Elezioni

Turchia, il riassunto di questo primo turno

Dal vantaggio di Erdogan alla questione Parlamento, passando per la partecipazione oltre l'85% e il concetto di continuità: che cosa sappiamo finora e che cosa dobbiamo attenderci il 28 maggio?
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Red. Online
15.05.2023 16:00

Prima di oggi, o meglio di domenica, Recep Tayyip Erdogan aveva vinto sia le presidenziali del 2014 sia quelle del 2018. Al primo giro, con margini ampi e significativi. Il fatto che, ora, servirà il ballottaggio per decretare un vincitore significa – al di là di tutto – che il Sultano ha perso parte del suo sostegno, spesso forzato e di riflesso incondizionato.

Cambiamento? Snì

Cambiamento in vista, dunque? Calma. Erdogan, sebbene si sia fermato sotto il 50%, a spoglio concluso può vantare un certo vantaggio rispetto al suo rivale, il leader dell’opposizione Kemal Kiliçdaroğlu, la cui corsa si è chiusa a un niente dal 45%. Entrambi, a caldo, hanno ribadito la ferma volontà di vincere al secondo turno. Molto, come detto, dipenderà dalle intenzioni del terzo candidato, Sinan Oğan, il cui 5,7% è rappresentato da molti elettori di destra e, quindi, teoricamente favorevoli a un altro interregno di Erdogan.

In campagna elettorale, Erdogan ha fatto largo uso delle risorse statali per aumentare le sue chance di vittoria. Ha aumentato i salari dei dipendenti pubblici e quello minimo nazionale; quindi, ha cercato in tutti i modi di sollevare la popolazione dagli effetti dell’inflazione, elevatissima. Da qui al 28 maggio, giorno del ballottaggio, potrebbe varare altre misure per accrescere ulteriormente la sua visibilità e popolarità.

Di più, Erdogan può sorridere pensando alla prova di forza del suo partito, l’AKP, nelle concomitanti elezioni per la Grande Assemblea Nazionale Turca, il Parlamento del Paese. Il Partito per la giustizia e lo sviluppo del Sultano e quelli alleati manterranno, insomma, la maggioranza dei seggi. Chi, pensando al secondo turno, se la sentirà di votare contro Erdogan per ritrovarsi poi un Paese diviso se non spaccato, con un Parlamento pro-Erdogan e il democratico Kiliçdaroğlu presidente? Bella domanda.

Kiliçdaroğlu, dal canto suo, non intende mollare la presa: «Vinceremo sicuramente e porteremo la democrazia in questo Paese» le sue parole.

Partecipazione altissima

Al di là delle previsioni e dei possibili scenari, il dato confortante – a detta degli analisti – è che la stragrande maggioranza dei 64 milioni di turchi aventi diritto di voto ha fatto sentire la propria voce. Alcuni, addirittura, hanno sopportato lunghe code o hanno fatto ritorno nelle zone distrutte dal terremoto pur di manifestare la propria preferenza, in quello che molti ritengono essere un dovere nazionale. L’affluenza, in attesa di dati ufficiali, è stata stimata fra l’86 e l’88%.

Numeri così alti, per contro, non sono affatto una novità in Turchia. Nel 2018, votò circa l’85% degli elettori. Dal 1983, spiega il New York Times, l’affluenza alle urne per qualsiasi elezione – anche per i sindaci e i consigli comunali – non è mai scesa al 74%.

È anche vero che diversi politologi considerano la Turchia una democrazia non proprio purissima: siamo, come spiegato più volte, nel territorio dell’autocrazia elettiva. Il motivo? Lo stesso Erdogan, nel corso degli anni, ha modellato il campo di gioco politico a suo piacimento. Eppure, per i turchi le elezioni sono sacre. E serie, soprattutto. Perfino lo stesso presidente, dopo più di un dubbio circa la sua eventuale reazione a una sconfitta, ha detto a più riprese che avrebbe accettato con serenità l’esito delle urne. Ballottaggio compreso. «Nella mia vita politica, ho sempre rispettato la vostra decisione» ha detto riferendosi agli elettori. «Mi aspetto la stessa maturità democratica da tutti».

Il tema del nazionalismo

Tema ricorrente della campagna, fronte Erdogan, il nazionalismo – a maggior ragione pensando al terzo incomodo del primo turno, Sinan Oğan – sarà un discorso centrale anche da qui al ballottaggio. L’intensificazione di una retorica che potremmo definire primanostrista, di fatto, ha funzionato. Sia per Erdogan sia per i suoi alleati. Dalla sfilata nel Bosforo della prima portaerei di fabbricazione turca alle critiche, intense, nei confronti degli Stati Uniti, il Sultano ha pesato gesti e parole con grande maestria, verrebbe da dire.

Ovviamente, Erdogan non si è fatto pregare nell’avvicinamento al voto del 14 maggio. Accusando apertamente l’opposizione di cooperare con i terroristi, dal momento che Kiliçdaroğlu ha incassato il sostegno del principale partito filo-curdo turco. Una critica, questa, che ha fatto sua anche Oğan, come se fosse un’indicazione di voto per il ballottaggio da parte del suo schieramento.

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