se la Russia ha resistito, spiega fra gli altri Business Insider, è perché ha cambiato mercati di riferimento. Portando il petrolio in Cina e in India, ad esempio. Il giochino, però, sembrerebbe essersi guastato. Alcuni colossi bancari cinesi, ad esempio, hanno interrotto i pagamenti da e per istituzioni finanziarie russe sotto sanzioni, avevano riferito i media russi a febbraio. Parliamo di Industrial and Commercial Bank of China, China Construction Bank e Bank of China. Colpa, nello specifico, del dodicesimo pacchetto di sanzioni appena varato dall'Unione Europea, incentrato sulle sanzioni secondarie, ma anche delle sanzioni secondarie approvate dagli Stati Uniti a dicembre. Allargando il campo, Pechino al di là dell'amicizia «senza confini» con Mosca sa benissimo che la bilancia commerciale con l'America è nettamente più importante rispetto a quella con la Russia. La scorsa settimana, tornando invece sull'argomento, il Wall Street Journal ha riferito che altre banche globali utilizzate dalla Russia per eludere le sanzioni stanno rinunciando a fare affari con la Federazione per paura di rappresaglie da parte dell'Occidente.

E pure l'India, ora, avrebbe più di un problema a fare affari con la Russia. 

«A causa delle sanzioni, ci sono sicuramente delle difficoltà nell'effettuare pagamenti transfrontalieri» ha dichiarato Nabiullina nella sua nota. Anche il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, aveva accennato a queste difficoltà dopo il no, anzi il «niet», delle grosse banche cinesi. Entrambi, però, hanno affermato che le banche e le aziende russe «sono abbastanza flessibili nel cambiare metodi di pagamento quando le difficoltà aumentano».