Medio Oriente

Israele ora pensa alla minaccia iraniana: che cosa significa per Gaza?

Mentre il gabinetto di guerra israeliano valuta se e come rispondere all'attacco di Teheran, gli analisti esaminano l'impatto che tale aggressione potrà avere sulla guerra in corso nella Striscia – Secondo alcune fonti, Netanyahu avrebbe già deciso di rimandare l'offensiva a Rafah – Ma il Likud ha smentito
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Red. Online
15.04.2024 15:30

Nella notte fra sabato e domenica, l'Iran ha messo in atto l'annunciata e temuta vendetta per il raid israeliano sull'ambasciata di Teheran a Damasco, avvenuto a inizio mese. Sull'arco di alcune ore, centinaia di droni e missili da crociera sono volati dalla Repubblica islamica verso lo Stato ebraico. Obiettivo: gli avamposti militari israeliani sulle alture del Golan e le basi aeree nel Negev. Israele, grazie al potente Iron Dome e all'aiuto statunitense, è riuscito ad evitare il peggio, intercettando qualcosa come il 99% degli oggetti diretti verso il Paese. Ora, al quartier generale di Tel Aviv, si valuta come rispondere. Mentre Washington predica calma e moderazione, con l'obiettivo di evitare ulteriori escalation, il gabinetto di guerra israeliano – riunitosi l'ultima volta questo pomeriggio – esamina la situazione. Al momento, il gabinetto di guerra rimane determinato a rispondere all'attacco iraniano, ma rimangono in discussione i tempi e la portata di tale risposta.

L'attacco iraniano, ne abbiamo parlato qui, rischia di avere conseguenze extraregionali. La possibile escalation del conflitto in Medio Oriente, infatti, sta alimentando le pressioni sullo speaker della Camera degli USA, Mike Johnson, per approvare la legge sulla sicurezza nazionale: più aiuti a tutti, subito. A beneficiarne, dunque, potrebbe essere l'Ucraina.

Ma l'impatto dell'aggressione iraniana potrebbe essere importante anche localmente, sul conflitto in corso fra Israele e Hamas. Gaza osserva: che cosa cambierà, nella Striscia, se Israele dovesse decidere di volgere il proprio sguardo all'Iran? 

Tensioni

Nelle settimane precedenti l'attacco di Teheran, le tensioni fra il governo di Biden e quello di Netanyahu si stavano facendo palpabili. Pur mantenendo costante il proprio impegno nel sostegno (anche militare) di Israele, Washington stava facendo pressioni sull'alleato affinché rispettasse i propri obblighi umanitari nella Striscia. In occasione della chiusura del periodo di Ramadan, ad esempio, Biden aveva affermato nel corso di un intervista: «Non sono d'accordo con il suo approccio (di Netanyahu, ndr). Quello che chiedo agli israeliani è un cessate il fuoco, e di consentire per le prossime sei-otto settimane l'accesso totale a cibo e medicine. Non ci sono scuse per non fornire medicine e cibo».

Ma fonte di disaccordo era (ed è) anche e soprattutto la prospettata operazione israeliana a Rafah, città meridionale della Striscia. Israele è convinto della necessità strategica di conquistare la cittadina, definita una roccaforte di Hamas. Ma l'importante centro ospita attualmente oltre un milione di palestinesi, civili fuggiti dal centro e dal nord dell'enclave. Per questa ragione, temono l'amministrazione statunitense e analisti di tutto il mondo, un intervento di terra a Rafah è assolutamente da evitare: causerebbe un numero spropositato di vittime civili. La scorsa settimana, autorità israeliane avevano insistito sulla volontà di attaccare Rafah, anche a rischio di compromettere l'alleanza con Washington.

Confusione

E ora? Ora, la situazione è confusa. L'attacco diretto dell'Iran e la conseguente modifica dello scenario di guerra potrebbe già aver avuto qualche conseguenza per la Striscia. Secondo alcuni media – la notizia è partita ieri notte dall'emittente nazionale israeliana Kan 11 – le Forze di Difesa israeliane (IDF) avrebbero richiamato due brigate di riservisti impegnate a Gaza. Di più. Il premier Netanyahu avrebbe deciso di rinviare l'operazione pianificata nella città di Rafah. Ma le informazioni in arrivo da Israele non sono univoche. Secondo l'emittente israeliana i24news, il Likud (partito di Netanyahu) ha già rilasciato una dichiarazione che bolla come «fake news» la notizia secondo cui il primo ministro avrebbe deciso di ritardare l'operazione di Rafah. Dagli Stati Uniti, tuttavia, la CNN afferma – citando fonti israeliane – che l'operazione a Rafah è stata, effettivamente, rimandata a casa dell'attacco iraniano.

Vero o no? Non resta che attendere una conferma. Una cosa è certa: confusione (o quantomeno indecisione) si riscontra anche tra gli analisti. Alcuni sostengono che le implicazioni per Gaza dipenderanno dalla risposta all'Iran e da un eventuale contrattacco israeliano. Altri, invece, sostengono che la campagna militare di Israele nella Striscia di Gaza non subirà cambiamenti, a prescindere dalle decisioni del gabinetto di guerra. Tracce di queste idee discordanti sono riscontrabili in un recente articolo del New York Times.

Intervistato dal giornale americano, il generale di brigata in pensione Shlomo Brom, ex direttore della divisione di pianificazione strategica dell'esercito israeliano, ha affermato che «se Israele risponderà con forza sostanziale all'attacco iraniano, potrebbe scatenare una guerra su più fronti che costringerebbe la leadership israeliana a spostare la sua attenzione da Gaza». «Non è conveniente per noi avere guerre simultanee ad alta intensità in più scenari», ha spiegato Brom. Insomma, un conflitto potrebbe influenzare l'altro. «C'è l'idea che per risolvere una crisi, la situazione debba prima peggiorare. Un confronto diretto su larga scala con l'Iran potrebbe potenzialmente portare alla conclusione della guerra a Gaza. Ma perché la guerra si concluda in questo modo, sarebbe necessario un cessate il fuoco più ampio che comprenda diverse parti, tra cui Israele, l'Iran e i gruppi militanti Hamas e Hezbollah sostenuti dall'Iran».

Intervistato dal NYT, un generale maggiore in pensione, Amos Gilead, ha fornito un'interpretazione opposta. «Non c'è alcun collegamento tra i due conflitti e l'esercito israeliano ha risorse sufficienti per combattere, contemporaneamente, contro l'Iran e Hamas a Gaza». Questa idea sarebbe sostenuta anche dal fatto che un eventuale conflitto con la Repubblica islamica non necessiterebbe l'utilizzo delle risorse attualmente impiegate a Gaza. Insomma, per combattere l'Iran, Israele userebbe jet da combattimento e sistemi di difesa anti-aerea. Al contrario, per muoversi a Gaza, l'IDF usa principalmente truppe di terra, droni ed elicotteri.

L'ufficio del ministero della Sanita palestinese, a modo suo, ha confermato che Gaza è ancora lontana, lontanissima, da una tregua: «Almeno 68 persone sono state uccise a Gaza nelle ultime 24 ore» hanno dichiarato le autorità di Gaza. Il portavoce dell'IDF Daniel Hagari ha confermato: «Anche sotto l'attacco dell'Iran non abbiamo perso di vista, nemmeno per un attimo, la nostra missione critica a Gaza».