Il caso

Il circo mediatico e quelle controverse opinioni sulla guerra

Nei talk show in nome degli ascolti si invitano personaggi considerati sostenitori di Putin - In Italia scoppia la polemica sul contratto Rai, poi cancellato, del prof. Alessandro Orsini: ne parliamo con il critico tv Aldo Grasso e con il deputato del PD Andrea Romano
Michele Montanari
25.03.2022 12:02

Tra pandemia, guerra e propaganda. In un momento storico così delicato, inquinato dalla disinformazione tipica dei social network, ai media tradizionali viene chiesto uno sforzo maggiore. E, anche se la parola d’ordine dovrebbe essere «responsabilità», da mesi nei talk show va in scena una sfilata di personaggi che, in nome della sacrosanta libertà di espressione, ribatte ai fatti con le opinioni, quando dovrebbe essere il contrario. Così, se prima ascoltavamo teorie prive di fondamento sui vaccini anti-COVID, oggi è la volta di chi giustifica l’invasione di Putin. In Italia il fenomeno è particolarmente accentuato, specialmente nelle tv commerciali, dove l’informazione sempre più spesso naviga verso l’infotainment, con il rischio che la ragione poi stia dalla parte di chi grida più forte. Il critico televisivo Aldo Grasso, interpellato dal CdT, parla di un «trend inevitabile»: «I talk show son diventati dei circhi equestri. Il loro numero esagerato ha portato a un clima di concorrenza esasperata, per cui l’unico modo per aumentare gli ascolti è la rissa». Secondo l’esperto infatti: «I partecipanti al dibattitto, anziché privilegiare il ragionamento, preferiscono la lite e l’insulto diretto. Tutto questo naturalmente porta a cercare quei personaggi che alimentano la rissa verbale. Per questo vengono invitati anche quelli con posizioni che, in un momento delicatissimo come quello che stiamo vivendo, andrebbero quantomeno attutite». Aldo Grasso aggiunge: «Di fronte a certe situazioni, l’opinione non conta, ci sono i fatti, che sono molto più importanti. La grande colpa è dei conduttori e degli autori di questi talk show, perché hanno creato il clima a cui assistiamo». Per il giornalista i media tradizionali dovrebbero essere più responsabili, anche perché sui social network si legge di tutto: «C’è ancora una gerarchia dei media: tv e giornali valgono di più del primo imbecille che prende in mano Facebook o Twitter per dire la sua. In questo momento bisogna avere un senso di responsabilità molto forte. I talk show dovrebbero venir condotti come si deve, contrapponendo le idee, senza fare discussioni a senso univoco. Non si può portare in trasmissione qualcuno che difende l’aggressione di una Nazione nei confronti di un’altra, cioè un atto dittatoriale nei confronti di una democrazia, facendo finta che questa sia contrapposizione di idee: questa non è libertà di opinione, è una mascalzonata».

Il prof. Orsini in Rai: scoppia la polemica

Se sulle televisioni commerciali tutto sembra permesso, o quasi, diverso è il caso del servizio pubblico. In questi giorni sta facendo particolarmente rumore la partecipazione sotto contratto di Alessandro Orsini al programma di Rai 3 #cartabianca. Secondo «Il Foglio», il professore avrebbe dovuto ricevere un compenso di 2 mila euro a puntata, per un totale di 6 appuntamenti. L’indiscrezione ha fatto scoppiare la polemica, e Andrea Romano, parlamentare del PD e membro della Commissione Parlamentare di Vigilanza della Rai, ha presentato un’interrogazione sul tema, spingendo l’emittente di Stato ad annullare il contratto della discordia. Caso chiuso? Neanche per sogno: il prof. Orsini ha subito fatto sapere di esser pronto a difendere la sua libertà, dicendosi disposto a partecipare gratuitamente al programma di Bianca Berlinguer. Di più, tra opinione pubblica e giornalisti si è arrivati a gridare alla censura. Prima di parlarne con l’onorevole Andrea Romano, vediamo chi è Alessandro Orsini.

Un CV di tutto rispetto e quelle dichiarazioni controverse

Alessandro Orsini è professore associato di sociologia generale nel Dipartimento di scienza politica della Libera università internazionale degli studi sociali (Luiss) «Guido Carli», dove è anche direttore dell'Osservatorio sulla sicurezza internazionale. È considerato uno dei massimi esperti di terrorismo in Italia (ha pubblicato diversi articoli e libri sul tema), e ha tenuto lezioni in numerose università americane, tra cui Harvard, MIT, Johns Hopkins e Boston College. Ha scritto sul «Messaggero» e ora è una firma de «Il Fatto Quotidiano». Nonostante il curriculum vitae di tutto rispetto, il professore universitario è finito recentemente nell’occhio del ciclone per aver espresso in tv posizioni controverse sull’invasione russa in Ucraina. Vediamo alcune sue opinioni: Orsini considera la NATO fortemente responsabile dell’escalation che ha portato alla guerra e pensa che il Donbass e le regioni occupate in queste settimane vadano riconosciute come russe. Sostiene che l’Occidente debba ridurre le sanzioni economiche ed accettare il fatto che Putin abbia già vinto la  guerra. Ha fatto un paragone tra l’operato degli USA in Iraq e l’invasione della Russia ai danni dell’Ucraina, sottolineando che «se Putin è un cane schifoso, tra schifosi possiamo intenderci e fare la pace». È stato duramente criticato per affermazioni come: «Se Putin, in una condizione disperata in cui rischia di perdere la guerra in Ucraina, dovesse usare la bomba atomica, l'Europa sarebbe moralmente corresponsabile» (con il ricercatore Luca Lovisolo, abbiamo visto come alcune tesi su NATO e Donbass utilizzate per giustificare l'invasione di Putin siano false). Nella puntata di ieri sera di Piazzapulita su La7 ha affermato: «Sui giornali hanno scritto che io non condannato apertamente Putin, è una bugia. Ho condannato in maniera fermissima l’invasione di Putin, ho sempre detto che Putin è l’aggressore e Zelensky è l’aggredito», aggiungendo di esser stato allontanato dalla Rai e di esser stato «attaccato perché le mie teorie sulla guerra in Ucraina hanno toccato consorterie potenti, a cominciare dal governo Draghi».

Non esiste par condicio tra aggredito e aggressore, non è accettabile che risorse economiche pubbliche vengano utilizzate per finanziare la propaganda di Putin

«Nessuna censura. È una questione di responsabilità»

Il caso del prof. Orsini ha diviso l’opinione pubblica e ora non manca chi lo eleva a «martire della libertà di pensiero», accusando l’emittente di Stato di censura. Andrea Romano, in qualità di membro della Commissione Parlamentare di Vigilanza della Rai, nella sua interrogazione che ha portato il servizio pubblico a fare un passo indietro scrive: «Non esiste par condicio tra aggredito e aggressore, non è accettabile che risorse economiche pubbliche vengano utilizzate per finanziare la propaganda di Putin. Sulla guerra in Ucraina, la Rai rispetti il criterio della responsabilità, presupposto della sua esistenza e del suo finanziamento da parte dei cittadini». Abbiamo affrontato la questione proprio con il deputato del PD, che sottolinea: «Il caso specifico del prof. Orsini non ha nulla a che fare con la libertà di pensiero o con la censura, come è stato detto da alcuni. La domanda da porsi è: "Il servizio pubblico può usare risorse economiche pubbliche, quindi risorse degli italiani, per remunerare un opinionista che interviene con certi argomenti su un tema che tocca la carne e il sangue di molte persone?" Parlo in senso concreto: non colpisce solo gli ucraini, ma anche la vita quotidiana di tutti gli europei. Pensiamo all’aumento del prezzo di benzina e gasolio legato a quanto sta succedendo in Ucraina». Andrea Romano aggiunge: «Nessuno discute il diritto e la piena libertà del prof. Orsini di intervenire dove vuole, siano esse tv private o giornali, ma se si tratta del servizio pubblico c’è ovviamente un criterio di responsabilità da considerare. Mi rifaccio formalmente al cosiddetto contratto di servizio che disciplina i rapporti tra la Rai e il concessionario, che è il Ministero dello sviluppo economico. Nell’articolo 6 si parla di informazione e cito: "La Rai è tenuta ad improntare la propria offerta informativa ai canoni di equilibrio, pluralismo, completezza, obiettività, imparzialità, indipendenza e apertura alle diverse formazioni politiche e sociali, e a garantire un rigoroso rispetto della deontologia professionale da parte dei giornalisti e degli operatori del servizio pubblico, i quali sono tenuti a coniugare il principio di libertà con quello di responsabilità, nel rispetto della dignità della persona, e ad assicurare un contraddittorio adeguato, effettivo e leale"». Il parlamentare quindi evidenzia: «La parola chiave è responsabilità. Il criterio della responsabilità deve essere applicato in tutte le iniziative del servizio pubblico e a maggior ragione su un tema così delicato. Non c’entra niente la libertà di opinione che differenzia le democrazie dalle dittature. È un orgoglio essere parte di una democrazia nella quale chiunque può esprimere la sua opinione, diversamente dalla Russia di Putin, dove se qualcuno pronuncia la parola "guerra" rischia 15 anni di reclusione».

Non può essere messa in discussione la libertà di chi interviene nel dibattito, però i giornalisti, soprattutto quelli del servizio pubblico, hanno la responsabilità di incalzare gli ospiti e controbattere con elementi fattuali

Il ruolo dei giornalisti

Dopo che Orsini ha dichiarato di esser disposto a partecipare gratuitamente al programma di Rai 3 vien da chiedersi: se i soldi degli italiani non vengono toccati, vale ancora il discorso che ha spinto alla cancellazione del suo contratto? Andrea Romano risponde: «Non può essere messa in discussione la libertà di chi interviene nel dibattito, però i giornalisti, soprattutto quelli del servizio pubblico, hanno la responsabilità di incalzare gli ospiti e controbattere con elementi fattuali su un tema così drammatico. Faccio mio un pensiero inglese: "Un giornalista intervista due uomini: uno dice che piove, l’altro invece afferma che non piove. Il compito del giornalista non è solo quello di riportare le due opinioni, ma deve anche uscire di casa e vedere se sta piovendo oppure no". Pensiamo all’intervista di Christiane Amanpour a Dmitrij Peskov, il portavoce di Putin. La giornalista della CNN non gli ha solamente dato la parola, ma gli ha ricordato le contraddizioni e le menzogne del presidente russo. È stata un esempio scintillante di responsabilità giornalistica. Mi piacerebbe, da utente dell’informazione, ma anche da partecipante a molti talk show, che le espressioni smaccatamente putiniane e menzognere, seppur legittime e libere, ma totalmente immorali, fossero incalzate dal giornalista, che dovrebbe ricordare a chi le esprime come la realtà non sia quella». Andrea Romano puntualizza: «Non sto accusando il giornalismo italiano in generale, in cui c’è una grande professionalità, ma a volte manca una risposta efficace a tesi infondate». Allargando l’orizzonte al mondo dei talk show criticato da Aldo Grasso, il deputato del PD constata: «Il contesto è così da circa un ventennio, non è una novità. L’ infotainment italiano ha una sua storia e si intrecciata con la classe politica italiana. Ormai è un tratto del nostro mondo dell’informazione e dobbiamo farci i conti. La sfida di chi partecipa ai talk show è quella di elevarne la qualità. Il servizio pubblico però non deve confondersi con le emittenti private. Non deve dimenticare la sua missione, perché altrimenti viene meno la sua ragion d’essere. Il servizio pubblico è pagato dai cittadini per svolgere funzioni diverse, ed è proprio in casi come la guerra in Ucraina che va ricordata la sua vocazione, anche a costo di scontrarsi con i giornalisti e l’opinione pubblica».

 

In questo articolo: