Meno voli, più licenziamenti: la Russia ora «sente» le sanzioni
La Russia aveva retto. Meglio di altri. Anzi, a differenza di altri. Scali come Amsterdam, Heathrow e Francoforte, ma anche Zurigo, assomigliavano a deserti. Pochi, pochissimi voli in programma. Nessuna coda al check-in. Nella Federazione, invece, la pandemia ha provocato danni minori all’aviazione. Di più, la spinta (forte) del cosiddetto mercato domestico aveva permesso alle compagnie di respirare.
Ora, beh, l’orizzonte si è rovesciato. L’invasione dell’Ucraina e le conseguenti sanzioni occidentali hanno, di fatto, frenato un intero settore. E gli effetti, a distanza di mesi dalle prime misure, cominciano a farsi sentire. Pesantemente.
Chiusure e tagli
Dall’inizio della guerra, ha spiegato l’Agenzia federale per il trasporto aereo, Rosaviatsiya, undici aeroporti minori sono stati chiusi. Il traffico, per forza di cose, è crollato: lo spazio aereo dell’UE e quello nordamericano, proprio in virtù delle sanzioni, sono chiusi. Lo stesso ha fatto Mosca, chiudendo i suoi cieli ai vettori dei Paesi «ostili».
A Sheremetyevo, lo scalo più importante e prestigioso della capitale, più o meno un impiegato su cinque è in congedo. Circa 2 mila dipendenti di Vnukovo, altro aeroporto moscovita, potrebbero essere licenziati.
A crollare, per forza di cose, è stata pure la domanda per collegamenti interni. Aeroflot, la compagnia di bandiera, rispetto al marzo 2021 ha perso per strada un quinto dei suoi passeggeri. Il vettore, visti i tempi cupi, potrebbe beneficiare di 1,5 miliardi di euro provenienti dalle riserve del Cremlino. Un’operazione di cosmesi, forse, ma necessaria per mantenere in vita il fiore all’occhiello dell’aviazione russa.
La lista nera
I vettori russi, che tanto avevano fatto in questi trent’anni per raggiungere gli standard occidentali, nel frattempo sono finiti sulla famigerata lista nera dell’UE. Un downgrade logico, dal momento che le compagnie di Mosca non possono accedere né ai pezzi di ricambio di Airbus e Boeing né ai servizi di manutenzione. Un disastro. L’eterna (supponiamo) questione degli aerei in leasing rubati ai legittimi proprietari, poi, si trascinerà oltre i tempi del conflitto. Tradotto: la Russia, se pensiamo ai cieli, rischia di vivere un lungo periodo di isolamento e arretramento tecnologico.
I guai del Sukhoi
Torniamo ad Aeroflot. Sui 187 velivoli attualmente in flotta, tutti tranne 10 sono prodotti dai due colossi occidentali, Airbus e Boeing. La compagnia, a suo tempo, aveva piazzato ordini interni per 50 Irkut MC-21-300 e per 95 Sukhoi Superjet, di cui possiede già dieci esemplari.
Ma proprio i Sukhoi gettano un’ombra sinistra sulla possibilità, nel breve e lungo periodo, che la Russia possa sostituire gli aerei di fabbricazione occidentale con apparecchi fatti in casa. Da un lato, il Superjet si è rivelato un fallimento commerciale e, soprattutto, ha avuto non pochi problemi alla catena di approvvigionamento; dall’altro, benché sia un aereo pensato e prodotto in Russia, monta motori francesi. E la produzione di questi motori, visto il contesto geopolitico, sarebbe stata sospesa.
Il tutto mentre il Cremlino, con la solita strategia, sta cercando di minimizzare il problema e, ancora, zittire le voci critiche che si levano dal settore. IrAero, ad esempio, aveva espresso più di una preoccupazione in merito ai Sukhoi. «Non c’è motivo di fare rumore» la risposta.
La produzione propria
Il Cremlino, insomma, potrebbe vedersi costretto a rivedere i piani. Il ministro dei Trasporti, per dire, aveva lanciato un programma mastodontico che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto consegnare al Paese mille aerei di fabbricazione russa entro il 2030. Difficile, se non impossibile, a maggior ragione se le previsioni più ottimistiche circa la messa in funzione del citato Irkut parlano del 2024.
Non solo, sebbene la Russia abbia retto il colpo durante le fasi più acute del coronavirus, il traffico «vero» a livello globale tornerà solo a fine decennio.
Il rischio, reale, è che il settore cannibalizzi gli aerei rimasti per procurarsi i pezzi di ricambio. E, quindi, che la Russia verso il 2025 perda metà della sua flotta civile.
C'è chi ne approfitta
Nel bailamme, resta da capire quale ruolo giocherà la Cina. Che pure dipende da componenti occidentali ma che, come noto, con Mosca aveva stretto un’alleanza commerciale per sviluppare il CRAIC CR929, un aereo di linea frutto di un consorzio fra la cinese Comac e la russa United Aircraft Corporation, il conglomerato dove Putin ha fatto confluire i marchi storici dell’era sovietica.
Secondo diversi esperti e analisti, Pechino non muoverà un dito. Nonostante l’amicizia «eterna» fra le due nazioni. Il motivo? Una questione di rischi (tanti) e opportunità (relativamente poche).
Altri, tuttavia, stanno cercando di sfruttare la crisi. Air Serbia, ne avevamo parlato, non ha mai smesso di servire le città russe da Belgrado. La Turchia, invece, ha lanciato una nuova compagnia per attirare i turisti russi. Guai, ha pensato Ankara, se perdiamo una fonte di guadagno sicura.
Si tratta, tuttavia, di noccioline se pensiamo al quadro generale. La Russia sta rivivendo i brividi dell’Unione Sovietica, quando Est e Ovest erano separati non solo politicamente ma anche sul fronte tecnologico. All’epoca, il settore seppe comunque cavarsela. Ma ora, i dubbi superano di gran lunga le certezze. E gli aeroporti, intanto, continuano a svuotarsi.