Cassis smorza le polemiche ma le accuse fanno rumore
Gettare acqua sul fuoco prima che l’incendio divampi. Sembra questa la strategia del Consiglio federale, il giorno dopo le gravi accuse mosse dalla Commissione USA Helsinki. Secondo il gremio parlamentare per la sicurezza e la cooperazione in Europa, la Svizzera avrebbe applicato le sanzioni contro gli oligarchi russi con troppa leggerezza.
«La Confederazione ha bloccato solo 7,5 miliardi di franchi, mentre le banche svizzere offrono rifugio a 150-200 miliardi di fondi russi», ha dichiarato Bill Browder, finanziere e consulente della commissione Helsinki. Accuse pesanti - come quella di incompetenza, poca trasparenza e corruzione lanciate contro la Procura federale - che hanno portato la Confederazione a giudicare «inaccettabili tali insinuazioni politiche». «Ci aspettiamo che le autorità statunitensi correggano immediatamente queste parole», aveva dichiarato giovedì sera il portavoce del Consiglio federale, André Simonazzi.
Di tutt’altro tenore, invece, le dichiarazioni del presidente della Confederazione, Ignazio Cassis, pronunciate ieri a margine dell’incontro in Vaticano: «Credo che sia semplificatorio dire “gli Stati Uniti”», ha esordito Cassis, rispondendo alla domanda di un giornalista sulle accuse americane. «Si tratta di una commissione indipendente con un suo indirizzo ideologico, che non rappresenta il Governo USA, il quale invece si è espresso in maniera diversa». A questo proposito, Cassis ha ricordato il colloquio telefonico - «di sostanziale intesa» - avuto due giorni prima con il segretario di Stato, Antony Blinken. «In tutti i Paesi ci sono opinioni più o meno critiche rispetto ad altri governi. Ed è così anche negli Stati Uniti». A domanda diretta, il presidente della Confederazione ha poi dichiarato che le relazioni tra Berna e Washington continuano a essere estremamente solide: «Siamo in un momento di profonda cooperazione anche su altri temi che non riguardano soltanto l’Ucraina». Non credo che questo episodio vada a influenzare un trend di ottimi rapporti tra Svizzera e Stati Uniti, ha aggiunto Cassis smorzando sul nascere le polemiche. «In Svizzera», ha aggiunto Cassis, «siamo all’avanguardia nell’esecuzione di tutto ciò che concerne la ricerca e il congelamento di fondi legati agli oligarchi russi». Cassis ha detto che la Confederazione persegue questo obiettivo, «per quanto sia possibile farlo». Occorre infatti «disporre di banche dati che raccolgano informazioni, e queste ancora non esistono da nessuna parte».


«L'OCSE tornerà alla carica»
Parole di distensione, dunque, su un tema estremamente delicato - ossia la trasparenza del sistema antiriciclaggio svizzero - che, in realtà, secondo alcuni analisti presterebbe il fianco a critiche legittime. Ne è convinto, per esempio, Mark Pieth, professore a Basilea ed esperto di corruzione. «La Svizzera ha mancato di coraggio nel suo approccio al denaro sporco russo», ha dichiarato durante l’audizione presso la Commissione Helsinki. Secondo Pieth, l’occultamento dei beni degli oligarchi russi in Svizzera «avviene tramite società bucalettere offshore e avvocati che non sono obbligati a fornire informazioni». La revisione della legge sugli avvocati d’affari e sul riciclaggio di denaro è stata discussa e respinta a livello federale nel marzo del 2021, ricorda al CdT l’avvocato Paolo Bernasconi: «L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha già criticato questa lacuna esistente nella legislazione svizzera antiriciclaggio», aggiunge Bernasconi. «Quei consulenti, avvocati o fiduciari che costruiscono in Svizzera meccanismi internazionali di occultamento dell’identità del proprietario del denaro, non sono sottoposti alle leggi antiriciclaggio. Quindi non hanno l’obbligo di documentare l’identità del loro cliente e nemmeno l’obbligo di segnalare i casi sospetti all’ufficio antiriciclaggio», spiega Bernasconi, secondo il quale «l’OCSE tornerà alla carica in occasione del prossimo Rapporto e allora il Parlamento federale dovrà finalmente provvedere, per evitare che la Svizzera, malgrado tutti gli sforzi antiriciclaggio, venga messa nella lista grigia dei Paesi poco cooperativi». Insomma, anche secondo Bernasconi esiste una lacuna nella legislazione svizzera, anche se «Pieth poteva esprimersi con termini meno trancianti sul modello svizzero».
«Nessuna falla»
«È uno scandalo. Ci sono Paesi come Israele, Turchia, Emirati Arabi Uniti e altri ancora che non hanno adottato alcuna misura contro la Russia. Eppure la commissione americana punta il dito contro Berna», commenta al CdT Carlo Lombardini, avvocato e professore di diritto all’Università di Losanna: «Troppo spesso, sulla scena internazionale, ci siamo dimostrati arrendevoli e oggi ne paghiamo le conseguenze». Cosa dire invece delle lacune della legge messe in evidenza da Pieth? «È inaccettabile. Sono proprio i legali americani che possono muoversi liberamente e senza alcun controllo». Lombardini smentisce poi la lettura secondo cui la legislazione svizzera in materia sarebbe lacunosa: «In Svizzera il criterio è il seguente», spiega Lombardini: «Se l’avvocato mette la propria firma su un conto in banca di una società offshore, è sottoposto alla legge antiriciclaggio. Se invece si limita a dare dei consigli, senza firmare, non è sottoposto a tale legge. Tutto qui». Secondo Lombardini, non ci troviamo affatto di fronte a una falla, «in quanto l’avvocato è comunque sempre sottoposto, in caso di riciclaggio, al codice penale», secondo cui «se un avvocato contribuisce a un attività di riciclaggio è punito penalmente». E perché dei 200 miliardi ne sono stati bloccati solo 7,5? «La Svizzera blocca quelli che deve bloccare. Tutti gli altri sono stati oggetto di verifica da parte delle banche».