La Russia «coccola» i Talebani, ma per quale motivo?

I Talebani si sono avvicinati alla Russia. Non è una minaccia, ma la realtà dei fatti: all'inizio del mese, il ministro degli Esteri talebano Amir Khan Muttaqi, in rappresentanza de facto dell'Afghanistan, è stato invitato a Mosca per la sesta riunione delle Consultazioni sul Paese dell'Asia meridionale. Conosciuto come Formato di Mosca, questo vertice ha visto la partecipazione di altre nazioni interessate: Cina, India, Iran, Pakistan, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. Sul tavolo, questioni quali la sicurezza regionale e globale, lo sviluppo di opportunità commerciali e il sostegno umanitario all'Afghanistan.
I Talebani, come noto, sono tornati al potere nel 2021. Nessun Paese, tuttavia, ha riconosciuto ufficialmente il loro governo. Nonostante ciò, l'organizzazione è riuscita a stringere rapporti e alleanze nella regione e nel mondo. All'inizio del 2024, quello di Pechino è stato il primo governo ad accettare le credenziali diplomatiche di un inviato in Cina nominato dai Talebani. Lo stesso, in seguito, hanno fatto gli Emirati Arabi Uniti e, pochi giorni dopo l'incontro di Mosca, l'Uzbekistan. Secondo i beninformati, come riferisce il Moscow Times, il vertice in Russia ha sorriso e non poco ai Talebani. Addirittura, il governo russo ha annunciato che è stata presa una «decisione al più alto livello» per rimuovere i Talebani dalla lista delle organizzazioni terroristiche. «La decisione, ora, dovrà essere seguita da varie procedure legali per diventare realtà» ha dichiarato al riguardo Zamir Kabulov, rappresentante speciale della Russia per l'Afghanistan. Parallelamente, Alexander Bortnikov, direttore del Servizio federale per la sicurezza della Federazione Russa, il famigerato FSB, ha giustificato la mossa nel nome della lotta allo Stato Islamico della Provincia del Khorsan. Il cosiddetto ISIS-K, costola dell'ISIS responsabile del terribile attentato al Crocus Hall di Mosca lo scorso marzo che costò la vita a 145 persone. Il gruppo terroristico starebbe espandendo la sua presenza in Afghanistan dopo la presa di potere dei Talebani. Kabulov, di nuovo, ha discusso altresì la possibilità che i Talebani vengano invitati alla prossima riunione dei BRICS, prevista alla fine di questo mese proprio in Russia. Una richiesta formale, in questo senso, sarebbe stata avanzata dal vice primo ministro Abdul Ghani Baradar. Se è vero che Mosca, in linea di massima, è d'accordo a includere i Talebani è altrettanto vero che, affinché l'invito si concretizzi, è necessario il benestare degli altri membri BRICS.
Che Mosca spinga per un'istituzionalizzazione dei Talebani e una loro legittimazione, in ogni caso, è fuori discussione. Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, fra gli altri, ha invitato l'Occidente a revocare le sanzioni contro i nuovi-vecchi padroni di Kabul. La natura oscurantista ed estremista del regime, in questi anni, ha spinto l'Afghanistan verso un vero e proprio baratro isolazionista. Gli aiuti umanitari sono stati ritirati mentre i governi occidentali hanno imposto sanzioni. Nel Paese, di riflesso, la povertà si è acuita. Si stima che nel 2024 circa 24 milioni di persone, oltre la metà della popolazione, avranno bisogno di assistenza umanitaria. Ma perché il governo russo sente di dover stringere sempre più legami con i Talebani? Innanzitutto, per una questione pragmatica. Della serie: meglio avere un canale aperto con chi controlla una nazione instabile che non averlo del tutto. Così facendo, Mosca intende controllare o, meglio, avere un occhio sulla regione. A maggior ragione se, detto dell'ISIS-K, in Afghanistan starebbero confluendo sempre più organizzazioni terroristiche. A cominciare da Al Qaeda. Ma c'è di più: l'addio degli americani, turbolento e disorganizzato, ha lasciato dietro di sé macerie ma anche un vuoto di potere che, ora, la Russia vorrebbe riempire. Paesi come la Cina hanno già fatto breccia in Afghanistan con importanti investimenti, tra cui progetti di estrazione mineraria e petrolifera. E la Russia, evidentemente, non è né vuole essere da meno: si ritiene che gli scambi commerciali con l'Afghanistan, nel 2023, abbiano avvicinato il miliardo di dollari. Avere buoni rapporti con i Talebani, di conseguenza, vorrebbe dire garantire stabilità e sicurezza agli investimenti.
Gli analisti, per contro, sottolineano come un matrimonio con i Talebani si trascini appresso un prezzo, esoso, da pagare: legittimare l'organizzazione terroristica e le sue azioni. Da quando sono tornati al potere, in Afghanistan, i Talebani hanno imposto gravissime e aberranti restrizioni alle libertà delle donne, fra cui il divieto di accedere a un'istruzione superiore, di lavorare e di partecipare alla vita pubblica e politica. Sono aumentate anche le persecuzioni alle minoranze, la repressione dei media e della libertà di parola. «Qui i delitti contro le donne non sono più reato» aveva sintetizzato, in un'intervista concessa al Corriere del Ticino, Cristiana Cella, giornalista italiana e membro del direttivo dell'associazione CISDA. Durante il Formato di Mosca le parti hanno convenuto che andrebbe garantita la protezione di «donne, ragazze e tutti i gruppi etnici», ma nessuno ha mosso un dito per ritenere i Talebani responsabili di quanto sta accadendo né i Talebani sono stati invitati a porre rimedio ai soprusi. Anche sulla questione terroristica il vertice di Mosca, per dirla in maniera gergale, ci ha girato attorno. Nella dichiarazione congiunta rilasciata al termine dell'incontro le varie questioni non sono state affrontate. Fra cui, beh, anche quella sulla sicurezza del Paese e della regione. Eppure, i Talebani sulla stampa russa sono stati presentati come (nuovi) alleati nella lotta contro le minacce terroristiche. Chiamatelo pure cortocircuito, considerando che i Talebani sono a tutti gli effetti un gruppo terroristico. Nato dal movimento dei Mujaheddin, sostenuto dagli Stati Uniti, che negli anni Ottanta combatté l'invasione da parte dell'Unione Sovietica. E proprio questo aspetto, a detta di molti, dovrebbe spingere Mosca a usare maggiore cautela. L'Afghanistan, infatti, è conosciuto con il nomignolo di «cimitero degli imperi». Difficilmente, insomma, la Russia o la Cina riusciranno a fare del Paese un loro proxy. Non al 100%, quantomeno.