Singapore tra memorie perdute e città che cambiano: Tropic Temper conquista St. Moritz
Non c’è bisogno di attraversare oceani per sentire il respiro dei tropici: basta entrare in una sala buia a St. Moritz. Qui, dove il vento delle montagne porta aria fresca e rarefatta, il cinema accende immagini di calore umido, di fantasmi equatoriali, di città trasformate in serre artificiali. È il paradosso poetico dello St. Moritz Art Film Festival (SMAFF), che fino a domenica trasforma l’Engadina in un crocevia globale di culture e immaginari.
Il festival, giunto alla quarta edizione, non vive di grandi folle né di tappeti rossi. La sua forza è altrove: nella capacità di dare voce a storie lontane, spesso invisibili, e di farle risuonare in un contesto raccolto. St. Moritz diventa così un osservatorio culturale unico, dove le tensioni del mondo contemporaneo trovano linguaggi nuovi attraverso il cinema e le arti visive.

Il fantasma dei tropici in Engadina
Tra le opere più sorprendenti di quest’anno c’è Tropic Temper, della regista e artista Elizabeth Gabrielle Lee. Un cortometraggio di sedici minuti che porta in Engadina il volto nascosto di Singapore: le mangrovie spazzate via dai progetti urbani, gli edifici popolari trasformati in centri commerciali, la memoria collettiva sacrificata sull’altare dell’efficienza.
«Il film guarda a ciò che si perde e a ciò che resta in seguito alla perdita» racconta Lee. «A Singapore molte costruzioni degli anni Settanta e Ottanta vengono demolite e sostituite da spazi senz’anima. Così spariscono le infrastrutture sociali, i luoghi di incontro. Volevo riflettere sul senso di smarrimento che accompagna queste trasformazioni, ma anche sul nostro rapporto con il calore, con la memoria e con i luoghi che ci appartengono».

Bellezza e ombra
Il film alterna eleganza e crudezza: la danza ipnotica dei corpi si staglia contro ambienti marginali, come i karaoke club, spesso considerati spazi «segreti» della città. «Ho voluto mostrare la grazia dei movimenti, ma anche ciò che è percepito come trasgressivo o brutto. La bellezza per me è una porta: cattura lo spettatore, lo invita ad avvicinarsi, e solo allora si può affrontare ciò che di solito viene respinto».
È un linguaggio che Lee definisce Tropic Noir: un immaginario umido e notturno, in cui la natura diventa personaggio e i fantasmi convivono con gli esseri umani. Luci fredde, suoni tesi, sovrapposizioni digitali e found footage costruiscono un’esperienza visiva che disorienta e incanta allo stesso tempo.

L’aria condizionata come metafora
In Tropic Temper, anche un oggetto quotidiano diventa simbolo: l’aria condizionata. «Singapore è stata definita «la nazione con l’aria condizionata» – spiega Lee –. Non solo climaticamente, ma anche socialmente: un Paese ingegnerizzato, dove i comportamenti sono regolati. Ho voluto mostrare come il fresco artificiale sia diventato una tecnologia di classe: chi può permetterselo vive nel comfort, chi non può si rifugia nei centri commerciali, cercando refrigerio gratuito».
Un tema che ci riguarda da vicino: «Adesso vivo in Grecia e prima ho vissuto a Londra: ho potuto constatare come in Europa oggi viviamo estati sempre più torride, con incendi e ondate di calore devastanti. Ciò che abbiamo sperimentato nei tropici sta accadendo anche qui. Il film interroga chi potrà permettersi di accedere a queste tecnologie e a quale prezzo, invitando a ripensarle in chiave sostenibile».

Il festival come sismografo globale
La presenza di Tropic Temper a St. Moritz racconta molto dell’identità del festival. Nato nel 2020, lo SMAFF è cresciuto rapidamente diventando un luogo di ascolto e confronto, dove le storie di Singapore si intrecciano con quelle dell’Europa mediterranea, dell’Africa, delle Americhe. In un contesto alpino che per sua natura sembra distante, si disegna invece un orizzonte globale.
«Trovo significativo presentare un film sul calore in un ambiente alpino» osserva Lee. «Il contrasto è forte, ma proprio per questo necessario. L’arte deve creare tensioni, spostare lo sguardo, costringerci a pensare a ciò che preferiamo ignorare».

Il respiro del futuro
Oltre a essere filmmaker, Elizabeth Gabrielle Lee è docente alla London College of Fashion. La sua ricerca esplora fenomeni psichici, ambienti post-tropicali e nuove tecnologie. Tropic Temper è il suo debutto cinematografico, ma già lavora a un nuovo capitolo: «Il prossimo progetto sarà sull’elettricità. Dopo l’aria, un altro elemento per riflettere sul nostro presente e sulle infrastrutture invisibili che reggono le nostre vite».
«Mostrare qui Tropic Temper è stato emozionante – conclude Lee –. Che cosa sono i tropici senza montagne, e che cosa sono le montagne senza la memoria dei tropici? Forse è in questi dialoghi inattesi che l’arte trova davvero la sua ragione».