L'intervista

«Will Smith? Abbiamo grossi problemi con la satira, per tanti motivi»

Dove sta il limite dell'ironia? Il comico Dario Vergassola, tra una battuta e l'altra, parla del caso del momento: «Politicamente corretto, politici e indignazione sui social: la satira è sempre più difficile»
Michele Montanari
29.03.2022 17:00

Lo sberlone rifilato da Will Smith a Chris Rock durante la notte degli Oscar ha fatto un rumore infernale, dividendo opinione pubblica e giornalisti. Che si tratti di un gesto spontaneo o di una messa in scena per attirare gli occhi del mondo su un evento che perde sempre più appeal, la questione deve far riflettere: un atto di violenza è ingiustificabile a prescindere, specialmente se l’arma usata dall’avversario è la parola, ma, nonostante questo, c’è chi prende le parti dell’attore hollywoodiano. E allora è obbligatorio chiederselo: la nostra società ha un problema con la satira? Dove sta il limite quando si fa ironia? Ne parliamo con il comico Dario Vergassola.

Un mondo di ambulanze

Partiamo dalla reazione di Will Smith. Vergassola non ha dubbi: «Quando si tratta di satira e di battute, credo che chiunque possa dire qualsiasi cosa. Intendo proprio tutto e il contrario di tutto. La satira deve essere aperta a qualsiasi tema, poi ovviamente ci sono le battute belle e quelle brutte». Nello specifico, secondo il comico: «Quella di Chris Rock è stata una battuta infelice, ma la conseguenza non può essere prendersi un pugno in faccia. Se fai delle battute brutte, non ti chiamano più a lavorare l’anno successivo. È come per un qualsiasi lavoro: se l’idraulico non è capace, non lo chiami più. Finisce lì. Se dovessimo prenderci a pugni per ogni battuta brutta, saremmo pieni di ambulanze che fanno avanti e indietro. Poi in questo caso parliamo di miliardari che si incontrano per fare spettacolo. Sono privilegiati per mille motivi e sono talmente abituati a fingere dalla mattina alla sera che pure lo schiaffo sembrava finzione. Non hanno motivo di lamentarsi». Per Vergassola c’è molta ipocrisia nel siparietto che ha attirato l’attenzione del mondo, e allora non resta che scherzarci su, ovviamente a modo suo: «Avrebbe dovuto usare il metodo Stanislavskij e colpire Chris Rock con una racchetta da tennis (nel film per cui ha vinto l’Oscar, Una famiglia vincente - King Richard, Will Smith interpreta Richard Williams, padre e allenatore delle sorelle Venus e Serena Williams, ndr)».

Fare battute su argomenti terribili è una sorta di esercizio di stile. Anche io a volte dico cose orribili
Dario Vergassola, comico

Battute terribili, anche sulla morte

Chris Rock ha fatto una battuta su una malattia, colpendo evidentemente più di un nervo scoperto su un tema delicato. Dove sta il limite allora? Il comico dice la sua: «Fare battute su argomenti terribili è una sorta di esercizio di stile. Anche io a volte dico cose orribili. Un giorno io e i miei autori abbiamo scoperto che era morto un signore di 90 anni che curava tutte le voci del vocabolario Zingarelli e ci è venuta in mente questa stupidaggine: "Le sue ultime parole sono state zuppa e zuzzurellone". Il giorno dopo ci ha mandato una mail il figlio di quest’uomo, dicendoci che eravamo degli zotici. Ci siamo rimasti male, però poi ci siamo resi conto che anche il suo insulto iniziava con la lettera z, quindi gli abbiamo risposto: "Grazie, sei uno dei nostri. Ci dispiace per tuo padre". Da quel momento facevamo quasi a gara su chi riuscisse a dire la cosa peggiore quando moriva qualcuno. Ricordo che quando è deceduto Ezio Foppa Pedretti dissi che era stato seppellito in una bara che, piegando gli angoli, diventava un tavolo da campeggio. Quando è venuta a mancare Carla Fracci pensai: "Se ne è andata in punta di piedi". Solo che un mio amico mi fece notare che era una battuta troppo bella, quasi poetica. Allora l’abbiamo cambiata, scrivendo che il cigno aveva detto: "Tié, ora tocca a te" (in riferimento al balletto La morte del cigno, ndr)». Dario Vergassola aggiunge: «Sono insulti alla morte? Non credo. L’intento è quello di creare un ribaltamento di una situazione disperata. Oppure si fa satira, anche feroce, per denunciare qualcosa. Ricordo una vignetta di Vauro, ai tempi molto criticata. Si leggeva "Nassirya, Kabul", con un uomo che diceva: "Non capisco se esportiamo democrazia o importiamo bare". Non lo si fa per cattiveria pura e fine a sé stessa: se un argomento è scabroso e tu riesci a dargli un senso diverso, allora la satira ti è venuta bene». Il comico poi sottolinea: «Abbiamo scherzato su tutto e tutti, dal Papa a Berlusconi. Ricordo che sull’ex premier, quando venne operato al cuore, dissi che gli avevano messo una valvola di maiale per escludere il rigetto. Per queste battute al bar saremmo tutti morti dal ridere, mentre oggi la gente si indigna. Come saremmo se non ci fosse il cretinetto di turno che ci tiene vivi dicendo le cose peggiori? Se non c’è ironia, la vita è un disastro. Putin è uno che non ride. Quando Oliver Stone gli ha fatto vedere il Dottor Stranamore di Kubrick, non ha riso una sola volta. A me è questo che fa paura».

La satira e il politicamente corretto

Secondo il cabarettista, «la nostra società ha grossi problemi con la satira, per tanti motivi. Io l’ho scoperto sulla mia pelle, facendo battute su Berlusconi e rimanendo tagliato fuori da molti programmi. Ho perso occasioni e soldi. Ci sono persone che dicono di essere censurate, ma non lo sono affatto. Vogliono passare per delle specie di martiri. La gente è molto più pavida quando si parla di televisione, perché è un ambiente in cui girano tanti soldi: col cavolo che uno perde il lavoro per dire una battuta». Dario Vergassola ricorda: «Ai tempi però era più facile fare satira, anche se più pericoloso. Io ho fatto battute che oggi non direi, ma per una questione di "palanche". Sia chiaro, non sono pentito di averle dette, anzi, ci andrei giù anche più pesante. Semplicemente ho capito che con una battuta non si può fare la rivoluzione, non diventi l’idolo delle masse». Per quanto riguarda il politically correct a tutti i costi, il comico afferma: «Il politicamente corretto di questi tempi è insopportabile, oltre ad essere una rottura di balle, rende tutto più difficile: non si può più dire nulla. Un conto è lo stalking, o prendere di mira qualcuno fino a farlo entrare in depressione, un altro sono le prese in giro da bar. Se l’ironia è fatta in modo intelligente, non fa incazzare nemmeno quelli a cui è rivolta. Ovviamente non bisogna esagerare, penso a quelli che massacravano i gay: così diventa una tortura». Vergassola poi aggiunge: «In nome del politicamente corretto oggi si mette un attore afroamericano a fare il re d’Inghilterra. Ok, ma allora io che sono basso e pelato voglio interpretare "Drakkar, il vichingo", un temibile re di un metro e sessanta. Per lo stesso ragionamento, allora perché prendono solo attori belli e magri? Così non se ne esce più. Sono tempi difficili, anche perché i politici ci stanno rubando il lavoro: sono talmente comici che è impossibile far loro la parodia».

È pieno di leoni da tastiera che dicono cazzate su tutto. C'è sempre qualcuno pronto a indignarsi, o che deve dire il contrario a ogni costo
Dario Vergassola, comico

L’indignazione corre sui social network

Se la satira soffre, è innegabile che sia anche colpa dei social media, il regno della lite su ogni argomento. Il comico non ci va giù leggero: «È pieno di leoni da tastiera che dicono cazzate su tutto. C’è sempre qualcuno pronto a indignarsi, o che deve dire il contrario a ogni costo. Lo abbiamo visto col vaccino, dopo che abbiamo fatto di tutto per averlo, e ora lo vediamo con la guerra: c’è qualcuno che giustifica chi tira le bombe in testa a donne e bambini. Se arrivassero i marziani a invadere la terra, ci sarebbero pure i collaborazionisti degli alieni». Vergassola conclude: «La cosa peggiore sono quelli che vanno nei talk show a parlare di guerra come fosse una partita di calcio, e poi, spente le telecamere, litigano su dove andare al ristorante. È tutto finto. Queste sono le cose che dovrebbero far indignare la gente, non la satira».

Correlati