Nuovo tassello del «caos al TPC»: ora è Dadò al centro della bufera

Nell’intricato puzzle del cosiddetto «caos al TPC», c’è ancora un’ultima tessera su cui la Magistratura vuole fare chiarezza. Questa volta, sotto la lente del Ministero pubblico è finito il presidente del Centro Fiorenzo Dadò, accusato di falsa testimonianza e denuncia mendace.
I fatti risalgono alla metà di settembre del 2024. All’epoca, l’ormai ex presidente del Tribunale penale cantonale (TPC), Mauro Ermani, era stato appena scagionato dall’accusa di pornografia. Il procuratore straordinario Franco Passini, incaricato dal Consiglio di Stato di far luce sulla vicenda, aveva infatti firmato un decreto di non luogo a procedere in relazione all’ormai celebre immagine inviata su WhatsApp dallo stesso Ermani alla sua ex segretaria. L'immagine ritraeva una donna seduta tra due sculture a forma di fallo con la scritta «Ufficio penale». Passini non aveva ravvisato nulla di penalmente rilevante: «Non vi sono i presupposti giuridici del reato ipotizzato nella querela sporta dagli ex giudici Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti», si leggeva nella nota della Procura grigionese. Di lì a poco, però, un’altra tessera si sarebbe aggiunta alla già infuocata vicenda conclusasi poi con la destituzione di Quadri e Verda Chiocchetti, e le dimissioni volontarie di Ermani.
Le tre immagini
Il 16 settembre, infatti, Dadò, allora presidente della Commissione giustizia e diritti, informò i propri colleghi di aver ricevuto «una missiva priva di mittente, con allegata documentazione inerente la situazione venutasi a creare al TPC». Successivamente, «preso atto della documentazione, la Commissione ha proceduto a segnalare e a trasmettere il materiale al Consiglio della Magistratura».
Il materiale in questione riguardava tre nuove fotografie, inviate ancora una volta da Ermani alla segretaria su WhatsApp nel 2020, ossia tre anni prima dell’invio della famosa foto dei falli. Le immagini ritraevano tre bambini. Nella prima si vedeva un bimbo baciare il muso di un maiale. Nella seconda, un bambino era immerso gambe e busto in un acquario intento a aspirare con la cannuccia l’acqua. La terza mostrava invece un bimbo mentre rovistava in una dispensa. Fotografato di spalle, si vedeva il sederino ricoperto di cereali e, accanto sul pavimento, la scatola rovesciata.
La segnalazione del CdM
Ora, a un anno da quei fatti, il Ministero pubblico ha comunicato di aver aperto un procedimento penale per chiarire se Dadò in quella circostanza abbia commesso o meno i reati di falsa testimonianza e denuncia mendace. Tutto sarebbe però partito da una segnalazione del Consiglio della Magistratura. «È nato tutto da una nostra segnalazione contro ignoti al Ministero pubblico», conferma al Corriere del Ticino il presidente del Consiglio della Magistratura Damiano Stefani. «Lo abbiamo fatto in quanto, in quei giorni, era stata ventilata l’ipotesi che potessimo essere stati noi a inviare quel materiale a Dadò. E quindi, per fare chiarezza, ma anche per liberarci da queste accuse e verificare che non ci fossero effettivamente fughe di notizie dal CdM, abbiamo deciso di segnalare i fatti al Ministero pubblico, che poi ha aperto un’inchiesta».
Dadò precisa
Tornando alle ipotesi di reato, per quanto concerne la falsa testimonianza, lo stesso Dadò non ha sostanzialmente contestato la propria responsabilità, spiegando agli organi inquirenti di aver sostenuto la tesi dell’anonimato «nell’unico intento di salvaguardare l’identità della fonte di una segnalazione a lui pervenuta». In altre parole, Dadò avrebbe riferito di aver ricevuto una lettera anonima, contenente il materiale fotografico, per proteggere la sua fonte.
Diversa, invece, la posizione del presidente del Centro riguardo all’ipotesi di reato di denuncia mendace. Reato che Dadò contesta fermamente. La denuncia mendace, ricordiamo, colpisce «chiunque denunci all’autorità come colpevole di un crimine o di un delitto una persona che egli sa innocente, per provocare contro di essa un procedimento penale» (art. 303). Il Codice penale, inoltre, introduce un elemento supplementare riguardante le modalità. È infatti mendace la denuncia che viene ordita con «mene subdole», ossia con «subdoli tranelli».
In definitiva, sarà compito del Ministero pubblico valutare se il comportamento complessivo di Dadò possa configurare o meno il reato di denuncia mendace. Non è quindi da escludere che la Procura terrà conto sia delle modalità con cui Dadò ha informato la Commissione, sia delle dichiarazioni pubbliche rese in qualità di presidente.
Così disse
«Dovremo verificare che queste fotografie siano state effettivamente inviate dal giudice Mauro Ermani», premetteva Dadò il 16 settembre 2024, prima di aggiungere: «Resta il fatto che sono oscene e che non dovrebbero circolare in rete». E ancora: «Queste immagini denotano un totale disprezzo per i bambini e per l’infanzia, rappresentando l’esatto contrario di ciò che si dovrebbe trasmettere. I bambini non sono oggetti da esibire come in un circo, né da deridere o ridicolizzare». In altre circostanze, le sue dichiarazioni furono persino più dure.
Come detto, ora spetterà alla Magistratura - in particolare al procuratore generale Andrea Pagani, titolare dell’inchiesta - stabilire, tra altri aspetti, se la descrizione fatta da Dadò delle immagini inviate da Ermani corrisponda al vero, ossia se descrivendole pubblicamente in quei termini, Dadò abbia danneggiato Ermani lasciando intendere il falso. E, nel caso in cui la sua descrizione non fosse stata fedele alla realtà - arrecando dunque un pregiudizio al giudice - lo abbia fatto volutamente.
Quanto al loro contenuto, il procuratore straordinario Passini si era già espresso nell’ambito della decisione sul non luogo a procedere, ritenendo che - al pari della foto con i falli - non vi fosse nulla di penalmente rilevante.



