Il processo

Rogo alla capanna Soveltra, il presidente della Società alpinistica è prosciolto

Cade l’accusa contro il pensionato indicato come responsabile della distruzione del rifugio in Lavizzara - Il procuratore pubblico, Moreno Capella, ha già manifestato la volontà di ricorrere in appello - La difesa: «Tempi troppo lunghi»
Un progetto di recupero del rifugio è già stato annunciato all’assemblea della Società alpinistica valmaggese.
Jona Mantovan
24.04.2024 22:00

Il presidente della Società alpinistica valmaggese, Arturo Rothen, è stato prosciolto, mercoledì, dall’accusa di incendio colposo. Il pensionato era stato indicato come responsabile della distruzione della capanna Soveltra nel rogo avvenuto il 2 ottobre 2017. La nuova sentenza, che ribalta quella del 2021, arriva sempre dalla Pretura penale di Bellinzona, dopo che la Corte di appello e revisione penale aveva accolto il ricorso tramite il suo legale, Marco Broggini. Il procuratore pubblico, Moreno Capella, ha già manifestato l’intenzione di ricorrere in appello. Nel frattempo, però, la proprietà ha annunciato un progetto di recupero.

I fatti

A grandi linee, secondo quanto ricostruito nel procedimento, le fiamme del camino sarebbero sfuggite al controllo sotto gli occhi dei «capannari». I momenti concitati che son seguiti avrebbero fatto il resto. «Avevano una leva per bloccare l’apporto di ossigeno e spegnere il fuoco, ma non l’hanno usata. Avevano degli estintori, ma non sono stati toccati... invece sono usciti dalla capanna e hanno fatto delle telefonate», ha detto in aula l’avvocato, Marco Broggini. Sottolineando come «se ci fossi stato io, non sarebbe successo nulla».

Il Municipio non ha mai imposto la chiusura della struttura, «che per lungo tempo non era in regola»

Ma il problema vero, secondo l’accusa, sta nel principio. Il rifugio in questione, a 2.500 metri, tecnicamente non era in regola. E non doveva esserci nessuno lì dentro. «Non era abitabile. Non era stato fatto il collaudo antincendio. Mancava il parafulmine, che per una struttura del genere non è cosa di secondaria importanza. Di chi è la responsabilità? Chi ha sottoscritto gli accordi con i custodi?». Arturo Rothen, che alla fine dell'inchiesta è stato accusato di incendio colposo, «ha omesso di non concedere l’accesso a un edificio non al riparo dal pericolo», ha aggiunto Capella.

«Mi sento una vittima»

«Non si può ritenere che lei avrebbe dovuto sapere che il camino e la canna fumaria fossero conformi alle norme antincendio, dato che uno è stato costruito da terzi e l’altra acquistata da una ditta specalizzata», sono state le parole della giudice, Elettra Bernasconi, che ha poi fatto cadere l’accusa nei confronti dell’imputato. «Sostenere che lei potesse sapere il contrario, significherebbe che per vent’anni avrebbe esposto tutti al rischio di perire in un incendio visto che il camino è stato sempre usato. La situazione di rischio non è stata riconosciuta dal Municipio del comune valmaggese, il quale non ha impartito nessuna chiusura della capanna. Le mancanze di questi certificati sono state percepite come una pura formalità».

Prima della sentenza, l’imputato ha sottolineato quanto gli sia costato il viavai dai tribunali: «Sono passati sei anni e mezzo, l’80% della mia pensione l’ho trascorso con questo peso sulle spalle. Tre anni fa ero qui e sono qui ancora oggi. Mi sento una vittima. Forse anche un capro espiatorio, di fronte a un appello accolto e a una sentenza annullata. Ma non ho nessuna intenzione di farmi carico delle colpe della comunità». Un riferimento agli anni in cui la capanna «fuorilegge» era frequentata «da municipali e sindaci».

«Giustizia lenta»

«Dopo così tanto tempo sarebbe meglio scrivere la parola ‘fine’», ha ribadito Broggini. «Tutti questi anni per una sentenza del genere sono tanti. I tempi della giustizia ticinese sono diventati insostenibili. Una giustizia lunga non è più giustizia».

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