Energia

L'Europa spinge sul GNL

L'uscita dal gas russo è possibile, grazie anche agli Stati Uniti – Ma la questione ambientale si impone
Marcello Pelizzari
26.05.2022 06:00

Faceva parte del piano, in fondo. Sì, l’Unione Europea sta puntando forte sul gas naturale liquefatto o, se preferite, GNL. Il motivo è presto detto: si tratta di un’alternativa, immediata, per sostituire i milioni di tonnellate di gas che, attualmente, l’UE compra dal suo fornitore principale di gas «normale»: la Russia. 

La guerra in Ucraina, come noto, ha spinto il blocco a rivedere i suoi rapporti – economici, ma anche politici – con il Cremlino. L'obiettivo, al netto di alcune, inevitabili differenze di vedute, è quello di perseguire e raggiungere un'indipendenza economica europea. Di più, privare Mosca delle esportazioni di energie fossili darebbe a Vladimir Putin una mazzata (forse) definitiva. L'Unione, in quest'ottica, sta battendo ogni record di importazioni di GNL.

In particolare, un recente accordo firmato con gli Stati Uniti garantirà a Bruxelles 15 miliardi di metri cubi (bcm) in più entro la fine del 2022. L'intenzione, per contro, è di aumentare le forniture annuali a 50 miliardi di metri cubi entro il 2030. Mica male.

Tanta energia in spazi ridotti

Che cosa rende il GNL un prodotto tanto ambito? Ne avevamo già parlato agli inizi del conflitto. Innanzitutto, per GNL si intende un gas raffreddato fino a -162 gradi centigradi affinché, appunto, raggiunga uno stato liquido. Il GNL, in particolare, è una miscela di idrocarburi con il metano a recitare la parte del leone (fra il 90 e il 99%). Altri componenti secondari sono l’etano, il propano e il butano. La liquefazione permette di ridurre il volume specifico del gas di circa 600 volte rispetto alle condizioni standard. Di riflesso, lo stoccaggio e il trasporto diventano competitivi proprio perché è possibile immagazzinare grandi quantità di energia in spazi ridotti.

Le origini della tecnologia di liquefazione del gas naturale, spiega Wikipedia, risalgono agli anni Venti quando si svilupparono le prime tecniche di liquefazione dell'aria. 

L'Unione Europea, nell'insieme, importa circa il 90% del proprio fabbisogno di gas. La Russia, in questo senso, era (e rimane) il principale fornitore. Basti pensare che rappresenta il 45% delle forniture totali: 155 miliardi di metri cubi nel 2021. Logico, quindi, che dovendo pensare a un'alternativa al gas russo il GNL sia emerso, subito, prepotentemente. E che, come detto, le importazioni abbiano toccato livelli vertiginosi: 12,4 miliardi di metri cubi in aprile.

Offerta variegata

Il trasporto di GNL, come noto, avviene via nave. Tramite le cosiddette metaniere, nei cui serbatoi il gas rimane quasi interamente in fase liquida a pressione atmosferica e, come detto, a -162 gradi. I serbatoi, in seguito, vengono scaricati in porti dotati di terminali specializzati, dove il liquido viene riscaldato e rigassificato. Ovvero, viene riportato allo stato gassoso originario. Quindi, tramite condutture, il gas viene trasportato a centrali elettriche, fabbriche, case. 

L'altro vantaggio intrinseco del GNL è legato ai suoi produttori. Sono tanti e differenti. Includono democrazie come gli Stati Uniti, di cui abbiamo parlato poche righe sopra. Citiamo anche Israele, Qatar, Egitto, Nigeria e Australia. L'Unione Europea, dunque, per certi versi ha solo l'imbarazzo della scelta e, come si suol dire, può diversificare i suoi acquisti evitando relazioni scomode e troppo totalizzanti come quella, attuale, con la Russia.

I lati negativi

Il GNL, tuttavia, presenta anche sfide se non addirittura lati negativi. Primo: la domanda, in questo preciso momento storico, è parecchio elevata. Gli operatori sono (quasi) ai massimi della capacità mentre più Paesi, attualmente, si contendono le navi cisterna. Di conseguenza, i prezzi negli ultimi mesi sono aumentati e, complice la guerra, si prevede che rimarranno al di sopra della media. L'UE, a tal proposito, confida di aggirare il problema varando la politica dell'acquisto congiunto. Un po' come aveva fatto con i vaccini anti COVID-19, non senza polemiche fra l'altro.

Secondo aspetto: l'infrastruttura GNL esistente è concentrata sulle coste dell'Europa occidentale. I Paesi senza sbocco sul mare dell'Europa centrale e orientale, dunque, ora come ora rischierebbero di avere solo svantaggi ad abbandonare i gasdotti russi.

La questione ambientale

C'è, infine, la questione ambientale. Il GNL è un combustibile fossile. Ovvero, inquina e, inquinando, contribuisce al cambiamento climatico. L'incremento delle importazioni deciso dall'UE, non a caso, è stato criticato dalle varie organizzazioni ambientalistiche. Le quali, oltre alle critiche, hanno richiamato Bruxelles a un senso di responsabilità e a una certa coerenza: aumentare il flusso di GNL, di fatto, contravviene ai fondamenti del Green Deal europeo e agli impegni assunti dal blocco nell'ambito dell'accordo di Parigi.

In generale, il GNL gode di una narrazione positiva – combustibile di transizione – poiché, quando viene bruciato per generare elettricità, produce nettamente meno emissioni di CO2 rispetto al carbone. La metà, circa. Tale argomentazione, tuttavia, è stata respinta fra gli altri da Ted Nace di Global Energy Monitor, secondo cui è difficile confrontare le emissioni di carbone e gas considerando la loro diversa natura. Gli impianti di GNL, poi, rilasciano anche metano: un gas che rimane nell'atmosfera «solo» 12 anni, quindi dalla vita breve, ma che ha un potere riscaldante circa 28 volte superiore a quello della stessa quantità di CO2 se calcolato su un secolo.

 

In questo articolo: