Midterm

«Votate i repubblicani», firmato Elon Musk

Mentre crescono le preoccupazioni attorno alla moderazione dei contenuti su Twitter, il nuovo proprietario si schiera apertamente in vista delle elezioni americane di metà mandato
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Marcello Pelizzari
07.11.2022 18:30

(Aggiornato alle 21.59) Qualcosa, invero, si era già intuito. Ovvero, che Elon Musk avesse preferenze repubblicane. Ora, il proprietario e amministratore delegato di Twitter è uscito allo scoperto. Invitando gli americani, tramite un cinguettio, a votare per il Partito Repubblicano alle imminenti elezioni di metà mandato.

«Agli elettori indipendenti: la condivisione del potere cancella i peggiori eccessi di ogni partito; quindi, consiglio di votare per un Congresso repubblicano, perché la Presidenza è democratica» ha twittato Musk, il cui account è seguito da 114 milioni di utenti.

Poche ore più tardi, con un secondo cinguettio, Musk ha contestualizzato la sua affermazione precedente. Spiegando che sì, a questo giro voterà repubblicano ma che storicamente si è sempre considerato un indipendente con una «storia di voto», fino a quest'anno, interamente democratica.

Durante le cosiddette elezioni di midterm in gioco ci saranno i 435 seggi della Camera dei rappresentanti – dal 2018 a maggioranza democratica – oltre a 34 seggi del Senato (sui 100 totali). Senato attualmente in equilibrio fra i due schieramenti.

Uno slittamento di una o entrambe le camere verso i repubblicani, va da sé, avrebbe gravi ripercussioni, politiche ma non solo, sugli ultimi due anni di Joe Biden quale presidente degli Stati Uniti. Le elezioni di metà mandato, volendo generalizzare, possono essere viste come uno strumento sanzionatorio per i primi due anni di presidenza. È piuttosto comune, infatti, che l’operato di un presidente venga giudicato male e, di riflesso, che il nuovo Congresso finisca nelle mani del partito rivale. Successe, fra gli altri, a Barack Obama durante il suo secondo mandato, con tutte le conseguenze del caso in termini di piani politici dell’allora commander-in-chief.

Il fronte democratico, non a caso, in queste settimane non ha nascosto una certa preoccupazione in merito. Il fatto che, dalla Russia, Yevgeny Prigozhin abbia ammesso di avere interferito con la politica interna americana e di voler continuare a farlo, beh, aggiunge benzina a una situazione di per sé già molto instabile, complice la presenza-non-presenza di Donald Trump e lo spauracchio, sempre più verosimile, di una sua discesa in campo in vista delle presidenziali del 2024.

Twitter, detto di Musk, da anni è nell’occhio del ciclone per la paura, fondata, che funga da tramite per la disinformazione e le fake news. Per tacere, appunto, delle ingerenze straniere attraverso bot, account falsi e troll: Prigozhin insegna. Lo stesso Musk, a mo’ di campagna per calmare le acque, aveva promesso di aspettare la fine delle elezioni di midterm per implementare i numerosi cambiamenti che ha in canna. Cambiamenti che preoccupano (e non poco) gli inserzionisti pubblicitari, da cui oggi Twitter dipende per la quasi totalità delle sue entrate: nel 2021, per dire, la pubblicità rappresentava l’89% degli oltre 5 miliardi di dollari guadagnati. Inserzionisti preoccupati, evidentemente, della (possibile) mancata moderazione dei contenuti. C’è chi, a tal proposito, ha già deciso di rinunciare a fare pubblicità sul social e chi ha sospeso i pagamenti nell’attesa di chiarimenti: parliamo di General Motors, fra l’altro rivale di Tesla. Il tutto mentre diversi utenti si stanno spostando altrove, su piattaforme come Mastodon.

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