Sotto la lente

Tra ovetti, pizze e cetrioli: quando il cibo viene contaminato

In diversi Paesi europei è scoppiato il caso Kinder, dopo il ritrovamento di Salmonella nei popolari prodotti di cioccolato – Ne abbiamo parlato con Maria Triassi, professoressa e direttrice del Dipartimento di sanità pubblica dell'Università Federico II
Irene Solari
11.04.2022 06:00

È notizia di due giorni fa: l'autorità belga di vigilanza AFSCA ha deciso di ritirare – temporaneamente – la licenza di produzione allo stabilimento Ferrero di Arlon. La fabbrica è stata costretta a sospendere la propria attività. Questo dopo la segnalazione di numerosi casi di Salmonella riconducibili ai prodotti dolciari Kinder. La contaminazione da batterio avrebbe avuto origine proprio nello stabilimento in Belgio e tutti i cioccolatini usciti da lì dovranno essere ritirati dal mercato, indipendentemente dalla data di produzione.

Colpiti delle misure diversi tipi di famosissimi ovetti, neanche a farlo apposta a pochi giorni dalla Pasqua, subito segnalati e ritirati dagli scaffali. Nel cioccolato sono state effettivamente trovate tracce di Salmonella e i casi di intossicazione (riscontrati soprattutto tra i più piccoli) sono già oltre un centinaio in diversi Paesi europei. Anche in Svizzera, sebbene non sia stato segnalato nessun caso, si sta tenendo d'occhio con attenzione l'evolversi dei fatti. 

Il caso Buitoni in Francia

Qualche settimana fa invece era toccato al marchio Buitoni finire nell'occhio del ciclone. Colpa dell'Escherichia Coli trovato all'interno di alcuni impasti di pizze precotte surgelate. Il focolaio del batterio era stato localizzato nello stabilimento di Caudry, nel nord della Francia. In quel caso la procura di Parigi aveva aperto un'indagine per messa in pericolo della vita altrui e omicidio colposo. Sì, perché c'erano state anche delle vittime presumibilmente riconducibili all'effetto del batterio. L'inchiesta ha confermato il legame tra intossicazioni alimentari da Escherichia Coli e prodotti Buitoni. Mentre non è stato confermato il collegamento diretto di causalità con i decessi.

È sufficiente che manchi anche solo un passo della filiera perché avvenga una contaminazione
Maria Triassi

Nel 2011 furono i cetrioli

Sono passati più di dieci anni, ma ancora in molti ricordano il caso dei cetrioli contaminati e la preoccupazione ne era derivata, diffondendosi in tutta Europa. Era il 2011, in Germania. Si trattava di verdure contaminate ancora una volta dall'Escherichia Coli. Nel Paese ci furono quattro decessi e 140 persone ricoverate con gravi disturbi gastro-intestinali. Le autorità di controllo tedesche avevano identificato gli ortaggi contaminati che erano stati lavati male e mangiati crudi. Permettendo così al batterio di sopravvivere e di infettare chi li aveva consumati.

Come si sviluppano le contaminazioni?

Le ultime notizie di contaminazioni tirano in causa, come detto, grandi marchi dell’industria alimentare. Parliamo di Buitoni e di Ferrero, giganti del settore. Sorge spontanea la domanda su come possano avvenire delle contaminazioni in stabilimenti così importanti e sicuramente controllati a livello di catena di produzione. Ne abbiamo parlato con Maria Triassi, professoressa e direttrice del Dipartimento di sanità pubblica dell'Università degli Studi di Napoli, Federico II.

«Il problema è che a volte basta che manchi anche solo un passo della filiera perché avvenga una contaminazione» ci spiega la dottoressa Triassi. «Ad esempio una cottura che non va al sopra dei sessanta gradi e che non raggiunge il binomio tempo-temperatura necessario per uccidere i batteri».

Stiamo parlando del caso di alimenti che possono contenere già al loro interno dei batteri a noi dannosi. Si tratta di alcuni tipi di carni, latticini e uova. Il più delle volte basta portare questi alimenti ad almeno sessanta gradi centigradi. Pastorizzarli quindi, o cuocerli. Il calore – valori e tempistiche variano a seconda dell’alimento e delle quantità – permette di «sterilizzare» e rendere sicuri i cibi. E poi è necessario «mantenerli sicuri» grazie a una corretta conservazione e refrigerazione. «Il problema, in questi casi, deriva proprio dal rispetto della catena del freddo e del caldo» ci spiega Triassi. 

Gli altri stati di contaminazione, invece, fanno capo alle infezioni dovute al contatto con gli agenti esterni. Si può quindi trattare di sporcizia (mani, utensili o attrezzature contaminate), secrezioni o la vicinanza con altri alimenti crudi.

Questi batteri non muoiono con la surgelazione, sopravvivono rimanendo ibernati e, nel momento in cui la pizza viene scongelata, ricominciano a moltiplicarsi
Maria Triassi

Surgelare non basta

Partendo dal caso Buitoni, Triassi chiarisce che – a dispetto di quanto possa sembrare – il processo di congelamento, anche prolungato, non è letale per tutti i microrganismi. Non lo è stato per l'Escherichia Coli. «Questi batteri non muoiono con la surgelazione, ma sopravvivono rimanendo ibernati. Per cui, nel momento in cui la pizza viene scongelata i batteri ricominciano a moltiplicarsi e se il piatto non viene poi cotto bene, può causare la tossinfezione alimentare». 

La nostra interlocutrice ipotizza quello che potrebbe essere successo nel caso dello stabilimento Buitoni in Francia, mostrandoci – a titolo di esempio – come funziona una catena di contaminazione alimentare. «Immaginiamo che le pizze prima di essere surgelate abbiano subito una contaminazione. Questo può succedere attraverso un contatto con mani o utensili sporchi. Le pizze poi si sono surgelate e i batteri si sono ibernati, ma non sono morti». In questo caso sarebbe fondamentale una cottura corretta dell’alimento: «Se la pizza, quando viene cotta, non raggiunge la temperatura necessaria per uccidere i batteri, il prodotto causa un’intossicazione». Questo è il concetto. Ed è importante, precisa Triassi, che la temperatura sia raggiunta anche all’interno del prodotto: «Magari la pizza risulta cotta superficialmente ma dentro la pasta è rimasta a una temperatura più bassa di quella necessaria per uccidere i batteri. Che quindi sopravvivono e causano malesseri.

E il cioccolato?

E nel caso del cioccolato, invece? Non si sente spesso di prodotti cioccolatosi contaminati. «Infatti è difficile che accada» conferma Triassi, che però ribadisce: «Teniamo presente che le Salmonelle possono trovarsi nelle uova e nel latte, e il cioccolato viene prodotto utilizzando latte. Quindi basta che ci sia una partita di latte contaminato o non pastorizzato bene. A quel punto, se la filiera di fabbricazione non prevede temperature superiori ai sessanta gradi per almeno trenta minuti, il gioco è fatto e la Salmonella resiste contaminando il prodotto finito».  

I prodotti biologici

Sappiamo che gli alimenti biologici non subiscono trattamenti chimici aggressivi e che non sono prodotti industriali. Questo potrebbe renderli più soggetti a contaminazioni batteriche? «Il prodotto biologico non è più a rischio di altri: tutto dipende, anche in questo caso, dall’attenzione che si ha nel rispetto della catena del caldo e del freddo» ci risponde Triassi. «Se parliamo invece di cibi che vengono fatti in casa, in questo caso ci può essere il rischio che non vengano preparati seguendo le standardizzazioni che si hanno nell’industria alimentare, eseguite grazie a macchinari e a controlli sistematici». Un esempio che garantisce un prodotto sicuro è la taratura delle temperature. Fondamentale sia in fase di cottura o di pastorizzazione, sia in fase di refrigerazione o surgelazione. E deve venire eseguita con termometri di precisione. La nostra interlocutrice precisa che, in ogni caso, basta tenere a mente poche regole basilari per ridurre significativamente i rischi. «È sufficiente che nella fabbricazione del prodotto biologico o artigianale, ci sia qualcuno che abbia la contezza di queste problematiche. Cioè nella prevenzione dei rischi, rispettando temperature, tempi di produzione e normali regole igieniche. Come ad esempio lavarsi le mani e utilizzare i guanti. Bastano poche norme per salvaguardarsi e per salvaguardare il prodotto».  

I bambini sono maggiormente colpiti dalle intossicazioni perché hanno meno difese immunitarie rispetto a questi batteri, magari non ne sono mai venuti in contatto
Maria Triassi

Le fasce maggiormente colpite

Le notizie che riguardano le intossicazioni alimentari riportano sovente, purtroppo, di bambini segnalati tra le vittime e maggiormente colpiti dagli effetti delle tossine. Nel caso della Ferrero questo dato può essere anche riconducibile al target dei prodotti dolciari, che mirano effettivamente al pubblico più giovane. Abbiamo chiesto alla dottoressa Triassi se quella dei più piccoli è una categoria effettivamente più esposta a rischio in questo genere di casi. «Sono più a rischio nella misura in cui hanno meno difese immunitarie rispetto a questi batteri, perché magari non ne sono mai venuti in contatto». E ancora, fra le persone maggiormente colpite «aggiungerei anche coloro che hanno difese immunitarie abbassate. Come gli anziani, oppure chi presenta un microbiota intestinale compromesso». Quindi non è solamente un problema di età, puntualizza Triassi, «è un problema di condizioni dell’organismo e di predisposizione dell’organismo».

Non solo animali, anche i prodotti vegetali possono essere vettori di batteri. È importante seguire sempre le regole di igiene alimentare. © Shutterstock
Non solo animali, anche i prodotti vegetali possono essere vettori di batteri. È importante seguire sempre le regole di igiene alimentare. © Shutterstock

«La contaminazione zero non esiste»

Come possiamo fare quindi noi consumatori per evitare le intossicazioni alimentari? «I rischi non sono azzerabili, non viviamo in un mondo sterile» ci dice subito Triassi. «Qualunque filiera alimentare comporta un minimo di rischio di contaminazione: la sterilizzazione del prodotto non è mai possibile». Come fare allora per minimizzare il più possibile questa percentuale di rischio? Oltre al rispetto di tutte le norme igieniche nel trattamento, nella conservzione e nella preparazione degli alimenti, c’è anche il fattore qualità da considerare. «Parliamo della garanzia del prodotto controllato. Come consumatori meglio scegliere marchi seri che garantiscano controlli affidabili. Ma purtroppo l’inconveniente, anche se raro, può sempre succedere». Verrebbe da pensare che si tratti di preoccupazioni che si sono moltiplicate e intensificate ai nostri giorni. «Una volta non si sapevano tutte queste cose» concorda Triassi, «si faceva meno attenzione, non si conoscevano i batteri. A un soggetto veniva la gastroenterite e magari non la si riconduceva nemmeno al prodotto alimentare». Oggi che invece abbiamo queste conoscenze sappiamo ricondurre i malesseri ai cibi, «ma purtroppo il rischio c’è» conclude Triassi, «la contaminazione zero non esiste».  

Alcuni batteri sopravvivono alla surgelazione. © Shutterstock
Alcuni batteri sopravvivono alla surgelazione. © Shutterstock