L'intervista

Lo zoo della crisi e gli animali strani: cigni, elefanti e meduse nere

Con Patrick Trancu, consulente di gestione e comunicazione di crisi, affrontiamo i temi caldi del momento: guerra in Ucraina, cambiamento climatico e questione energetica
Marcello Pelizzari
19.09.2022 19:00

C’è crisi, già. Peggio, viviamo mesi complicati perché, a ben vedere, si è creata quella che molti hanno definito tempesta perfetta: la coda pandemica e i problemi legati alla catena di approvvigionamento da un lato, la guerra in Ucraina e la questione energetica dall’altro. Per capirne di più, al netto delle raccomandazioni del Consiglio federale, fra cui l’oramai celebre doccia in due, ci siamo rivolti a Patrick Trancu, consulente di gestione e comunicazione di crisi.

Partiamo dall’attualità e da una notizia tanto curiosa quanto inquietante: nel Regno Unito, in caso di blackout, i dipendenti pubblici torneranno a utilizzare la carta carbone per garantire il funzionamento della macchina statale. Che cosa ci suggerisce una notizia del genere?
«È dal 2021 che, con cadenza quadrimestrale, il governo di sua maestà ha avviato degli stress test sulla “macchina dello Stato” per assicurare “un livello di risk management e di preparazione appropriati” a fronte del verificarsi di eventi critici. Nel caso della carta carbone lo scenario è quello di ripetute e prolungate interruzioni nelle forniture di energia elettrica. Qui sono al lavoro due importanti dinamiche della preparazione alla gestione di crisi. La prima è l’interrogarsi sugli scenari con una logica what if. Cosa facciamo se siamo chiamati a confrontarci con una determinata situazione, quali sono le potenziali conseguenze della stessa e come possiamo mitigarle? È la logica dell’anticipazione in tempo di pace. La seconda è quella dell’esercitazione. Attraverso l’esercitazione, infatti, ci assicuriamo che le persone e le funzioni coinvolte sappiano come affrontare la situazione e quali strumenti usare. In questo caso, in Gran Bretagna, per le comunicazioni interministeriali e interdipartimentali si è pensato di tornare alla logica del ciclostile. E ci si esercita in questo senso perché questo significa anche liberare la mente per concentrarla in tempo di crisi su quello che in quel momento è realmente importante».

I governi, in genere, prevedono piani di emergenza per rispondere a una crisi. Quanto è possibile, però, prevederne una? E in che modo si può ragionare in anticipo sulla crisi?
«Il problema è esattamente questo. Si confonde l’emergenza con la crisi e si pensa di poter affrontare quest’ultima con gli strumenti dell’emergenza definendo ex-ante dei piani. La crisi, tuttavia, inizia proprio dove il piano finisce. Anche se le crisi come i terremoti sono difficilmente prevedibili, molto spesso vi sono segnali deboli che possono essere colti se si è organizzati e pronti a farlo. Vediamo un esempio pratico. Da alcuni giorni la cronaca del nostro Cantone è focalizzata sulla vicenda del direttore di una scuola media del Luganese accusato di atti sessuali con minorenni. I segnali, a quanto possiamo leggere, c’erano eppure nessuno li ha colti o li ha voluti cogliere. E la negazione da parte delle autorità cantonali che vi fossero stati dei precedenti è l’ennesimo esempio di una pessima gestione della comunicazione che non può non incidere sulla credibilità delle istituzioni. Saper cogliere i segnali deboli significa essere in grado di anticipare. Per fare questo bisogna avere una rete di sensori ed essere disponibili all’“ascolto”. In un’ottica aziendale o dello Stato questo significa dedicare tempo e risorse alla costituzione di strutture permanenti di “previsione strategica” e alla loro integrazione all’interno dell’organizzazione e dei suoi processi decisionali. Gli esempi non mancano: da Singapore ai Paesi Bassi». 

Lo zoo della crisi si caratterizza per la presenza di animali strani: cigni, elefanti e meduse nere. In questo caso credo che i fattori in gioco siano stati diversi

L’Europa ha avuto «bisogno» di una guerra nel giardino di casa, in Ucraina, per comprendere quando fosse pericoloso e, diciamo, incestuoso rifornirsi di energia fossile dalla Russia. Perché, banalmente, poco o nulla è stato fatto in tutti questi anni per evitare una simile dipendenza, e quindi, ora, una ricerca spasmodica e caotica di fonti alternative, quasi sempre fossili?
«Lo zoo della crisi si caratterizza per la presenza di animali strani: cigni, elefanti e meduse nere. In questo caso credo che i fattori in gioco siano stati diversi. Innanzitutto, eravamo da tempo in presenza di un elefante nero: un rischio raro ma significativo che tutti conoscono ma che nessuno è disposto a discutere. Questo a causa di bias cognitivi, di deliberate scelte politiche o per scaramanzia. Il rischio della dipendenza era evidente; eppure, abbiamo convissuto con lo stesso finché il rischio si è trasformato in crisi. Torniamo qui al tema della capacità di ascoltare, leggere i segnali deboli e anticipare potenziali pericoli. La Svizzera, come molti altri Paesi, non ha strutture permanenti di previsione strategica in grado di anticipare e costruire una visione d’insieme dei diversi fenomeni che aleggiano all’orizzonte. Questo è un tema che deve essere urgentemente affrontato così come quello dell’organizzazione della gestione di crisi ancora ancorata a logiche del ventesimo secolo».

La pandemia, i problemi legati alla catena di approvvigionamento e non da ultimo la guerra e la crisi energetica stanno mettendo quantomeno a dura prova il concetto di globalizzazione, tant’è che si parla di «riportare a casa» alcune linee di produzione o, ancora, di portarle in Paesi dove l’energia ha ancora (ma per quanto?) prezzi abbordabili. Che ne sarà dei modelli cui eravamo abituati fino all’altro ieri?
«Le crisi rappresentano momenti di rottura rispetto alla normalità. Si tratta di situazioni che da un lato rappresentano un rischio esistenziale ma che se sapientemente gestite ci offrono anche l’opportunità di riprendere il cammino più forti e in direzioni diverse rispetto al periodo precedente. I modelli che ci hanno assicurato stabilità e benessere sono oggi chiaramente in discussione e modelli nuovi e diversi dovranno necessariamente emergere. La sfida per tutti, cittadini inclusi, è quella di riuscire a comprenderli e a adattarsi rapidamente consapevoli che le cose non saranno più come prima».

Viviamo in un mondo complesso dove le crisi non solo sono diventate sistemiche a causa della fragilità, dell’interconnessione e dell’interdipendenza delle nostre società ma si susseguono in maniera estremamente rapida e dinamica fino a incrociarsi

Nel ventunesimo secolo siamo saltati da una crisi all’altra, fino ad arrivare a una sorta di imbottigliamento che assomiglia alla tempesta perfetta: coda pandemica, crisi climatica e guerra, con tutte le conseguenze su materie prime ed energia. Come si fa in questi casi a stabilire una gerarchia?
«Viviamo in un mondo complesso dove le crisi non solo sono diventate sistemiche a causa della fragilità, dell’interconnessione e dell’interdipendenza delle nostre società ma si susseguono in maniera estremamente rapida e dinamica fino a incrociarsi. Potremmo argomentare che l’incontro tra la crisi pandemica, la guerra in Ucraina e la crisi climatica che stiamo vivendo oggi, con le rispettive ramificazioni, effetti domino e sovrapposizioni, ci avvicina sempre più al famoso cigno nero di cui spesso sentiamo parlare. In questo scenario di estrema complessità e instabilità siamo chiamati a governare eventi le cui implicazioni comprendiamo con difficoltà e che danno vita a contesti a noi sconosciuti nei quali ci mancano punti di riferimento. Siamo di fatto chiamati a navigare universi sconosciuti senza GPS. Stabilire una razionale gerarchia di intervento è pressoché impossibile, ma resta il fatto ineludibile che più tempo si aspetta nel prendere decisioni (anche impopolari) meno efficaci saranno e più alto sarà il loro costo».

Finora abbiamo affrontato di striscio il discorso politico: i governi, detto brutalmente, stanno agendo in un mondo nuovo ma con schemi e tempistiche non più al passo con i tempi? Quali figure dovrebbero prevalere in questo senso?
«Non vi è dubbio che siamo chiamati ad agire in un mondo nuovo caratterizzato da dinamiche complesse che non siamo sempre in grado di comprendere e le cui conseguenze spesso ci sfuggono. Il problema è che si continua a ragionare utilizzando cassette degli attrezzi sviluppate in un’altra era per altre tipologie di crisi. Il risultato è l’incapacità da parte di chi governa di entrare in una logica di anticipazione rispetto alle crisi che di volta in volta si presentano. Un esempio concreto. Il ministro dell’economia Guy Parmelin ha dichiarato ieri che il Consiglio federale sta lavorando alla creazione di una cellula di crisi interdipartimentale per gestire la crisi energetica. Due buone notizie: da un lato si è deciso di costituirne una e dall’altro che si è superata la logica dei silos dipartimentali che ha negativamente contraddistinto la gestione della crisi pandemica. Ma la cattiva notizia è che la decisione giunge in nettissimo ritardo rispetto allo scenario. La cellula di crisi avrebbe infatti dovuto essere costituta all’indomani dell’invasione dell’Ucraina. Si opera quindi in una logica di rincorsa anziché di anticipazione preoccupandosi oggi di correre dietro ai buoi da tempo scappati dalla stalla. In sintesi, nella gestione delle crisi sistemiche del ventunesimo secolo, per definizione complesse, non basta prendere la decisione giusta. Bisogna anche prenderla al momento giusto».