La storia

Ecco gli «altri» prigionieri americani in Russia

Dopo lo scambio Reed-Yaroshenko l'attenzione si è spostata su Paul Whelan e Brittney Griner
Marcello Pelizzari
01.05.2022 17:45

Certe scene, beh, eravamo abituati a vederle (solo) nei film. E invece, gli scambi di prigionieri sono una realtà. Di più, al momento rappresentano l’unico, vero contatto diplomatico fra Washington e Mosca. Quantomeno, come ha sottolineato il Guardian, il rilascio di Trevor Reed in cambio di un trafficante di droga russo dimostra che America e Russia sono ancora capaci di negoziare e trovare un compromesso. 

Spionaggio e cannabis

Lo scambio, concretizzatosi lunedì mattina in un aeroporto turco, direttamente in pista, rientra nel più ampio (e complicato) contesto della guerra in Ucraina. Soprattutto, richiama l’attenzione sulla situazione di altri due detenuti americani. Trattenuti nelle carceri russe su, ha ribadito ancora il Guardian, basi fragili o addirittura pretestuose. E con il chiaro intento, da parte del Cremlino, di mettere pressione sulla Casa Bianca.

Ma di chi si tratta? Uno è Paul Whelan, un ex marine arrestato quattro anni fa in un albergo moscovita, dove si trovava per assistere al matrimonio di un amico. Venne condannato nientepopodimeno che per spionaggio. La pena? Sedici anni di lavori forzati. Sì, avete capito bene: lavori forzati. L’altro, anzi l’altra, è Brittney Griner, una star del basket arrestata il 17 febbraio (a un niente dall’invasione russa dell’Ucraina) all’aeroporto di Mosca Sheremetyevo e accusata di possedere olio di cannabis. Una sostanza illegale nella Federazione. Lo stato di fermo è stato confermato fino al 19 maggio, mentre le indagini sono in corso.

Quale sarà il destino di Whelan e Griner? Cherel, la moglie di Brittney, su Instagram ha scritto che il suo cuore è «traboccante di gioia per la famiglia Reed». E ancora: «Non li conosco personalmente, ma conosco il dolore di avere la persona amata detenuta in un Paese straniero. Quel livello di dolore è costante e può essere risolto solo con un sicuro ritorno a casa. Per la famiglia Reed, quel giorno è oggi».

Da una colonia penale, leggiamo sul Guardian, Whelan ha telefonato ai suoi genitori chiedendo loro come mai, a questo giro, sia stato lasciato indietro. A rendere pubblica la telefonata è stato David, suo fratello gemello. Il quale ha pure raccontato i timori che attraversano la mente di Paul: quello di trovarsi lontano, lontanissimo da casa e con l’accusa di un’accusa di spionaggio, ma anche quello di non avvertire lo sforzo diplomatico degli Stati Uniti.

Timori, va da sé, accompagnati da una speranza. Che il governo a stelle e strisce, anche per lui, intraprenda un’azione altrettanto determinata per riportarlo in America.

La diplomazia c'è ancora

Per quanto danneggiate, se non quasi completamente distrutte dall’invasione dell’Ucraina, le relazioni diplomatiche fra Washington e Mosca esistono ancora. Ed è proprio questo il punto espresso, a suo modo, da Whelan. Un altro accordo è possibile, se non fattibile. Perfino in tempi relativamente brevi.

Va detto che il rilascio di Reed è stato favorito dal peso specifico della controparte russa, ovvero il pilota Konstantin Yaroshenko. Mosca, non a caso, nei mesi e mesi di negoziati aveva fatto esclusivamente quel nome. Scandendolo a più riprese.

Di più, il presidente Joe Biden aveva spiegato che per arrivare alla liberazione del prigioniero sono state fatte scelte «difficili», decisioni che «non ho preso alla leggera». Ergo, la domanda sorge spontanea: sarà disposto a prenderne di altre, per nuovi prigionieri? Sì, no, forse.

Lo stesso fratello di Whelan, David, ha ribadito che gli ufficiali che hanno supervisionato la detenzione di Paul auspicavano di scambiarlo con Yaroshenko o, ancora, con Viktor Bout, trafficante d’armi arrestato in Thailandia nel 2008, estradato in America e condannato, nel 2012, a 25 anni. Svariati i capi d’imputazione: cospirazione per uccidere cittadini statunitensi, consegna di missili antiaerei, aiuti a un’organizzazione terroristica.

Una fonte citata dal Guardian, coinvolta nelle trattative, dal canto suo ha specificato che lo scambio Reed-Yaroshenko potrebbe spianare la strada a un possibile scambio di Bout con Whelan. Ma quale sarebbe il contraccolpo per l’America? Da una parte il cosiddetto «mercante della morte», dall’altra un turista sfortunato.

Per liberare Reed, invece, anche internamente erano state fatte pressioni di un certo livello. La famiglia aveva perfino ottenuto un incontro pubblico con Biden.

Le parole di Jen Psaki

Il carattere pubblico di queste detenzioni, oggigiorno, potrebbe aiutare. E pure molto. Di sicuro, inchioda il governo statunitense alle sue responsabilità. Mercoledì, ad esempio, la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki ha rispedito al mittente l’indiscrezione secondo cui lo scambio Reed-Yaroshenko riduce le possibilità che Whelan venga rilasciato. «Continueremo a sostenere il rilascio immediato e incondizionato di Paul Whelan in ogni occasione» ha detto. «L’utilizzo della detenzione illecita come merce di scambio rappresenta una minaccia per la sicurezza di tutti coloro che viaggiano, lavorano e vivono all’estero».

Di nuovo: «Ovviamente, il nostro obiettivo è riportare a casa Paul Whelan e qualsiasi americano che non sia con la sua famiglia ed è detenuto all’estero».

E chissà, forse siamo davvero vicini a un’altra scena da film. Un aeroporto neutro, due delegazioni che si incrociano e si incontrano, uno scambio, la ritrovata libertà.

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