Il caso

Il clan Assad e quei 99 milioni di franchi nascosti in Svizzera

Per anni i membri della famiglia del dittatore hanno cercato di recuperare i fondi, congelati in seguito allo scoppio della guerra civile in Siria
Red. Online
18.12.2024 09:45

Circa 99 milioni di franchi legati a Bashar al-Assad, attualmente, sono congelati in conti bancari svizzeri. Il Consiglio federale, poco dopo lo scoppio della guerra civile in Siria, aveva bloccato i fondi in risposta alla violenta, violentissima repressione dei civili nel Paese mediorientale. Sanzionando, in totale, 318 individui, fra cui il presidente deposto, sua moglie e altri membri della famiglia. I documenti del Tribunale, visionati dalle testate del gruppo CH Media, mostrano come alcuni parenti di Assad abbiano cercato, nel tempo, di recuperare questi soldi e, ancora, come hanno reagito le autorità elvetiche.

Negli anni Sessanta, scrive al riguardo il Blick, Mohamad Makhlouf era un normale impiegato della compagnia aerea siriana. Quando suo cognato, Hafez al-Assad, il padre di Bashar, salì al potere, entrò anche lui a far parte del regime. Mentre gli Assad gestivano la politica, la famiglia Makhlouf controllava l'economia. Le risorse petrolifere della Siria, l'ente nazionale per il tabacco e la banca nazionale passarono sotto il controllo dei Makhlouf. In breve tempo, Mohamad divenne uno degli uomini più ricchi della Siria.

Nel 2002, di riflesso, Mohamad aprì il suo primo conto in Svizzera, presso una filiale ginevrina della banca privata britannica HSBC. In quell'occasione, si identificò con un passaporto diplomatico che lo designava come «direttore generale del Ministero dell'Economia». Dieci anni più tardi, il Tribunale amministrativo federale bloccò una transazione finanziaria sospetta. Quando la Svizzera introdusse le sanzioni nei confronti della Siria, Mohamad Makhlouf cercò di ritirare rapidamente dieci milioni di dollari per la moglie, Ghada Adib Mhana, dichiarandoli come «investimento» in Siria. Mohamad Makhlouf era la figura centrale nella lista delle sanzioni svizzere. Morì di Covid nel 2020.

«Conduco una vita tranquilla, degna di una donna della mia età» scrisse la moglie, Ghada Adib Mhana, nella sua denuncia presentata nel 2022 al Tribunale amministrativo federale di San Gallo. Sì, Ghada cercò di recuperare i fondi congelati riuscendo, infine, a recuperare soltanto uno dei conti del marito. Nella sua denuncia, la vedova sostenne di non avere più nulla a che fare con la politica e l'economia siriana. Dal 2016, spiegò, conduceva una vita indipendente. Voleva lasciare il Paese e aprire un ultimo capitolo a Dubai. Poco prima che ritirasse i suoi fondi, la Svizzera inserì anche lei nella lista dei soggetti sanzionati. La donna presentò un reclamo, sostenendo che queste misure non erano giustificate dal semplice fatto che appartenesse alla famiglia Makhlouf. Il Tribunale respinse la sua richiesta: Ghada Adib Mhana era ancora legata al sistema finanziario del regime. Inoltre, le autorità svizzere volevano impedire che i fondi fossero trasmessi alla generazione successiva.

A proposito di generazioni successive: Rami Makhlouf, il figlio di Ghada Adib Mhana e Mohamad Makhlouf, quindi cugino di Bashar al-Assad, controllava le compagnie aeree, petrolifere, edilizie e immobiliari del Paese. Poteri, questi, ereditati dal padre. Poteri che gli permisero di diventare l'uomo più ricco della Siria con una fortuna personale stimata in 3 miliardi di dollari. In base a una decisione del 2015 del Tribunale amministrativo federale, anche Rami figurava sulla lista di soggetti sanzionati. E con lui c'era il fratello minore, Hafez Makhlouf, che si vide congelare tre milioni di franchi svizzeri presso la banca HSBC di Ginevra. Quando cercò di sbloccare questi fondi, si presentò al Dipartimento federale dell'economia come «un innocente». Sostenne, infatti, di aver diretto solo il più piccolo Dipartimento dei servizi segreti siriani. Un compito apparentemente nobile. Ma Hafez non riuscì a ingannare la giustizia elvetica: agli occhi delle autorità svizzere, infatti, occupava una posizione importante nell'apparato di repressione. Come uomo influente nei servizi segreti, guidava una milizia che reprimeva brutalmente le manifestazioni e il dissenso.

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