Lo studio

Le multinazionali straniere che finanziano (indirettamente) la guerra della Russia

Da un nuovo rapporto, firmato dalla Kyiv School of Economics e B4Ukraine, emerge che soltanto il 17% delle società occidentali ha lasciato completamente la Federazione dopo l'invasione dell'Ucraina – Chi è rimasto ha continuato a pagare le tasse e, quindi, ad arricchire le casse del Cremlino
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Red. Online
06.07.2023 09:30

Di Russia e marchi occidentali abbiamo parlato molto, in questi mesi. Dallo studio dell'Università di San Gallo e dell'IMD di Losanna, secondo cui solo l'8,5% delle imprese di Paesi UE o del G7 – a novembre del 2022 – aveva effettivamente lasciato la Federazione, alle recenti critiche mosse a Unilever, gigante dei beni di consumo ancora presente, se non presentissimo nel territorio russo. Un nuovo rapporto della Kyiv School of Economics (KSE) e B4Ukraine, ora, indica che, nonostante l'invasione dell'Ucraina e la guerra, diverse multinazionali straniere hanno continuato a pagare le tasse in Russia nel 2022. Finanziando, quindi, la guerra di Vladimir Putin seppur indirettamente.

La presenza dell'Occidente nell'economia russa non è un fattore secondario. A maggior ragione se consideriamo che, stando ad alcune stime, il Cremlino spende almeno 1 miliardo di dollari al giorno per sostenere il suo sforzo bellico al fronte. Un onere enorme per Mosca, soprattutto con i prezzi di petrolio e gas al ribasso e, parallelamente, le sanzioni sull'energia russa che hanno azzoppato la principale fonte di reddito del Paese.

Nulla è cambiato

Tornando al rapporto, le cifre sono quantomeno indicative: delle 1.387 società occidentali che vantavano filiali russe all'inizio dell'invasione su vasta scala, il 24 febbraio 2022, solo 241 (il 17%) sono completamente uscite dalla Russia. E così, quelle che non hanno ancora lasciato il mercato russo hanno generato entrate per 177,2 miliardi di dollari lo scorso anno.

A febbraio, il KSE aveva pubblicato Unfinished Business, un'analisi dalla quale emerse che oltre la metà delle società internazionali attive in Russia all'inizio della guerra (il 56%) vi operava ancora. «Quasi nulla è cambiato anche dopo altri tre mesi di violenze e prove crescenti di crimini di guerra commessi dalle truppe russe; il 56% delle aziende monitorate da KSE è ancora impegnato a rimanere in Russia» si legge nel nuovo rapporto.

La punta dell'iceberg

Nel 2022, le cosiddette multinazionali, comprese quelle che sono uscite dal mercato russo dopo la guerra, hanno versato nell'insieme 3,5 miliardi di dollari di tasse sui profitti generati dalle loro attività nella Federazione. «Ma questa è solo la punta dell'iceberg e probabilmente una sostanziale sottostima del conto fiscale totale» spiega il rapporto, aggiungendo che le società internazionali con filiali locali in Russia pagano anche una serie di altre tasse, inclusa l'imposta sul reddito sui salari dei dipendenti, pagamenti delle assicurazioni sociali e imposte sul valore aggiunto: banalmente, l'IVA. Le società con sede nei paesi del G7 e dell'UE sono state, cumulativamente, i contribuenti con il maggior profitto in Russia nel 2022, rappresentando 16 dei 20 principali contribuenti nazionali. Paradossalmente, ma nemmeno troppo, le aziende statunitensi hanno raccolto i maggiori ricavi totali in Russia e sono i maggiori contributori alle casse del Cremlino attraverso le tasse sui profitti, con 712 milioni di dollari nel 2022, sempre secondo il rapporto. Le aziende tedesche arrivano subito dopo: nel 2022 hanno pagato alla Russia 402 milioni di dollari di tasse sugli utili. Le società con sede negli attuali Stati membri dell'UE, infine, hanno pagato 594 milioni di dollari in tasse sugli utili.

Fumi? Allora resto

A fronte di uscite rumorose come McDonald's e Starbucks, con tanto di sostituti «nazionali», molti altri marchi occidentali hanno deciso, a torto o a ragione, di restare. Fra questi, citiamo il colosso giapponese-svizzero Japan Tobacco International, con entrate per 7,4 miliardi di dollari in Russia nel 2022, 1,5 miliardi in più rispetto all'anno precedente. Nell'anno considerato, il 2022, Japan Tobacco ha pagato 193 milioni di dollari di imposte sugli utili.

Fumare, a quanto pare, è un'attività molto redditizia in Russia. Philipp Morris, che commercia le sigarette Marlboro al di fuori degli Stati Uniti, ha generato entrate per 7,9 miliardi di dollari nel 2022 e versato 206 milioni di dollari di tasse sugli utili all'erario russo. Lo scorso febbraio, l'azienda aveva dichiarato di preferire il mantenimento delle attività in Russia piuttosto che una vendita a una cifra decisamente inferiore rispetto al valore di mercato.

Detto delle «bionde», un altro settore in crescita, con un fatturato di 21 miliardi di dollari in Russia nel 2022, è stato quello dei beni di consumo. Danone, che ha registrato vendite per oltre 3 miliardi di dollari, sta cercando di trovare un acquirente russo per la sua attività locale, ma finora non ha cavato un ragno dal buco. Nestlé ha ridotto alcune delle sue attività e ha smesso di fare pubblicità, come Unilever. Mars, infine, nel 2022 ha pagato 99 milioni di dollari di imposte sugli utili. Lo scorso gennaio, quantomeno, il produttore di dolciumi ha dichiarato di aver ridimensionato alcune sue attività nel Paese.

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