Politica

L'Ucraina verso l'Unione Europea: e la Georgia?

Tbilisi per ora deve accontentarsi della «prospettiva europea», complici la crisi politica e l'estremo livello di polarizzazione
Marcello Pelizzari
02.07.2022 21:21

Sì, Ucraina e Moldavia hanno ottenuto lo status di Paesi candidati all’ingresso nell’Unione Europea. Lo ha ufficializzato, giorni fa, Bruxelles. E la Georgia? La domanda è lecita, al netto della posizione geografica, a maggior ragione se consideriamo che l’UE da tempo rappresenta un obiettivo di Tbilisi. Bene, anzi male dato che i leader dei 27 Stati membri, per il momento, si sono limitati a riconoscere la «prospettiva europea» della Georgia. Tradotto: per la candidatura vera e propria l’ex repubblica sovietica dovrà aspettare ancora.

Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, ha chiarito il concetto: «Il Consiglio europeo è pronto a concedere lo status di Paese candidato alla Georgia, una volta che saranno state affrontate le priorità specificate nel parere della Commissione sulla domanda di adesione».

L'eredità sovietica

Il Dottor Shota Kakabadze, analista presso il Georgian Institute of Politics, in un approfondimento di CdT.ch ci diceva: «A frenare l’ingresso del nostro Paese potrebbero essere la crisi politica interna e l’estremo livello di polarizzazione. Nonostante l’Unione Europea sia stata coinvolta al massimo livello possibile per trovare una soluzione alla crisi, l’accordo mediato da Bruxelles è stato annullato dal partito al potere. La credibilità della Georgia è così stata messa in discussione». 

Il sentimento europeo, in Georgia, è forte. Ed è cresciuto, inevitabilmente, con la guerra in Ucraina. Anche grazie ai tanti russi contrari all’invasione che, in questo angolo di Caucaso meridionale, hanno trovato riparo e accoglienza.  Repubblica parlamentare, la Georgia d’altronde ha compiuto numerosi sforzi per lasciarsi alle spalle la pesante eredità sovietica (un dato su tutti: Stalin era georgiano). La democrazia, tuttavia, appare traballante: le accuse e i sospetti di frode, corruzione e intimidazioni varie sono all’ordine del giorno. Anche qui, ad esempio, gli oligarchi sembrerebbero esercitare troppe influenze. Tanto sulla politica quanto sui media del Paese. Ahia. 

Sogno o incubo?

La Georgia, nello specifico, vive una brutta, bruttissima crisi politica e sociale dall’ottobre 2020. Quando, cioè, l’opposizione ha parlato di elezioni parlamentari truccate e, di riflesso, si è rifiutata di riconoscere la sconfitta. Di qui le proteste popolari, condite manco a dirlo da violenze e arresti da parte della polizia. 

Il risultato? I gruppi di opposizione hanno deciso di non entrare in Parlamento mentre il partito al comando – Sogno Georgiano, la creatura dell’oligarca Bidzina Ivanishvili – ha formato un nuovo governo. Primo ministro, dal febbraio del 2021, è Irakli Garibachvili. Un «sognatore» della prima ora. 

L’accordo mediato da Bruxelles di cui parlava il Dottor Kakabadze prevedeva, grazie all’intervento di Michel, che tutte le parti tornassero nell’aula legislativa e che venissero portate avanti svariate riforme. All’ultimo, però, senza spiegazioni Sogno Georgiano ha ritirato la firma e fatto saltare tutto. 

Logico, di conseguenza, che l’instabilità interna abbia avuto un peso nelle valutazioni dei 27 Stati membri. E che lo status di candidato non sia stato concesso.

Così l’Esecutivo di Bruxelles: «La Georgia ha le basi per raggiungere la stabilità delle istituzioni che garantiscono la democrazia, lo stato di diritto, i diritti umani e il rispetto e la protezione delle minoranze, anche se i recenti sviluppi hanno minato i progressi del Paese».

I problemi più stringenti che Tbilisi dovrà risolvere, insomma, riguardano l’eccessiva polarizzazione della scena politica e il cattivo funzionamento delle istituzioni. Complice, va da sé, la citata influenza degli oligarchi. 

Il 24 giugno, il giorno dopo l’annuncio dell’UE, migliaia e migliaia di manifestanti – 60 mila, si mormora – hanno urlato tutta la loro frustrazione nei confronti dell’attuale governo, reo di aver mancato l’appuntamento con lo status di Paese candidato. Chiedendo un cambiamento. 

La spinta popolare

La forte spinta dal basso potrebbe essere l’inizio di qualcosa. Le parole della presidente Salomé Zourabichvili, parallelamente, sono gonfie di gratitudine verso Bruxelles. Già, perché il solo riconoscimento della cosiddetta prospettiva europea sugli occhi dell’intellettuale è un passo «incredibilmente storico».

L’anno buono, se mai ce ne fosse uno, potrebbe essere il 2023. Fra gli altri, ne ha parlato il presidente francese Emmanuel Macron. Il quale ha ribadito, con la solita enfasi, quanto lui e i suoi colleghi abbiano apprezzato «la volontà del popolo georgiano, che è uscito in strada e che ha chiesto di entrare assolutamente in Europa».

La Commissione europea, entro la fine del 2022, dovrà fornire al Consiglio europeo un resoconto delle misure varate dal governo georgiano. Quindi, i leader dell’UE si chineranno di nuovo sul dossier e risponderanno all’annosa domanda: la Georgia merita o no lo status di candidato?   

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