L’automobile dei ribelli: le incredibili fughe dalla Germania Est

Abbiamo iniziato il nostro viaggio nella Germania divisa con un’autovettura-simbolo, la Trabant. Lo proseguiamo con un’altra, ancor più curiosa. Nei primi anni Cinquanta anche i produttori italiani cercano di offrire auto economiche per la mobilità del Dopoguerra. Nello stabilimento ISO-Rivolta di Bresso, poco distante da Milano, nasce la piccola biposto Isetta. Diventa celebre per la sua forma a uovo, le ruote posteriori ravvicinate e l’unica porta di accesso anteriore. La BMW ne acquista la licenza e la produce in Germania dal 1955.
Nessuno immagina ancora che la bizzarra vetturetta diventerà un pezzo di storia del Muro di Berlino. Sotto il vano bagagli è alloggiato il piccolo motore bicilindrico, ma, con alcune modifiche, resta spazio a sufficienza per una persona rannicchiata, invisibile dall’esterno.
L’idea geniale del meccanico fuggiasco
È la storia di Klaus-Günter Jacobi, un giovane meccanico fuggito con i genitori da Berlino est quando la Germania è già divisa, ma la frontiera è ancora aperta. Le condizioni di vita all’Est peggiorano ed è chiaro che nella Germania orientale si sta formando un regime asservito al modello sovietico, che cancella le libertà individuali ed è incapace di generare benessere.
Jacobi lascia all’Est un amico d’infanzia che pochi anni dopo vuole fuggire anch’egli, ma nel frattempo la frontiera è stata chiusa. L’amico chiede aiuto proprio a Jacobi, che intanto ha acquistato una Isetta e così progetta l’avventura. Grazie alla sua abilità di meccanico, modifica la parte posteriore e ricava intorno al motore lo spazio per nascondere l’amico e portarlo all’Ovest.
Non può andare di persona a prenderlo: siamo a maggio del 1963, il governo della Germania est non ammette gli abitanti di Berlino ovest nell’altra metà della città, mancano ancora sette mesi alla firma dell’accordo che permetterà i primi, timidi transiti fra le due zone. Per portar fuori l’amico, Jacobi deve trovare un volontario proveniente da un’altra regione della Germania occidentale. Si annunciano due studenti: uno guiderà l’Isetta, l’altro farà da scorta, per ogni evenienza. La fuga rocambolesca riesce: l’amico di Jacobi riemerge dal vano motore dell’Isetta, dolorante ma libero, sul lato occidentale del celebre ponte Bornholmer Brücke.
L’avventura dell’Isetta continua e finisce al museo
I due studenti ingaggiati da Jacobi compiono altri «prelievi» dall’Est verso l’Ovest, con un’altra Isetta modificata. Portano in Germania occidentale ancora otto fuggiaschi, sinché non vengono scoperti. Durante un controllo in frontiera, l’autista scende e l’auto resta vuota. La passeggera clandestina ripiegata nel vano motore si muove e l’auto fa uno scossone che non sfugge alle guardie di confine.
Il trucco è scoperto, più nessuna Isetta può servire allo scopo. Da quel momento i funzionari della Germania est controllano fino all’ultimo pertugio ogni vetturetta che si presenta in frontiera. L’Isetta esposta oggi al Museo del Muro di Berlino, a fianco del vecchio Checkpoint Charlie, non è quella di Jacobi – la fece rottamare qualche tempo dopo: è una riproduzione che porta dinanzi agli occhi dei visitatori la storia di quest’altra, straordinaria automobile legata alla storia della Germania spezzata in due.
La repressione e i fallimenti di Erich Honecker
Perché si fugge dalla Germania est con così tanta inventiva, dopo la costruzione del Muro di Berlino, ce lo raccontano gli atti di colui che dal 1971 è a capo della Germania est, Erich Honecker. Il suo tragico capolavoro, lo sbarramento in filo spinato che la notte del 13 agosto 1961 divide in due la città, diventa un muro di cemento preceduto da una «striscia della morte» che negli anni si allarga sempre più, fatta di cavalli di frisia, campi minati e torri di guardia.
Sulla recinzione confinaria Honecker fa installare il sistema di cui si fregia con l’orgoglio più perverso: gli Schießautomaten, sistemi di sparo automatici comandati da un cavo teso lungo la rete. Chi prova a scavalcare la recinzione innesca da solo gli spari contro sé stesso e cade. Gli Schießautomaten diventano l’emblema della crudeltà del regime. Honecker li fa smontare solo nel 1983, quando la Germania est, soffocata dalla crisi, ottiene un prestito dalla Baviera. L’allora capo del governo bavarese, Franz Josef Strauss, pretende in cambio che Honecker rimuova tali dispositivi.
«Speravamo che le cose migliorassero, ma non cambiava niente» – E’ la frase che accomuna le testimonianze di tutti coloro che rischiano la vita e fuggono all’Ovest. La Germania est si può lasciare legalmente solo facendo richiesta agli appositi uffici: «Non rispondono, o rispondono di no dopo un sacco di tempo» testimonia una ragazza che nel 1988 fugge attraversando a nuoto la Sprea, il fiume che a tratti segnava il confine tra le due Berlino. La giovane elude per poco gli spari dal motoscafo delle guardie. «All’Est non conta la qualificazione, fai carriera solo per fedeltà politica» continua la ragazza, intervistata dai giornalisti all’Ovest. «E’ come se ci avessero rubato il mondo: ci trattano come dei minorati» aggiunge un suo compagno di fuga.
Le speranze di chi fugge e le famiglie spezzate
Chi fugge cerca la libertà di conoscere il mondo, di realizzare i propri talenti fuori dal paternalismo comunista; spesso ha desideri semplici: un’automobile migliore o un apparecchio radio introvabili all’Est, una scelta più ricca di abiti e di alimentari. Proviamo a pensare di privarcene noi per una vita, scopriremo che sono desideri meno banali di quanto sembra. C’è chi scappa con obiettivi più alti: cerca uno Stato dove ci siano elezioni corrette, libertà di espressione e tribunali indipendenti.
La frattura tra fedeltà e ribellione al regime divide le famiglie. «Me ne vado, qui non riesco a realizzare i miei progetti» scrive uno dei tre fratelli Bethke in una lettera che i genitori trovano dopo la sua fuga. Scappano tutti e tre, uno dopo l’altro. Lasciano all’Est padre e madre, fedeli funzionari del regime di Honecker. La fuga dei figli mette in cattiva luce i genitori e le loro carriere si interrompono. «Per i miei ero diventato un traditore, scrivevo ma non rispondevano» ricorda Ingo. Fugge attraversando il fiume Elba su un materassino gonfiabile, aiutato dalle conoscenze dell’infrastruttura di confine acquisite quand’era militare.
Suo fratello Holger lo raggiunge anni dopo: una notte sale di soppiatto in una soffitta a ridosso del confine. Dall’abbaino lancia con un arco una freccia oltre il Muro, in quel tratto poco guarnito. Ingo la raccoglie e i due tirano un cavo aereo tra le due Germanie. Holger, appeso a una carrucola, scorre lungo il cavo sino oltreconfine. Tempo dopo, Ingo e Holger organizzano la fuga del terzo fratello, Egbert, su un deltaplano a motore. Un rischio enorme, ma l’esperienza militare di Ingo aiuta ancora. Girano in diretta un video dell’impresa, poi pubblicato dalla rivista Quick, che li rende celebri. Egbert fatica ad ambientarsi all’Ovest, ma dirà, intervistato dallo Spiegel: «La strada verso la libertà conviene sempre, anche se si rischia la vita».
Le fughe sotterranee, il bulldozer e tanta paura
In centinaia di persone fuggono all’Ovest scavando gallerie sotto il Muro. La fuga sotterranea resta la più impressionante, per il rischio di crolli, l’enorme fatica dei lavori e il pericolo che il rumore suscitasse l’attenzione delle autorità. Lo scavo del cosiddetto «Tunnel 57», nel 1964, dura più di sei mesi e giunge a 12 metri di profondità, per una lunghezza di 145 metri.
Il regime di Honecker aumenta la repressione e fallisce nel garantire benessere. Tra le fughe più spettacolari con vari mezzi di trasporto vi è quella riuscita a tre giovani della regione di Magdeburgo, nei primi anni Ottanta. Uno di loro, Wolfgang Hilgert, è camionista in una cava a ridosso del confine. Lavorando, scopre un punto debole della recinzione e propone a due amici di tentare insieme la fuga all’Ovest.
In tre pianificano l’operazione nei dettagli: Hilgert nasconde i due amici nella cabina del suo camion e si avvicina al confine; le guardie lo conoscono, transita ogni giorno verso la cava e non lo controllano. La mattina dopo, all’alba, i tre giovani si impossessano di un grosso bulldozer del cantiere. Il mezzo è rumoroso, ma nessuno ci fa caso, sembra la normale ripresa del lavoro. Lanciano il mezzo verso la rete confinaria, ma una pattuglia li sorprende e, per giunta, il motore del bulldozer si spegne. Con la vettura delle guardie alle calcagna, i tre riescono a riavviare il motore e sfondano a tutta velocità la recinzione, per proseguire le loro vite in Occidente.

Le ultime vittime e la memoria
L’ultima delle centinaia di vittime note delle fughe dalla Germania est cade il 5 febbraio 1989: ha vent’anni, si chiama Chris Gueffroy. La fuga più celebre resta quella di Conrad Schumann, allora diciannovenne guardia di confine della Germania est. Di picchetto alla Bernauer Straße, uniforme, elmo e mitra a tracolla, il 15 agosto 1961 scavalca d’impulso il filo spinato che Erich Honecker aveva fatto posare due giorni prima per dividere Berlino. Un atto che cambia la sua vita e resta nella Storia. È lui, il milite ripreso nella foto che è diventata simbolo delle migliaia di persone fuggite dal regime dell’Est, e delle tante altre la cui fuga verso la libertà è finita con l’arresto o con la morte.
Questo approfondimento fa parte di una seria curata dal ricercatore indipendente Luca Lovisolo in esclusiva per CdT.ch. Per leggere la prima puntata clicca qui. Per leggere la seconda puntata clicca qui. Per leggere la terza puntata clicca qui. Per leggere la quarta puntata clicca qui. Per leggere la quinta puntata clicca qui.