Giustizia

Sam Bankman-Fried e il caso delle tangenti da 40 milioni ai cinesi

L'ex enfant prodige del cripto-trading e fondatore di FTX è finito nuovamente nei guai: questa volta per la giustizia americana ci sarebbe di mezzo la corruzione
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Irene Solari
29.03.2023 21:30

Tangenti da almeno 40 milioni di dollari. A uno o più funzionari cinesi. È questa la nuova pesante accusa mossa dalla giustizia americana nei confronti di Sam Bankman-Fried, fondatore della piattaforma di trading FTX ed ex enfant prodige del mondo cripto, prima che la sua società implodesse improvvisamente, facendolo finire in bancarotta. Sulle sue spalle pesano incriminazioni per frode. Oggi, però, le accuse sono diverse. Ma vediamo di capire più nel dettaglio cosa è successo.

Nuove accuse

A muovere le accuse di corruzione c’è ancora una volta Damian Williams, procuratore degli Stati Uniti per il Distretto Sud di New York. Lo stesso a capo dell’ufficio che il 13 dicembre scorso aveva incriminato Bankman-Fried con ben otto accuse per frode e cospirazione. Questa volta, però, per la giustizia americana si tratta di corruzione nei confronti di almeno un funzionario cinese, come riporta Associated Press. Di più. Ad finire nel mirino dell’ufficio del procuratore – con l’atto d’accusa notificato lunedì – sarebbero anche altre persone oltre all’imprenditore 31.enne. Nel testo dell’incriminazione si legge infatti che Bankman-Fried «e altri» avrebbero «diretto o trasferito almeno 40 milioni di dollari in dollari in criptovalute a beneficio di uno o più funzionari per influenzarli e spingerli a scongelare un fondo bloccato da Pechino nel novembre 2021». Insomma, per dirla con le parole del procuratore, si tratta di: «Associazione a delinquere finalizzata alla violazione delle disposizioni anticorruzione del Foreign Corrupt Practices Act». Un’accusa – la numero 13 emessa nei confronti di Bankman-Fried – non da poco, che diventa un nuovo problema al quale l’ex CEO di FTX dovrà far fronte.

L’affaire cinese

Cosa è successo davvero con le presunte tangenti cinesi? Una risposta certa non c'è ancora ma, secondo la tesi sostenuta dalla giustizia americana, queste tangenti deriverebbero dalla gestione della società di trading Alameda Research, anch’essa fondata da Bankman-Fried e coinvolta nel crack di FTX. Per l'accusa – riporta AP – all'inizio del 2021 le autorità cinesi avrebbero bloccato alcuni conti di trading di criptovalute appartenenti ad Alameda e contenenti circa un miliardo di dollari in criptovalute su due delle più grandi cripto-borse cinesi. Questi conti sono stati così congelati nell’ambito dell’inchiesta. Fatto che non è di certo sfuggito a Bankman-Fried, il quale avrebbe prontamente reagito. Prima con diversi tentativi – durati mesi e poi falliti  – per «sbloccare i conti attraverso metodi che includevano l'uso di pressioni da parte degli avvocati», infine con la famosa tangente multimilionaria «per cercare di scongelare i beni». Questa, in sostanza, la tesi dell’ufficio del procuratore.

Conti fraudolenti

Ma non solo. Sempre secondo l’accusa, Bankman-Fried e altre persone da lui dirette, durante i primi tentativi per riuscire a sbloccare i fondi, avrebbero «aperto nuovi conti fraudolenti sulle borse cinesi utilizzando informazioni personali di identificazione di diversi soggetti non affiliati a FTX o Alameda». E questo sotterfugio sarebbe stato messo in piedi per «cercare di eludere gli ordini di congelamento e spostare le criptovalute dai conti congelati ai conti fraudolenti». Non contenti, ecco arrivare la tangente da oltre 40 milioni. Questa somma sarebbe stata spostata «dal conto commerciale principale di Alameda a un portafoglio privato di criptovalute nel novembre 2021». Proprio nello stesso momento in cui i conti congelati sui quali Bankman-Fried puntava le proprie attenzioni sarebbero stati sbloccati. Non una pura coincidenza, secondo l'accusa.

Vecchi problemi

Ma i problemi per l’imprenditore 31.enne sono cominciati ben prima: con il clamoroso crollo di FTX che in molti ricorderanno. La società aveva presentato l’istanza di fallimento l’11 novembre scorso. Il crack era costato a Bankman-Fried la caduta in disgrazia e il fallimento di una società che valeva ben 32 miliardi di dollari. Il fermo emesso nei confronti di Bankman-Fried era arrivato un mese dopo, il 12 dicembre, alle Bahamas (dove si trovava la sede principale della FTX) quando i magistrati statunitensi avevano formalizzato delle accuse penali a suo carico. Accuse che prevedevano i reati di frode e del furto di miliardi di dollari perpetrato ai propri clienti e investitori. «L'arresto di Sam Bankman-Fried (SBF) ha fatto seguito alla ricezione di una notifica formale da parte degli Stati Uniti che hanno presentato accuse penali contro SBF e probabilmente ne chiederanno la sua estradizione», aveva dichiarato a tal proposito il governo dell’arcipelago. Estradizione che è effettivamente avvenuta poco dopo, il 21 dicembre, riportando di nuovo Bankman-Fried negli Stati Uniti. A fine gennaio di quest’anno il governo federale americano aveva sequestrato all’ex CEO di FTX ben 600 milioni di dollari in asset. Un maxi-sequestro parte del procedimento penale avviato contro il 31.enne.

«Un’indagine continua»

Il lavoro per la giustizia americana è tutto tranne che finito, anzi, sembra essere appena all’inizio. Come si deduce dalle parole del procuratore Williams, che ha ripetutamente descritto questa inchiesta come «un’indagine continua». Insomma, la parola fine in tutta questa complessa vicenda è ancora lontana dall’essere scritta.

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