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Quando l'infertilità ti fa sentire «difettosa»

L'incapacità di concepire un bambino può causare nella coppia frustrazione, rabbia, risentimento, inadeguatezza, stress emotivo, preoccupazione – «Ho già pensato che se mio marito avesse scelto un'altra donna, a quest'ora avrebbe già potuto essere padre»
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Jenny Covelli
07.02.2023 19:00

«Ci abbiamo provato per quattro anni. E non abbiamo mai visto un test di gravidanza positivo. Quelle fatidiche due "lineette", per noi non sono mai arrivate "naturalmente"». Diventare genitori è un desiderio di molti. Ma la gravidanza non è scontata. È stato calcolato che, in condizioni ottimali, la probabilità di una donna sana in giovane età di rimanere incinta naturalmente è soltanto del 20% per ogni ciclo mestruale. Quando subentrano dei problemi, ad esempio l’endometriosi, la percentuale scende all’8%. Con l'avanzare dell'età si riduce gradualmente, attestandosi mediamente intorno al 5% nelle donne tra 35 e 40 anni. Mamma e papà. Due termini che, in alcuni casi, sono sinonimo di un desiderio profondo ma difficile da realizzare. Perlomeno in «modo naturale». E la sofferenza che ne deriva è enorme. Spesso vissuta in silenzio, all'interno della coppia, in piena solitudine. Come fosse una colpa, un segreto da preservare, un'intimità che si trasforma in sensi di colpa e dolore.

Cosa è l'infertilità

L'infertilità è in genere definita come l'incapacità di iniziare una gravidanza entro un anno di rapporti sessuali regolari non protetti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità considera l’infertilità una patologia che, nel mondo, riguarda circa il 10-12% delle coppie. Un problema molto diffuso, dunque. Al quale la medicina ha risposto con le tecniche di Procreazione medicalmente assistita (PMA). Quale sia l’approccio migliore per aumentare le possibilità di avere una gravidanza e quindi il trattamento medico più appropriato non è una scelta schematica, bensì l’analisi e la somma di differenti variabili, fra cui la situazione ormonale della donna e, naturalmente, i risultati dello spermiogramma del compagno.

A grandi linee, si possono dividere i trattamenti in due categorie. Primo: il sostegno al concepimento naturale. Che avviene tramite rapporti mirati o inseminazione intrauterina. Il processo avviene in modo del tutto naturale all’interno del corpo della donna. Secondo: la fecondazione in vitro (FIVET) che richiede vari passaggi, fra cui una stimolazione ormonale, un pick-up ovocitario durante il quale, in altre parole, gli ovuli vengono aspirati, la fecondazione dell’ovulo in laboratorio e il transfer embrionale, cioè il momento in cui viene ridato alla donna l’embrione.

Un percorso non solo femminile

«Il nostro obiettivo è scoprire qual è la causa dell'infertilità e trovare la soluzione. Se possibile, per favorire un concepimento spontaneo. Se non è possibile, ricorrendo alla medicina della riproduzione». A parlare è la dottoressa Marina Bellavia, specialista in medicina della riproduzione e direttrice sanitaria del centro ProCrea di Lugano, specializzato nel trattamento dell’infertilità. «Almeno nel 30% dei casi il fattore è maschile. Almeno in un altro 30% dei casi il fattore è misto, sia maschile sia femminile». Non si tratta solo di donne. «Non bisogna mai banalizzare il fattore maschile. Spesso gli uomini non lo dicono, ma si mettono in discussione. E mettono in discussione la loro virilità». È quindi «fondamentale non parlare di colpa. L'essere umano è una pessima specie riproduttiva: quando tutto è perfetto, si parte dal 20% di possibilità. È la natura. A volte ci sono dei fattori sui quali, per fortuna, è possibile intervenire. E la medicina riproduttiva va vista come qualunque altra terapia medica».

Nel 2019, in Svizzera, 5.993 coppie che desideravano avere figli si sono sottoposte a trattamenti che prevedevano metodi di procreazione medicalmente assistita in vitro. In seguito a tali trattamenti, sono venuti al mondo complessivamente 2204 nati vivi. È l’Ufficio federale di statistica (UST) a fornire i dati. Alle 2.872 coppie che si sottoponevano al trattamento per la prima volta, è stato chiesto di indicare i motivi. Nel 34% dei casi, si trattava della sterilità dell’uomo, nel 26% di quella della donna e nel 12% per la sterilità di entrambi. Nel 15% dei casi non è stato possibile identificare una causa medica. Nell’1% dei casi si è optato per la procreazione medicalmente assistita per ridurre il rischio di trasmissione di una grave malattia genetica. Per 119 coppie, è stato possibile utilizzare metodi di procreazione medicalmente assistita in vitro grazie a una donazione di sperma. In tutto sono stati effettuati 168 trasferimenti di embrioni, che hanno portato alla nascita di 50 bambini.

«Mi sono sentita difettosa»

L'incapacità di concepire un bambino spesso causa frustrazione, rabbia, risentimento, inadeguatezza, stress emotivo, preoccupazione. Sentimenti di speranza possono alternarsi a quelli di disperazione. «Quando mi hanno diagnosticato l'endometriosi, mi sono sentita difettosa - dice Lara, 31 anni -. Si è scoperta che potevo essere "io" la causa della "nostra" infertilità. Ti senti in difetto, ti senti un po' meno donna, un po' meno femmina. E ho anche già pensato che se mio marito avesse scelto un'altra donna, a quest'ora avrebbe già potuto essere padre». Sensi di colpa. E l'angoscia per la malattia si è sommata a quella dell’infertilità. «C'è un dare per scontato che le coppie diventeranno genitori. La gravidanza è attesa, quasi prevista, da amici e parenti. Si permettono di chiedere "allora, a quando un figlio?", senza rendersi conto di causare sofferenza», aggiunge la dottoressa Alessandra Fusconi, embrionologa specialista in genetica medica responsabile del laboratorio Centro cantonale di Fertilità dell’EOC.

Sui social, contro i tabù

Di infertilità non si parla liberamente. Neppure con i familiari. Ed ecco che, paradossalmente, entrano in gioco «gli sconosciuti». Già, perché chi è toccato dal problema dell'infertilità o sta affrontando un percorso di PMA, negli ultimi tempi ha trovato una comunità sui social network. «Purtroppo, anche se meno di 10-15 anni fa, è ancora un grande tabù. C'è l'impressione di essere inferiori alle altre donne. Sui social è possibile mantenere l'anonimato, entrare in contatto con altre donne che vivono esattamente quello che vivi tu. La potenza della condivisione diventa enorme», afferma il dottor Alessandro Santi, specialista in medicina della riproduzione e ginecologia endocrinologica, primario presso il Centro cantonale di Fertilità dell’EOC.

Di questo mondo fanno parte anche Federica, 49 anni, responsabile della pagine Instagram @diversamente_fertile, e Cristina, 31 anni, autrice della pagina Instagram @la.cicogna.distratta. Le loro sono storie a lieto fine, perché sono diventate mamme. Il 14 settembre 2022 è nata Léonie e dopo quattro anni di infertilità «molto bui», oggi le cose sono cambiate, ma Cristina non smette di parlarne. Perché «l'infertilità non termina con la gravidanza»: «A oggi sono felice di aver fatto questo percorso. Mi sono resa conto di essere una donna molto più forte di quanto pensassi. Adesso vedo la maternità da un altro punto di vista. Mi sono rotta in mille pezzi, ma sono anche rinata».

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