Stangata dazi: il piano B di Parmelin per convincere Trump

Una nuova trasferta improvvisata, una nuova offerta da Berna agli USA. Tutto per far crollare, anche in maniera graduale, nel caso, i dazi imposti da Donald Trump all’economia svizzera. Con quali effetti?
La visita di Guy Parmelin a Washington era prevista?
Più che altro non era stata annunciata. Il consigliere federale, titolare del Dipartimento dell’economia (DEFR), ha cancellato a sorpresa i propri impegni – nello specifico la sua partecipazione alla Giornata dell’economia organizzata da Economiesuisse e ai festeggiamenti per i 25 anni dell’IRB di Bellinzona, in programma oggi – per volare negli Stati Uniti, anticipato martedì dalla segretaria di Stato Helene Budliger Artieda. Il DEFR ha soltanto confermato la trasferta, precisando che Parmelin, durante la sua permanenza a Washington, avrebbe condotto colloqui a livello ministeriale. Nulla più di questo. La vera conferma della natura del viaggio è giunta da Ignazio Cassis, durante una sua visita a Reichenau, nei Grigioni. «Abbiamo preparato un’offerta migliorata per gli Stati Uniti», ha detto.
A chi ha consegnato questa offerta?
Stando a quanto indicato in mattinata dall’agenzia statunitense Bloomberg, nell’agenda di Parmelin figurava solo l’incontro con il ministro del Commercio americano Howard Lutnick, che dal canto suo si è espresso anche sulle trattative con il Giappone per ridurre i dazi relativi all’automotive. Ha minimizzato pubblicamente la portata dell’incontro con Parmelin, limitandosi ad affermare che «il Governo è sempre pronto ad ascoltare. Lo è anche Trump stesso». E poi: «Sentiamo che cos’hanno da dire, ma lo sapete: non sono ottimista». Non una grande premessa.
Il clima nei confronti della Svizzera resta negativo?
Be’, eravamo rimasti alle voci emerse attorno alla famigerata telefonata tra Karin Keller-Sutter e Trump dello scorso 31 luglio, e ai relativi problemi personali che sarebbero sorti tra i due. Lutnick è andato addirittura oltre, sottolineando: «Agli svizzeri piace ripetere che sono una piccola Nazione di soli 9 milioni di abitanti, una piccola ma ricca Nazione. E come sono diventati così ricchi? Ci vendono farmaci come se non ci fosse un domani. Sono ricchi perché traggono profitto dagli Stati Uniti». E poi ancora: «Ecco perché sono ricchi!». Sollecitato dal giornalista dell’agenzia sui buoni rapporti che gli Stati Uniti avevano con la Svizzera durante il primo mandato di Trump, Lutnick ha insistito, azzardando un paragone con l’Unione europea e l’ottima offerta giunta da Bruxelles, della serie: «Noi vi pagheremo il 15% e voi non pagherete nulla». «Ma la Svizzera?», si chiede ancora il ministro. Sua risposta, accompagnata da un sorriso beffardo: «Che cosa può offrire un Paese da 9 milioni di abitanti agli esportatori americani? Abbiamo bisogno di equità, di un equilibrio commerciale, e questa è una cosa difficile da trovare».
Che cos’era emerso sulla possibile nuova offerta?
Sul CdT del 29 agosto abbiamo riportato quanto segue: «L’accordo negoziale che la Svizzera starebbe discutendo con gli Stati Uniti prevede una riduzione progressiva dei dazi, pari a 5 punti percentuali ogni tre mesi, a condizione che il nostro Paese rispetti una serie di impegni concordati». Berna al riguardo, non aveva fornito dettagli ufficiali, limitandosi a dichiarare che «continuerà a impegnarsi per migliorare la situazione doganale». Da noi contattato, il direttore di AITI Stefano Modenini ci aveva spiegato: «È uno scenario di cui si parla perché appare poco plausibile che il presidente USA voglia ridurre in un colpo solo i dazi sui prodotti svizzeri. Inoltre, in sospeso c’è ancora il tema del prezzo dei farmaci che gli americani vogliono vedere ridursi».
Come sta reagendo l’economia svizzera a questa crisi?
Inizialmente non c’è stata grande uniformità di posizioni. Dall’industria orologiera erano piovute critiche alla farmaceutica. «La Svizzera è tenuta in ostaggio dall’industria farmaceutica. Questo colpisce tutti i settori orientati all’export tranne uno: cinicamente, l’industria farmaceutica, a cui dobbiamo questa situazione, è per il momento esente dagli elevati dazi doganali», aveva tuonato il CEO di Breitling. Quest'oggi, una volta ancora, Economiesuisse ha chiamato l’economia a una reazione d’insieme, anche con la componente politica. E Sergio Ermotti, CEO di UBS, ha sottolineato: «Sono convinto che il Consiglio federale troverà la soluzione. Non dobbiamo rispondere con l’isolazionismo».