L'allarme

Sfruttate, abusate: «Le vittime di "tratta" poco protette»

Traffico di esseri umani, casi raddoppiati rispetto al 2019: «Ma quelli reali sono almeno il triplo, c'è ancora tanto da fare e troppa disparità tra i Cantoni»
«Non esistono solo i fini sessuali. Le vittime di tratta possono essere anche lavoratori sfruttati o al servizio di criminali», dice Angela Oriti, dell'Associazione Astrée
Jona Mantovan
19.10.2022 17:00

«Di recente abbiamo portato via dalla strada un gruppo di ragazze nigeriane, sfruttate nell'ambito della prostituzione». A parlare è Angela Oriti, direttrice dell'Associazione Astrée di Losanna, che gestisce il dispositivo di protezione del canton Vaud. La realtà fa parte della Piattaforma nazionale insieme ad altre tre organizzazioni non governative (le altre sono Antenna MayDay SOS Ticino, CSP Genève e FIZ-info.ch). Ma queste giovani "salvate" dallo sfruttamento sono una goccia nell'oceano del mondo della tratta di esseri umani, una piaga che ingrossa il fenomeno dello sfruttamento lavorativo e delle attività criminali, anche in Svizzera. L'ultimo rapporto, diffuso martedì, è impietoso. Il numero è quasi raddoppiato dal 2019 al 2021. Le vittime censite sono state 207 (nel 2019 erano 142), mentre globalmente nella Confederazione ce ne sono quasi cinquecento seguite dalle ONG.

L'allarme è stato lanciato anche da una decina di organizzazioni di ambienti protestanti promotrici di una campagna di sensibilizzazione: «La maggior parte delle prostitute in Svizzera sono reclutate in Paesi poveri con false promesse. È la schiavitù moderna, queste persone finiscono nelle mani della criminalità organizzata». Ma c'è di più. Perché, secondo Oriti, «le dimensioni reali del fenomeno, probabilmente, sono almeno il doppio o il triplo di quanto riusciamo a rilevare». Una realtà sommersa, insomma, fatta di illegalità, violenza, soprusi e diritti calpestati, non solo sulle donne. «Sul fronte dello sfruttamento lavorativo possono essere anche uomini, ragazzi, minorenni... magari "nascosti" nel mondo della ristorazione, o impiegati in qualche famiglia di diplomatici».

«Pochi casi? Solo perché non si riesce a identificarle»

Non tutti i mali, però, vengono per nuocere. Il fatto che sia stato segnato un aumento così netto, per Angela Oriti, ha comunque un aspetto positivo: «La nostra esperienza dimostra che, per identificare le vittime di tratta, occorre mettere in piedi dei servizi specifici dedicati a queste persone, oltre che a sostenere delle formazioni per gli enti convenzionati. Quando queste attività sono messe in piedi, a livello cantonale si riesce a entrare in contatto con queste persone e ad aiutarle. Nei cantoni privi di questo genere di strutture, i casi nella statistica sono fermi a zero. Non perché non ci siano vittime, ma perché non si riesce a identificarle. E senza una volontà politica chiara di "tolleranza zero" alla lotta contro la tratta di esseri umani, le situazioni resteranno sempre invisibili e mai identificate».

Insomma, il fatto di avere degli "sportelli aperti" che possano raccogliere le richieste di aiuto di coloro che sono in difficoltà è un segno del fatto che qualcosa, in fondo, sta funzionando. Ma i cantoni che sono fermi a "zero casi"? La Svizzera non sta facendo abbastanza nella lotta alla tratta di esseri umani? Secondo la direttrice, negli ultimi anni la Confederazione ha compiuto alcuni passi nella giusta direzione. «Ma occorre fare di più, per proteggere queste persone. Quest'anno è in discussione il terzo piano di azione nazionale contro la tratta, cui abbiamo partecipato noi quattro enti che facciamo parte della Piattaforma nazionale». 

Dobbiamo dare a queste persone un luogo sicuro e un accompagnamento a diversi livelli, che copra i vari bisogni anche in un arco temporale più esteso

La nuova strategia

La nuova strategia propone delle linee guida più dettagliate e meno larghe nei confronti dei Cantoni: «L'idea è quella di indicare una vera e propria direzione di intervento. Speriamo che le autorità cantonali prendano coscienza del fenomeno e mettano in piedi dei servizi di consulenza, ma anche di formazione, come pure tutta l'attività di presa a carico».

L'esperta cita anche la Legge federale sull’aiuto alle vittime di reati, sottolineando come l'accoglienza finanziata attraverso questo strumento sia limitata a un massimo di 45 giorni. «Ma la nostra organizzazione offre fino a dodici mesi. Dobbiamo dare a queste persone un luogo sicuro e un accompagnamento a diversi livelli, che copra i vari bisogni anche in un arco temporale più esteso, visti i problemi e le situazioni con i quali queste persone si devono confrontare».

I permessi rilasciati per poter partecipare a una procedura penale sono un diritto sancito da tutte le convenzioni internazionali ratificate dalla Svizzera

Le differenze tra cantoni

Nonostante una legge federale, però, il quadro complessivo compone un'immagine tutt'altro che uniforme. La realtà si presenta in mille sfaccettature e con una prospettiva diversa per ogni cantone, come nel celebre quadro cubista Les Demoiselles d'Avignon di Picasso. «Esatto - esclama Oriti -. Prendiamo per esempio i permessi rilasciati durante una procedura penale. Si tratta di un diritto sancito non solo all'interno del Paese, ma anche da tutte le convenzioni internazionali ratificate dalla Svizzera». Senza un lavoro di accompagnamento, però, le vittime non riescono ad avere accesso ai loro diritti.
«Prima della creazione di Astrée, nel canton Vaud si parlava di due, tre casi di "tratta" all'anno. Oggi, dopo sette anni di lavoro in questo ambito, parliamo di trenta nuove vittime ogni anno. Ripeto: senza questo genere di attività, le vittime restano nascoste. La buona notizia, però, è che si può fare qualcosa: con le risorse necessarie si entra in contatto con queste persone». Come le ragazze nigeriane salvate dal marciapiede.

Non credo che nessuno abbia voglia di avere vicino a casa questi personaggi poco raccomandabili

«Nessuno vuole questi predatori criminali»

«Si tratta di un fenomeno estremamente vario, ci vuole un approccio competente. Ma riguarda la Svizzera. E le dimensioni sono notevoli». La collaborazione tra i vari enti del territorio per scoprire il numero maggiore possibile di vittime è fondamentale, secondo Oriti, e nel caso del canton Vaud ci sono margini di miglioramento.

«Ricordiamo, poi, che la protezione delle vittime è strettamente collegata alla possibilità di perseguire gli autori di questi reati». Veri e propri criminali predatori e senza scrupoli, spesso organizzati in bande o in gruppi. «Non credo che nessuno abbia voglia di lasciare in libertà e vicino a casa questo genere di personaggi poco raccomandabili». Ed è qui che la direttrice di Astrée lancia l'appello: «Per fare questo, tuttavia, c'è bisogno di proteggere le persone che sono vittime di questi reati orribili, affinché possano collaborare con la giustizia, così da smantellare questi gruppi criminali».

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