Scenari

TikTok, e se la Cina portasse in tribunale il governo statunitense?

ByteDance, qualora la legge superasse anche lo scoglio del Senato, potrebbe intentare causa basandosi sul rispetto del primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che tutela la libertà di parola – Ma funzionerebbe?
Due tiktokers durante la creazione di un contenuto. © AP
Red. Online
18.03.2024 10:00

La legge bipartisan su TikTok, approvata la settimana scorsa dalla Camera, di fatto mette ByteDance – la società madre della piattaforma social – con le spalle al muro: o vende le sue attività negli Stati Uniti, oppure TikTok verrà bandito nel Paese. Una vendita, ne abbiamo già parlato, oggi come oggi appare più complicata del previsto. Il cosiddetto ban, invece, sconvolgerebbe e non poco l'universo social. Americano, ma non solo. Esiste, secondo gli analisti, una terza via. Quantomeno per ByteDance: fare causa al governo degli Stati Uniti.

Ne ha parlato, fra gli altri, il Wall Street Journal. Detto che, innanzitutto, bisogna vedere se la legge – sostenuta dal presidente Joe Biden – supererà lo scoglio del Senato, un'eventuale approvazione darebbe a ByteDance appena sei mesi per trasferire le sue attività americane a un nuovo proprietario. La Cina, però, ha già manifestato una certa irritazione (eufemismo) di fronte allo scenario della vendita forzata. E così, il destino del social potrebbe decidersi in tribunale. Pechino, paradossalmente ma nemmeno troppo, potrebbe far valere il rispetto il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. Quello che, per intenderci, garantisce la terzietà della legge rispetto al culto della religione e il suo libero esercizio, nonché – fra le altre cose – anche la libertà di parola e di stampa. Abbiamo detto paradossalmente perché, in Cina, la libertà di parola è un concetto a geometria variabile. Gli Stati Uniti, è noto, da tempo limitano la presenza straniera a livello radiofonico e televisivo. Il Congresso, tuttavia, finora non aveva mai intrapreso azioni così drastiche contro una piattaforma web. Utilizzata, peraltro, da milioni di americani.

Sicurezza contro libertà di parola?

Detto in altri termini, gli interessi di sicurezza nazionale e la necessità di limitare l'influenza della Cina – i due pilastri alla base di questa legge – potrebbero cozzare contro i diritti costituzionali dei cittadini statunitensi. In questo senso, scrive il Wall Street Journal, il governo probabilmente dovrà dimostrare che misure meno drastiche nei confronti di TikTok non funzionerebbero. «Dipenderà dal modo in cui il governo spiegherà le ragioni della legge» ha dichiarato al quotidiano David Greene, avvocato della Electronic Frontier Foundation, un'organizzazione no-profit per le libertà civili digitali che si oppone al divieto. ByteDance, che ha rifiutato di commentare, dal canto suo ha ottenuto alcuni successi in tribunale in passato, ma non per forza (o non sempre) per questioni legate al primo emendamento.

Un giudice federale di Washington DC, ad esempio, si era pronunciato due volte contro il Dipartimento del commercio degli Stati Uniti, deciso a vietare TikTok durante l'amministrazione Trump (lo stesso Trump che, ora, è invece contro un divieto del social). Il Dipartimento, nello specifico, si era macchiato di eccesso di autorità in base a una legge degli anni Settanta chiamata International Emergency Economic Powers Act. In un caso simile, ma separato, in Pennsylvania un altro giudice distrettuale si era schierato a favore di un gruppo di tiktokers che aveva fatto causa alla stessa amministrazione Trump. Entrambi i giudici, nel motivare le sentenze, avevano spiegato che – per quanto l'allora presidente Trump fosse dotato di ampi poteri di emergenza in campo economico – tale autorità non poteva estendersi ad azioni governative mirate a limitare comunicazioni personali. Dall'altra parte, gli avvocati del governo avevano descritto i legami fra TikTok e Pechino come una minaccia inaccettabile alla sicurezza degli Stati Uniti, poiché avrebbe permesso al governo cinese di accedere alle informazioni personali degli americani, di spiare i dipendenti federali e di partecipare a operazioni di spionaggio aziendale. Avevano pure sostenuto che il divieto, in realtà, rientrava nell'autorità esecutiva di Trump e non impattava sul primo emendamento, poiché gli utenti esclusi da TikTok avrebbero potuto pubblicare e consumare i medesimi contenuti su altre piattaforme. Instagram in testa. 

L'amministrazione Trump, all'epoca, aveva cercato di vietare pure WeChat, superapp made in China utilizzata anche in America dalla comunità cinese. Un giudice della California, per contro, aveva bloccato l'azione del governo affermando che sarebbero bastate misure meno restrittive, come il divieto di utilizzare WeChat su dispositivi governativi. «Il caso WeChat ha insegnato molto» ha dichiarato al Wall Street Journal Joel Thayer, un avvocato di Washington che dirige il Digital Progress Institute, un think tank di politica tecnologica che sostiene il divieto di TikTok passato alla Camera. «Spetta però al governo dimostrare che questa è l'unica opzione».

Recentemente, infine, il Montana aveva perso una sentenza per vietare l'uso di TikTok nello Stato. Un giudice, infatti, aveva stabilito che lo sforzo del Montana era illegale. Per più ragioni, fra cui il mancato rispetto del primo emendamento. 

Che cosa dice la Corte Suprema?

Ora, in vista di un possibile divieto su scala nazionale, ByteDance potrebbe fare affidamento su alcuni precedenti della Corte Suprema. Nel 1965, leggiamo, l'Alta Corte aveva stabilito che i cittadini americani hanno il diritto di ricevere informazioni di qualsiasi tipo. Anche se si tratta di propaganda straniera. Quella decisione aveva invalidato una legge federale che consentiva al direttore generale delle poste statunitensi di consegnare invii stranieri di propaganda politica comunista solo su specifica richiesta del destinatario. L'America, del resto, stava uscendo dal cosiddetto maccartismo, un atteggiamento politico-amministrativo manifestatosi nei primi anni Cinquanta e caratterizzato da un’esasperata repressione nei confronti di persone, gruppi e comportamenti ritenuti filo-comunisti e quindi sovversivi. Nel 1986, invece, la Corte aveva stabilito che il governo può chiudere un'attività commerciale, nella fattispecie una libreria per adulti sospettata di svolgere attività illegali, respingendo le argomentazioni secondo cui la chiusura avrebbe limitato illegittimamente l'attività espressiva del libraio.

Quando il dibattito congressuale si sposterà al Senato, potrebbero entrare in gioco ulteriori questioni legali. Alcuni legislatori, al riguardo, hanno espresso il timore che una proposta di legge specificamente rivolta a TikTok possa essere vulnerabile dal punto di vista costituzionale, perché i tribunali potrebbero considerarla come un tentativo legislativo di punire l'azienda senza un giusto processo. Altre aziende straniere, tuttavia, hanno avuto difficoltà a sostenere questa tesi in casi recenti. Il gigante tecnologico cinese Huawei e l'azienda russa di cybersicurezza Kaspersky Lab hanno perso le rispettive battaglie legali, combattute sostenendo che la limitazione delle loro attività rappresentava una punizione incostituzionale.

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