Società

Sempre meno nati in Ticino, è il dato più basso da 40 anni

I risultati provvisori pubblicati ieri dall’UST e relativi al 2023 indicano chiaramente come il nostro cantone non sia riuscito a invertire la pericolosa china discendente della denatalità - La demografa Letizia Mencarini: «Servono un salto di mentalità e investimenti rivolti ai giovani»
Il Ticino ha fatto registrare il record negativo di nascite: la curva demografica si sta abbassando sempre più pericolosamente, come peraltro accade in tutti i Paesi più ricchi. ©Chiara Zocchetti
Dario Campione
05.04.2024 06:00

Sempre meno bambini. Sempre meno donne che diventano madri. E una società che, inesorabilmente, invecchia senza adottare le necessarie contromisure. Anche nel 2023, i nuovi nati nel nostro cantone sono stati in calo rispetto all’anno precedente: 2.387, contro i 2.435 del 2022 (e i 2.556 del 2021). Un secco 2% in meno, e un dato a suo modo storico: il più basso da 40 anni a questa parte. Per trovare numeri inferiori, infatti, bisogna risalire al 1985, quando i nuovi nati furono 2.311. In un Ticino, però, nel quale risiedevano 275.261 persone, vale a dire 92 mila in meno di oggi, e in cui il saldo naturale (la differenza tra nati e morti, ndr) era sì negativo, ma di 51 unità, 20 volte inferiore rispetto a quello del 2023 (-1.088).

Questa la situazione che, dipingendo scenari futuri di ulteriori e allarmanti squilibri inter-genarazionali, emerge dai risultati provvisori dell’indagine sull’evoluzione della popolazione svizzera pubblicati ieri dall’Ufficio federale di Statistica (UST). Vero è che il Ticino sfiora ormai quota 368 mila residenti, ma soltanto per il saldo migratorio di 4.891 unità: in sostanza, tra chi nel 2023 ha scelto di vivere a Sud delle Alpi (12.793 persone) e chi ha deciso di andarsene (7.902), la differenza è stata positiva. Compensando lo svuotamento progressivo delle culle.

Tendenza generale

«Purtroppo, siamo di fronte a una tendenza che riguarda tutti i Paesi ricchi - dice al Corriere del Ticino Letizia Mencarini, ordinaria di Demografia nel Dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università Bocconi di Milano - in alcuni di essi, come la Corea del Sud e Singapore, il tasso di fecondità è ancora più basso e addirittura inferiore a un figlio in media per donna. Il canton Ticino si attesta al momento attorno a un bassissimo livello di fecondità, pari a 1,25 figli in media, una situazione sovrapponibile a quella italiana, tranne per il fatto che le donne italiane in età fertile stanno diminuendo molto di più».

Già lo scorso anno, in un articolo pubblicato a luglio sulla rivista dell’USTAT, la professoressa Mencarini aveva analizzato i dati ticinesi evidenziando come fosse possibile nei prossimi anni anche una controtendenza nel numero di nati, perfino a parità di bassissima fecondità. «In effetti, poiché il numero di giovani donne in Ticino, negli ultimi anni, è rimasto abbastanza stabile, e persino in lieve ripresa per quelle sotto i 30 anni, si può immaginare che nel momento in cui queste stesse donne entreranno nella classe più feconda (30-34 anni, ndr), il numero dei nati potrebbe aumentare. Per il momento non è stato così, sia per il lieve calo del numero delle madri, sia appunto del livello di fecondità- dice Mencarini - Resta da capire perché la propensione a fare figli sia così bassa e sia calata ulteriormente negli ultimi anni».

Un problema affatto semplice da dipanare, che chiama in causa fattori culturali legati al senso della genitorialità e della famiglia, ma anche relativi alle oggettive difficoltà ad avere una famiglia nella società contemporanea.

Politiche complesse

«Così come non esiste una sola motivazione per il calo del numero medio di figli, non esiste una singola politica che faccia aumentare la fecondità - spiega la demografa della Bocconi - ci sono, invece, società più amiche della famiglia. La Francia, ad esempio, che ha adottato politiche a sostegno delle famiglie e apertamente pro-nataliste sin dagli anni ’50 del Novecento, superando quelle barriere ideologiche che altre nazioni, la stessa Italia ma anche la Germania, non sono riuscite a oltrepassare, per ragioni legate alle rispettive eredità storiche, se non molto recentemente ».

Che fare, allora? «Le bacchette magiche non esistono - sottolinea Letizia Mencarini - ma bisogna investire nei giovani. Il principio da cui partire è persino banale: quando una risorsa è scarsa, è anche più preziosa. Tutte le società in invecchiamento non possono permettersi che i giovani abbiano un accesso ritardato e incerto alla propria autonomia. Dare loro aiuti, anche finanziari, non è soltanto una spesa, ma soprattutto un investimento. Serve tuttavia un salto di mentalità. Se negli anni ’90 del secolo scorso ci si fosse resi conto di tutto questo, forse non saremmo arrivati a quello che io indico come il meccanismo della “trappola demografica”: i pochi figli del passato sono i pochi potenziali genitori di oggi, i quali producono i pochi nati attuali; a loro volta, i bambini di oggi saranno i pochi genitori potenziali tra una generazione, destinati anch’essi, a meno di un rialzo cospicuo della fecondità media, a produrre a loro volta pochi nati».

Misure plurali

Il salto di mentalità cui fa riferimento la demografa della Bocconi non può comunque basarsi su ricette semplici o su considerazioni scontate.

«Non è vero, ad esempio, che dove le donne lavorano di più si fanno meno figli; semmai, è vero il contrario. Ma per le coppie a doppio reddito e per il sostegno del lavoro femminile, i servizi di cura e le misure di conciliazione tra lavoro e famiglia sono fondamentali», dice Mencarini.

Tuttavia, nella stessa Scandinavia, dove il sistema di welfare è molto più generoso che altrove, non solo la sua tenuta è messa parzialmente in discussione dall’invecchiamento della popolazione, ma si vedono segnali chiari di una tendenza alla diminuzione delle nascite.

«Il numero medio di figli per donna dipende da una pluralità di determinanti socioeconomiche e culturali - aggiunge la docente milanese - e solo una molteplicità di misure può dare qualche frutto positivo, almeno nel medio periodo. Sicuramente, serve migliorare la condizione lavorativa e di autonomia finanziaria e residenziale dei giovani. Ma anche attenuare il costo dei figli e favorire la conciliazione tra genitorialità e lavoro».

Un elemento efficace, indicato dalla professoressa Mencarini già nella sua analisi pubblicata nel luglio dello scorso anno, è «aumentare le potenziali madri sul breve periodo. Qualcosa di perseguibile soltanto attraverso l’immigrazione di giovani, dato che anche un aumento delle nascite oggi avrebbe comunque effetto sul numero di potenziali genitori soltanto a distanza di una generazione».