Un anno dopo la strage di Halloween a Seul: «Siamo ancora in attesa di risposte»

«La strage di Halloween». È con queste parole che viene tristemente ricordata la tragedia avvenuta alla fine di ottobre dello scorso anno in Corea del Sud. Tragedia in cui 159 persone, per lo più giovanissime, hanno perso la vita, mentre altre 196 sono rimaste ferite durante una festa nel quartiere Itaewon, nella capitale Seul, dopo che, improvvisamente, la situazione è degenerata. I media, fin dal primo momento, parlavano di persone morte schiacciate nella calca. Di pressioni della folla, spintoni. Persone a terra, arresti cardiaci. Ricostruire quanto accaduto durante i festeggiamenti del primo Halloween senza mascherine dopo la pandemia non è stato facile. E non lo è ancora oggi, a un anno di distanza. Soprattutto per i familiari delle vittime e per i sopravvissuti di quella notte che, ancora oggi, sono in attesa di risposte.
Un anno dopo
29 ottobre 2022. Da quel tragico giorno sono passati poco più di 365 giorni. Ma sulla tragedia di quella notte rimane ancora un alone di mistero. Un peso insostenibile, che ora deve essere alleggerito. Ecco, quindi, che nel giorno dell'anniversario della strage di Halloween, i parenti delle vittime e i sopravvissuti hanno deciso di alzare la voce. Ribadendo di essere ancora in attesa di risposte. E di volere comprendere di chi sia la responsabilità di un disastro simile, che ha trasformato una notte di divertimento e festa in una notte da incubo.
Fin dal primo momento, tutti avevano puntato il dito contro la polizia. Accusata di non aver opportunamente messo in sicurezza il quartiere, dove al momento dei festeggiamenti si trovavano circa 100.000 giovani pur sapendo dell'evento. In un primo momento, la causa di un mancato intervento era stata attribuita alla «non ufficialità» dell'evento. In altre parole, il raduno non era stato organizzato o designato come «ufficiale», quindi né la polizia né le altre autorità locali si erano prese a carico la gestione della folla. Pur avendo ricevuto, prima che la situazione degenerasse in maniera irreparabile, già diverse segnalazioni e richieste di aiuto.
Allo stesso modo, erano state rivolte feroci critiche anche al governo. Diversi i manifestanti che, pochi giorni dopo la tragedia, avevano chiesto le dimissioni del presidente Yoon Suk-yeol, come segno di «cordoglio».
Tuttavia, nonostante fosse chiaro fin dal primo momento che le misure di sicurezza per la festa fossero quasi inesistenti, le famiglie delle vittime chiedono di fare giustizia su che cosa accadde realmente quella notte. E di condurre un'indagine indipendente, per far luce sulla questione e mettere a tacere - almeno in parte - i tormenti.
«Ad oggi, le nostre famiglie in lutto non hanno mai ricevuto informazioni formali dal governo sulla tragedia», ha dichiarato Yu Hyoung-woo, vicepresidente del gruppo delle famiglie colpite dalla tragedia, in cui la donna ha perso la figlia. «È passato più di un anno da quando abbiamo iniziato a mettere in discussione tutto quello che è successo il giorno della tragedia, quello che è successo subito dopo e quello che è stato scritto nei registri del primo soccorso e non solo».
Ancora tante domande senza risposta
Di domande senza risposta, in effetti, ce ne sono ancora diverse. Sebbene a gennaio una prima indagine della polizia abbia classificato il caso come un «disastro causato dall'uomo» a causa delle scarse misure di controllo e dei segnali ignorati, non è mai stato esplicitato il motivo che avrebbe, a tutti gli effetti, portato a queste negligenze. Come detto, infatti, gli agenti erano a conoscenza della festa e delle sue dimensioni, pur non ritenendola «ufficiale», e pertanto non è chiaro perché le segnalazioni e le richieste di aiuto siano state ignorate così a lungo. Nel frattempo, nel corso degli ultimi mesi, circa 23 funzionari locali e agenti di polizia sono stati rinviati a giudizio per negligenza. Tuttavia, finora non è stato emesso alcun verdetto nei loro confronti.
Ma non è tutto. Perché, come si legge sul Telegraph, per le famiglie è difficile sia ricevere risposte che mettersi il cuore in pace. Parliamo dei parenti delle 26 vittime straniere - la maggior parte studenti - provenienti da 14 Paesi diversi. Come spiega una ragazza austriaca che ha perso il fratello nella strage, la distanza fisica e le difficoltà linguistiche hanno reso ancor più complicato comprendere cosa sia accaduto quella notte. La giovane racconta di essere stata costretta a «rivivere il trauma» della morte del fratello guardando centinaia di volte i video pubblicati online, sperando di trovare, in mezzo alle immagini da brividi, le risposte alle sue domande. «Noi famiglie delle vittime straniere viviamo in isolamento. Non ci viene riferito nulla e non ci viene comunicato nulla», ha dichiarato, aggiungendo che alcuni sopravvissuti hanno «paura a parlare» perché la società e i politici li incolperebbero di aver partecipato alla festa, archiviando così la questione.
Tra dubbi e sicurezza
Mentre si aspettano le risposte che possano mettere a tacere, almeno in parte, il dolore, Seul ha deciso di correre ai ripari e di intensificare le misure di sicurezza. Tra cui, nuove regole di cooperazione e controllo della folla tra i distretti cittadini e i servizi di emergenza, telecamere a circuito chiuso, e persino ricorrendo all'intelligenza artificiale per monitorare in maniera autonomia l'afflusso di persone nelle strade. Una sicurezza che il sindaco della capitale sudcoreana, Oh Se-hoon, ha definito «a prova di bomba». Aggiungendo che l'unico modo per superare lo strazio e la tristezza di questo «tragico incidente» è «fare in modo che non si ripeta mai più».