L'analisi

Il ruolo di mediatore della Turchia

Quali sono i reali interessi che spingono Erdogan a cercare una soluzione al conflitto ucraino?
Marcello Pelizzari
31.03.2022 12:00

Fare il mediatore, di questi tempi, è complicato. A inizio settimana, la Turchia ha ospitato le delegazioni di Russia e Ucraina. Di più, Ankara ha affermato (e ribadito) di voler recitare il ruolo in maniera trasparente. E onesta. Tutto, insomma, pur di arrivare a una soluzione del conflitto.

Quali siano le reali motivazioni di Erdogan, il presidente turco, è difficile a dirsi. Il supporto militare fornito a Kiev, fra le altre cose, indicherebbe una precisa scelta di campo. Ma il quadro è molto più ampio.

Un interlocutore chiave?

Ankara, dicevamo, ha cercato e sta cercando di posizionarsi come l’interlocutore chiave, di fatto l’unico, per porre fine alla guerra in Ucraina. La pace, da ieri l’altro, non sembra più una chimera o qualcosa di impossibile. È un’opzione sul tavolo. Certo, l’annuncio di Mosca – al grido «ridimensioneremo la nostra offensiva attorno a Kiev e Chernihiv» – non è stato seguito dai fatti. Ed è lecito, di riflesso, mantenere un sano scetticismo riguardo al Cremlino e alla sua reale volontà di arrivare a una soluzione.

La Turchia, però, ha ottenuto che le parti arrivassero a un (timido) risultato. Quantomeno, che si parlassero secondo i canoni diplomatici.

I rapporti con la Russia

Fatte le premesse, torniamo alle motivazioni di Erdogan. La Turchia, è evidente, non si è proposta come mediatore per caso. La guerra sta minacciando l’attuale equilibrio nel Mar Nero, dove Ankara «confina» sia con la Russia sia con l’Ucraina. E dove, va da sé, non vuole problemi.

Non solo, la Turchia lavora a stretto contatto con la Russia in Medio Oriente e in Africa.

Ergo, che cosa potrebbe guadagnarci il Sultano?

Mosca, in particolare, non sembra convinta dell’improvvisa spinta pacifista di Erdogan e della Turchia. A maggior ragione se Ankara, come è stato riferito, sta fornendo i droni all’esercito ucraino. Droni divenuti centrali nel respingere l’offensiva russa.

Sebbene fra i due Paesi vi sia un rapporto stretto, non è la prima volta che Turchia e Russia si trovano su un terreno complicato. Ankara e Mosca si sono trovati su lati opposti nei conflitti in Siria, Libia e Nagorno.

Nel 2015, addirittura, i turchi tirarono giù un Sukhoi russo reo di aver volato troppo vicino al confine siriano-turco.

I dubbi della NATO

Anche la NATO, verosimilmente, sta monitorando la situazione e, quindi, cercando di capire quali potrebbero essere le motivazioni della Turchia. Ankara, ricordiamo, reagì in maniera tiepida alle sanzioni occidentali e, andando un po’ più indietro, all’invasione russa. Sanzioni cui Erdogan si è rifiutato di aderire, tant’è che molti oligarchi hanno riparato proprio in Turchia.

La Turchia, d’altronde, da anni è croce e delizia dell’Alleanza. Per tacere dei rapporti fra Ankara e l’Unione Europea: il dialogo, fragile, spesso ha lasciato spazio alle minacce di Erdogan, in particolare sul fronte migranti. E come dimenticare il cortocircuito generato dall’acquisto del sistema missilistico antiaereo russo S-400, progettato per abbattere gli aerei NATO? L’America, allora, reagì escludendo la Turchia dal programma dei caccia F-35.

La grandeur ottomana

Una cosa, al di là delle speculazioni, appare certa: Erdogan sta giocando molto sull’apparenza. La Turchia, ai suoi occhi, deve tornare al suo antico splendore. Quello ottomano, quindi aggressivo. Spacciarsi per mediatore, quindi, potrebbe essere una mossa per ribadire al mondo che, fra le potenze, bisogna considerare pure Ankara.

La partita, ad ogni modo, è di quelle pericolose. Presto o tardi, nonostante l’obiettivo della Turchia sia quello di mantenere buoni rapporti sia con Kiev sia con Mosca, Erdogan dovrà riconoscere i crimini commessi da Putin in Ucraina. O quantomeno tenerne conto.

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