La telefonata che ha umiliato Trump: «È tutta colpa di Karin Keller-Sutter»

E pensare che il Consiglio federale aveva preferito il dialogo alla scure. L’esito – lo conosciamo tutti – è storia recente, storia che brucia, su cui la politica e i media continuano a tornare, come la lingua sul dente che duole: un leccarsi le ferite (o attribuire colpe?) in attesa di capire, nel concreto, quanto faranno davvero male questi dazi al 39%.
Intanto, i domenicali d’Oltraple hanno aggiunto un nuovo capitolo alle recenti rivelazioni sul contenuto della telefonata (34 minuti che valgono miliardi di franchi) avvenuta a fine luglio tra Karin Keller-Sutter, presidente della Confederazione svizzera, e Donald Trump, il suo omologo americano.
Poche ore dopo quella telefonata, Keller-Sutter annunciava su X che «per il presidente USA il deficit commerciale resta una questione prioritaria. Per questa ragione non è stato possibile raggiungere un accordo sulla dichiarazione d’intenti negoziata tra Svizzera e Stati Uniti». Una dichiarazione asciutta, come si conviene in questi casi, che evocava unicamente il nodo del contendere, tralasciando i dettagli. Ma quanto contano davvero questi dettagli?
La versione di Trump
Una settimana fa, il SonntagsBlick, ricostruendo la telefonata, descriveva uno scambio teso, ben lontano da ogni consuetudine diplomatica. Secondo il domenicale, Trump avrebbe usato un linguaggio volgare con il suo interlocutore, avanzato richieste di denaro e parlato in termini sprezzanti persino dei suoi stessi negoziatori. Una rivelazione che è stata parzialmente rivista con la versione fornita da alcuni collaboratori vicini all’amministrazione Trump, direttamente o indirettamente coinvolti nei contatti bilaterali tra Washington e Berna.
Secondo quanto riferito dal Blick, che ha raccolto informazioni da fonti vicine al gabinetto di Trump con accesso anche ai registri telefonici americani, la telefonata di Keller-Sutter con il presidente USA avrebbe avuto un ruolo ben più decisivo nel fallimento dell’accordo commerciale di quanto si fosse finora supposto. Secondo l’interpretazione americana, sarebbe stata proprio quella chiamata – e nient’altro – a provocare il fiasco finale.
Finale di partita
Insomma, se una una settimana fa, la versione raccontava di un Trump intrattabile, contro il quale Keller-Sutter non poteva fare pressoché nulla, questa volta il racconto è diverso: il fallimento delle trattative sarebbe da imputare proprio all’atteggiamento della presidente della Confederazione. Secondo l’entourage di Washington, riferisce il Blick, Keller-Sutter avrebbe addirittura «umiliato» Trump con quello che è sembrato «un corso intensivo di economia» della durata di mezz’ora sul deficit commerciale. Nel tentativo di spiegare perché il deficit non rappresenta un onere per l’economia americana, valutazione su cui esiste effettivamente un consenso tra gli economisti, Keller-Sutter avrebbe mandato all’aria settimane di trattative e colloqui preparatori.
Secondo la trascrizione della conversazione, Trump si sarebbe offeso a tal punto che, subito dopo la chiamata, ha dichiarato ai suoi collaboratori di non voler più negoziare con il politico svizzero. «Ho chiuso con lei».
Una fonte interna all’amministrazione USA ha affermato al domenicale che «mai prima d’ora un presidente degli Stati Uniti in carica si era lasciato trattare in questo modo. Bill Clinton avrebbe riattaccato dopo dieci minuti».
A quanto pare, Donald Trump avrebbe preso la questione molto sul personale. Fonti interne e dichiarazioni pubbliche riportano che, parlando della controversia tariffaria con la Svizzera, Trump ha ribadito più volte: «Non è una questione nazionale, ma di personalità». Una versione poi smussata nelle dichiarazioni successive alla televisione statunitense. Trump ha affermato che la donna al telefono era «gentile», ma che non voleva ascoltare.
Aspettando Godot
Resta incerto che cosa sia davvero accaduto nei trenta minuti di conversazione tra Keller-Sutter e Trump. Quel che invece è certo sono le conseguenze: i dazi del 39% continuano a pesare sull’economia svizzera e, stando alle informazioni più recenti, non si intravedono nuovi negoziati almeno fino a ottobre.
Del tema, oggi, si è occupata anche la SonntagsZeitung. Al momento, l’unica data ancora spendibile per opporsi ai dazi statunitensi, entrati in vigore il 7 agosto, è il 6 di ottobre, termine ultimo per presentare un ricorso presso l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Per ora, il Consiglio federale si è limitato a informare che «continuerà ad impegnarsi per un miglioramento della situazione doganale». Nulla di più. Dal canto suo, il Segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent ha dichiarato all’agenzia di stampa Nikkei di voler raggiungere un accordo con i Paesi con cui non ha ancora funzionato «entro ottobre». Bessent, insieme al rappresentante per il Commercio Jamieson Greer e al Segretario al Commercio Howard Lutnick, è stato uno dei tre delegati USA che hanno condotto i negoziati con la Svizzera. Ma che cosa accadrebbe se la situazione dovesse prolungarsi?
Secondo il domenicale, la SECO sta valutando diversi scenari. Oltre alle cause intentate da Stati e aziende americane contro i dazi, una possibile via d’uscita sarebbe che la Svizzera riuscisse, nel lungo periodo, ad azzerare il deficit commerciale con gli Stati Uniti, indebolendo così le argomentazioni di Trump. Resta il fatto che, nonostante le promesse «ancora più allettanti» formulate il 6 agosto da Karin Keller-Sutter e dal ministro dell’Economia Guy Parmelin in un incontro lampo con il Segretario di Stato americano Marco Rubio, alla Confederazione non resta che prepararsi a ogni eventualità, nella consapevolezza che tutto dipenderà dalla volontà del presidente USA di riaprire (o meno) il dialogo.